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venerdì 17 settembre 2021

 


Nel 2020 sono stati 227 gli attivisti ambientali assassinati, mai così tanti

di Gaetano Vallini

Óscar Eyraud Adams, esponente della comunità indigena messicana Kumiai,  si  opponeva alle industrie estrattive che contribuiscono alla scarsità d’acqua nella Baja California. Óscar,  ucciso lo scorso 25 settembre, è uno dei 227 attivisti ambientali assassinati nel 2020. Una cifra spaventosa, con una media di 4 morti a settimana,  la più alta da quando, nel 2012, la ong Global Witness ha iniziato la tragica conta. L’anno precedente le vittime erano state 212. E il rapporto annuale, presentato nei giorni scorsi, conferma come lo sfruttamento irresponsabile e l’avidità alla base della crisi climatica siano anche i moventi delle violenze nei confronti dei difensori dell’ambiente: è infatti divenuto sempre più evidente il legame tra l’intensificarsi dei cambiamenti del clima e gli attacchi mortali.

Gli omicidi, si legge nel rapporto, avvengono in un più ampio contesto di minacce, che vanno dalle intimidazioni alla sorveglianza, dalle campagne di criminalizzazione alle violenze sessuali. E le cifre sono quasi certamente sottostimate, visto che molti attacchi non vengono denunciati. Si tratta dunque di un fenomeno sempre più allarmante, che però non suscita particolare indignazione, soprattutto nei paesi industrializzati. Global Witness sottolinea infatti che, al pari degli impatti della stessa crisi climatica, la gravità delle violenze contro gli attivisti ambientali non viene percepita in modo uniforme nel mondo. Come a dire che certe problematiche, nonostante segnali allarmanti, appaiono ancora lontane.

Per il secondo anno consecutivo è la Colombia il Paese con il numero più alto di uccisioni, ben 65. Gli omicidi sono avvenuti in un clima di diffusi attacchi ai difensori dei diritti umani e ai leader delle comunità, e questo nonostante le speranze accese dall’accordo di pace del 2016. Le popolazioni indigene sono state particolarmente colpite e la pandemia di covid ha peggiorato la situazione: con i lockdown il governo ha tagliato le misure di protezione e le vittime sono state spesso colpite direttamente nelle loro case.

Al secondo posto di questa tragica classifica c’è il Messico, dove sono stati accertati 30 morti, con un aumento del 67% rispetto al 2019. Il disboscamento è stato collegato a quasi un terzo degli assassinii.  Un legame rivelatosi  particolarmente evidente in Brasile (26 vittime) e in Perú (6), dove quasi tre quarti degli attacchi registrati hanno avuto luogo nella regione amazzonica dei due Paesi. E a conferma del fatto che l’America Latina resta il posto più pericoloso per i difensori della terra, a quelli già citati vanno aggiunti i 17 assassinii in Honduras, i 13 in Guatemala, i 12 in Nicaragua e la vittima registrata in Argentina.

Ventinove sono invece state le vittime nelle Filippine, dove si è registrato un progressivo deterioramento della situazione relativa ai diritti umani. L’opposizione alle industrie dannose è spesso oggetto di violente repressioni da parte della polizia e dei militari. In particolare oltre la metà dei raid è stato direttamente collegato alle mobilitazioni contro la realizzazione di miniere, dighe e programmi di disboscamento. Nel più grave degli attacchi nove indigeni Tumandok sono stati uccisi e altri 17 arrestati sull’isola di Panay: si opponevano alla costruzione di una mega-diga sul fiume Jalaur. Il rapporto segnala come dall’elezione di Duterte alla presidenza, nel 2016, sono stati 166 gli attivisti uccisi, un numero scioccante anche per un Paese  già considerato pericoloso per i difensori della terra e dell’ambiente

Global Witness ha documentato 18 uccisioni in Africa; nel 2019 erano state sette.  Quindici omicidi sono stati compiuti nella Repubblica Democratica del Congo,  due  in Sudafrica e uno in Uganda. Più di un terzo degli attacchi è stato collegato allo sfruttamento delle risorse e alla costruzione di dighe idroelettriche e altre infrastrutture.

A livello globale, 28 degli uccisi erano guardiaparchi. Un terzo degli attacchi mortali ha preso di mira gli indigeni, quasi la metà dei quali piccoli agricoltori. Molte delle vittime erano impegnate nella protezione dei fiumi, delle aree costiere e gli oceani, ma la maggioranza di loro, il 71%, era attiva nella difesa delle foreste.

Come negli anni precedenti, nel 2020 nove vittime su dieci erano uomini. Ma le donne che agiscono e parlano in difesa dell’ambiente hanno dovuto affrontare forme di violenza specifiche di genere, compresa quella sessuale. Le donne, si sottolinea, hanno spesso una doppia sfida: la lotta pubblica per proteggere la loro terra e la quella meno visibile per difendere il  diritto di parola all’interno delle loro comunità e famiglie. Inoltre in molte parti del  mondo  sono ancora escluse dalla proprietà della terra e dalle  discussioni sull’uso delle risorse naturali.

Il Sud del pianeta sta  soffrendo le conseguenze più immediate del riscaldamento globale, quindi non sorprende che tutti i 227 omicidi di difensori registrati, tranne uno (in Canada), hanno avuto luogo proprio nei paesi più poveri. Il rapporto rileva inoltre il numero sproporzionato di attacchi contro le comunità indigene, oltre un terzo del totale, anche se costituiscono appena il 5% della popolazione mondiale.

«Molte aziende — si legge sul sito Global Witness — si impegnano in un modello economico estrattivo che dà la priorità al profitto rispetto ai diritti umani e all’ambiente. Questo potere aziendale incontrollabile è la forza sottostante che non solo ha portato la crisi climatica sull’orlo del baratro, ma che ha continuato a perpetuare l’uccisione dei difensori». In sostanza, in troppi paesi ricchi di risorse naturali e di biodiversità molte aziende operano nella quasi totale impunità. E ciò è particolarmente evidente laddove ci sono governi fin troppo disponibili a chiudere un occhio e a non adempiere al loro mandato fondamentale di sostenere e proteggere i diritti umani.

«Un giorno speriamo di segnalare la fine della violenza — ha affermato Chris Madden, di Global Witness — ma finché i governi non prenderanno sul serio la protezione dei difensori e le aziende non inizieranno a mettere le persone e il pianeta prima del profitto, sia il crollo climatico che le uccisioni continueranno». E continueranno perché, nonostante le violenze,  la lotta dei popoli più minacciati non si fermerà.

«La gente a volte mi chiede cosa farò, se resterò qui e manterrò viva la lotta di mia madre. Sono troppo orgogliosa di lei per lasciarla morire. Conosco i pericoli, tutti noi conosciamo i pericoli. Ma ho deciso di restare. Mi unirò alla lotta», ha detto Malungelo Xhakaza, figlia dell’attivista sudafricana assassinata Fikile Ntshangase,  che si batteva contro l’espansione di una miniera di carbone a cielo aperto vicino a Hluhluwe — Imfolozi Park, la più antica riserva naturale dell’Africa. Dovrebbe darci speranza sapere che, nonostante i rischi, ci sono persone coraggiose pronte a lottare per la loro terra e per il nostro pianeta. Loro sono “l’ultima linea di difesa”, come sottolineato dal titolo del rapporto, o la prima: dipende dai punti di vista. Ma non dovrebbero essere lasciate sole. Perché se nell’immediato in gioco c’è la sopravvivenza delle loro comunità, in un futuro drammaticamente sempre più vicino in ballo c’è la sopravvivenza di tutti.

©L’Osservatore Romano del 17 settembre 2021

giovedì 26 agosto 2021

Agenzia Fides 26 agosto 2021

 

AFRICA - Non si fermano gli attacchi jihadisti nel Sahel: la preoccupazione dei Vescovi di Niger e Burkina Faso
 
Ouagadougou (Agenzia Fides) - Si moltiplicano gli attacchi di gruppi jihadisti nei Paesi del Sahel, in particolare nella cosiddetta area dei tre confini dove tra Mali, Niger e Burkina Faso (vedi Fides 20/8/2021). In quest’ultimo Paese almeno 47 persone, tra cui 30 civili, sono morte il 18 agosto in un attacco a un convoglio sulla strada Arabinda-Gorgadji, nel nord.
Un “atto atroce che condanniamo fermamente” afferma la Conferenza episcopale del Burkina-Niger (CEBN) in una dichiarazione del 23 agosto. “In questa dolorosa circostanza, porgiamo le nostre sincere condoglianze alle famiglie in lutto e a tutto il popolo burkinabé, afflitto da questa tragedia. Auguriamo una pronta guarigione ai feriti” scrivono i Vescovi che invitano “i figli e le figlie della Chiesa della Famiglia di Dio in Burkina Faso ad intensificare la loro preghiera per la pace nel Paese”.
In Niger, nella notte tra il 24 e il 25 agosto a Baroua nella regione di Diffa, “una posizione dell’esercito del Niger è stata attaccata da un centinaio di elementi di Boko Haram provenienti dal lago Ciad” afferma un comunicato dell’esercito di Niamey. Secondo il comunicato nel combattimento sono stati uccisi 16 soldati nigerini e una cinquantina di membri di Boko Haram, Il 20 agosto 19 civili erano stati uccisi in attacco di sospetti jihadisti contro un villaggio nella regione di Tillabe'ri, nel Niger occidentale. I jihadisti hanno assalito i fedeli che stavano terminando la preghiera del venerdì nella locale moschea.
Il Niger deve fronteggiare sia gruppi, affiliati ad Al Qaida o allo Stato Islamico, che operano nell’’ovest del Paese, sia i il gruppo nigeriano Boko Haram e la sua ala dissidente divenuta lo Stato Islamico nell’Africa occidentale, che operano nella zona del lago Ciad.
Nel frattempo si precisano meglio le circostanze dell’agguato avvenuto in Mali il 19 agosto (vedi (vedi Fides 19/8/2021). Una quarantina di soldati di un reparto di élite, addestrato da militari statunitensi e spagnoli, sono morti in una serie di imboscate successive nella regione di Mopti, nel centro del Paese. I terroristi hanno anche catturato un numero imprecisato di soldati e numerosi veicoli militari e di armi. (L.M.) (Agenzia Fides 26/8/2021)
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ASIA/KAZAKHSTAN - Si apre il processo di beatificazione di Gertrude Detzel, missionaria nei Gulag
 
Karaganda (Agenzia Fides) - La Chiesa cattolica in Kazakhstan ha ufficialmente aperto la fase diocesana del processo di beatificazione di Gertrude Detzel, laica cattolica, che “attraverso la sua fede fervente e il suo esempio di vita, ha influenzato lo sviluppo di vocazioni sacerdotali e monastiche”. Lo ha riferito all'Agenzia Fides Mons. Adelio Dell’Oro, Vescovo della diocesi di Karaganda, città dove la serva di Dio ha risieduto fino alla morte, avvenuta nel 1971.
Fin da bambina, Gertrude Detzel desiderava consacrarsi a Dio e diventare suora e offrire la sua esistenza per l'annuncio del Vangelo, scontrandosi però con la realtà dell’Unione Sovietica: “E’ diventata, però, una servitrice di Dio nel mondo: ha annunciato la Buona Novella e ha istruito le persone con la sua parola, la preghiera, ma soprattutto con l’esempio di una vita santa, che era particolarmente preziosa e necessaria in assenza di sacerdoti e di chiese aperte”, spiega il Vescovo.
Nel 1941, con l’inizio della guerra, Gertrude Detzel fu deportata nella città di Pakhta Aral, nel Kazakhstan meridionale, dove raccoglieva cotone e continuava il suo ministero di preghiera e di evangelizzazione, conducendo nel silenzio le persone a Dio. Subì numerosi trasferimenti e condanne ai lavori forzati. Nel 1956 le permisero di lasciare l’ultimo campo in cui era stata deportata e si trasferì a Karaganda, dove si dedicò totalmente a servire i tanti credenti della zona.
“Questa donna coraggiosa non solo è riuscita a preservare la sua fede nella difficile condizioni situazione della repressione staliniana, ma ha anche predicato senza paura Gesù Cristo ai prigionieri del Gulag”, si legge nella breve biografia redatta dal postulatore padre Ruslan Rakhimbernov. Con l'inizio della fase diocesana del processo, è stata creata una apposita commissione che raccoglierà tutte le testimonianze sulla vita di Detzel. Una volta conclusa la fase diocesana del processo, se l'esito dell'istruttoria sarà ritenuto positivo, la documentazione verrà inviata alla Santa Sede, alla Congregazione per le cause dei Santi, che ne curerà la seconda fase.
(LF) (Agenzia Fides 26/8/2021)
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ASIA/INDIA - "Per non dimenticare": i cristiani dell'Orissa chiedono giustizia per le violenze subite 13 anni fa
 
Bhubaneswar (Agenzia Fides) – Fedeli laici, sacerdoti, suore, accademici, leader cristiani, avvocati e credenti di altre religiosi hanno celebrato il 25 agosto la 13a "Giornata della Memoria" dedicata alle vittime dei massacri subiti dai cristiani dell'Orissa 13 anni fa. Le celebrazioni proseguono per diversi giorni, con incontri preghiera, liturgie, webinar, che intendono ricordare la feroce campagna di violenza anticristiana avvenuta nel 2008 a Kandhamal, nell'Arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar, nello stato indiano di Orissa (Odisha), nell'India orientale. Il National Solidarity Forum, un consorzio di oltre 70 gruppi della società civile, ha organizzato il webinar nazionale titolato "In difesa dei diritti umani e delle libertà democratiche" che ha radunato migliaia di partecipanti in tutta la nazione. “Il governo statale dell'Orissa ha completamente omesso di agire per prevenire crimini orribili. Ha cercato di dipingere il massacro lo come una disputa inter-tribale, invece di riconoscere la gravità della violenza", ha affermato A.P. Shah, ex giudice dell'Alta Corte di Delhi e Madras, relatore al webinar.
“Il governo ha nominato due Commissioni, come di solito accade in queste materie, ma entrambe sono state inefficaci. Nessuna Commissione ha emesso alcun rapporto sui fatti. Quasi 13 anni dopo, non ci sono nemmeno i documenti con le segnalazioni. Tali Commissioni, specialmente quelle istituite dopo episodi di violenza inter-comunitaria, tendono ad essere organismi destinati a placare temporaneamente l'opinione pubblica, ma per lo più non producono mai qualcosa di significativo", ha affermato. "Il modo in cui è stata gestita la violenza di Kandhamal è un esempio da manuale del fallimento del sistema di giustizia penale indiano", ha detto. Shah ha consegnato il primo "Kandhamal Human Rights Award" alla "People's Union for Civil Liberties", una ONG con sede a Delhi, e il premio individuale al laico cattolico di Kandhamal, Paul Pradhan.
L'ex giudice ha ricordato che, alla guida del "Tribunale nazionale del popolo" a Delhi nel 2012 “abbiamo pubblicato un rapporto che concludeva inequivocabilmente che 'la carneficina di Kandhamal' è un atto preordinato diretto principalmente contro la comunità cristiana, per vasta maggioranza composta da dalit cristiani e adivasi (tribali); e contro coloro che hanno sostenuto o lavorato con la comunità"
Ha inoltre notato "la preoccupante ripresa del comunitarismo negli ultimi anni in India. Il nazionalismo religioso è venuto alla ribalta, sostenuto da potenti forze politiche. Questa ideologia immagina una nazione sotto il dominio indù, una nazione esclusivamente indù. Secondo questa visione, musulmani e cristiani sono stranieri e indesiderati. Questa è una tendenza pericolosa", ha detto Shah.
John Dayal, giornalista cattolico impegnato per la difesa dei diritti umani, ha affermato che "la violenza contro le minoranze religiose come cristiani e musulmani è in aumento in India. Bisogna resistere e denunciare questi crimini d'odio che vanno contro lo spirito di democrazia, pace e armonia".
Molte azioni e programmi sono organizzati a livello locale e nazionale. “Le vittime innocenti di Kandhamal dovrebbero ricevere giustizia. Sono passati 13 anni. Pace e l'armonia vano coltivate nella mente e nel cuore della gente di Kandhamal, partendo dalla giustizia", ha affermato Lambodar Singh, un leader locale.
Nell'area di Kandhamal, tra le celebrazioni, si è tenuto un "Festival cinematografico sulla giustizia, la pace e l'armonia". “Gli esseri umani hanno oppresso, mutilato, umiliato, ucciso i propri simili, con gravi violazioni dei diritti umani. Una delle ragioni di tali violazioni dei diritti umani in India è basata dell'identità. La gente è stata uccisa, maltrattata, linciata, molestata, violentata e bruciata. Le vittime e i sopravvissuti come dalit, adivasi, pescatori, donne, minoranze religiose e molte altre persone emarginate stanno ancora lottando in India per i loro diritti. Le violazioni dei diritti umani sul popolo di Kandhamal sono avvenute in questo contesto ", ha affermato Sasi K.P., regista e responsabile del Festival cinematografico. Svoltasi dal 24 al 26 agosto, la manifestazione filmica intende ricordare che "deve esserci unità tra tutti i gruppi e le comunità emarginate in India", ha detto Sasi.
Kandhamal, uno dei distretti più poveri dell'India, è stato sede di una delle più raccapriccianti campagne di violenza indiscriminata già nel dicembre 2007 e poi nell'agosto 2008. L'innesco della violenza è stato, apparentemente, l'uccisione di un leader religioso indù, Swami Lakshmananda Saraswati, In seguito alla propaganda di odio da parte di gruppi estremisti indù, la colpa dell'omicidio fu addossata ai cristiani e questo causò una spirale di attacchi contro i cristiani dalit e adivasi nel distretto.
Oltre 360 ​​chiese e luoghi di culto furono attaccati, 5.600 case sono state distrutte o date alle fiamme, oltre 100 persone sono state uccise, oltre 40 donne violentate, molestate o maltrattate. Oltre 60mila persone furono costretti a lasciare le loro case (dove non hanno mai più fatto ritorno) e a vivere da sfollati mentre l'istruzione di oltre 12.000 bambini è stata interrotta. Le vittime e i sopravvissuti non hanno ancora ricevuto giustizia. La Chiesa cattolica in Orissa è sempre stata accanto ai cristiani perseguitati con iniziative e solidarietà di carattere umano, spirituale, materiale, con assistenza legale e psicologica.
(SD-PA) (Agenzia Fides 26/8/2021)


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ASIA/IRAQ - Il movimento di Muqtada al Sadr rilancia la campagna per restituire case e terreni sottratti illegalmente a cristiani e mandei
 
Baghdad (Agenzia Fides) – Sono già più di ottanta i beni immobiliari – terreni e case – restituiti ai legittimi proprietari in virtù della campagna promossa dal leader sciita Muqtada al Sadr a favore di cittadini cristiani e mandei che negli ultimi anni avevano subito usurpazioni arbitrarie e illegittime delle loro proprietà da parte di soggetti singoli o gruppi organizzati. A riferire i risultati fin qui raggiunti dall’iniziativa ispirata da Muqtada al Sadr è stato Hakim al Zamili, esponente di spicco del Movimento sadrista (la formazione politica che fa capo a Muqtada al Sadr), che in passato ha anche guidato la Commissione parlamentare irachena per la sicurezza e la difesa.
In un comunicato, rilanciato mercoledì 25 agosto da diversi media iracheni, al Zamili ha specificato che gli ultimi beni immobili restituiti ai legittimi proprietari cristiani e mandei sono concentrati nell’area di Baghdad, e che finora il Comitato promosso ad hoc su indicazione di al Sadr per realizzare l’opera di riconsegna ha raccolto più di 140 richieste di restituzione avanzate da cittadini cristiani e mandei che nelle recenti, convulse fasi della storia irachena avevano subito anche l’esproprio illegale delle loro proprietà immobiliari.
All’inizio del 2021, come riferito dall’Agenzia Fides (vedi Fides 4/1/2021), il leader sciita iracheno Muqtada al Sadr (a capo della formazione politica sadrista che gode di una forte rappresentanza nel Parlamento di Baghdad) aveva disposto la creazione di un Comitato ad hoc, incaricato di raccogliere e verificare notizie e reclami riguardanti i casi di esproprio abusivo di beni immobiliari subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani e mandei (questi ultimi appartenenti a una minoranza religiosa che segue dottrine di matrice gnostica) in diverse regioni del Paese. L’intento dell’operazione sponsorizzata dal leader sciita – si leggeva nel comunicato - era quello di ristabilire la giustizia, ponendo fine alle violazioni lesive dei diritti di proprietà dei “fratelli cristiani”, anche quando a commetterle fossero stati membri dello stesso movimento sadrista. La richiesta di segnalare casi di espropriazioni illegali subite era estesa anche alle famiglie di cristiani che hanno lasciato il Paese negli ultimi anni, con la richiesta di far pervenire al comitato entro la fine del prossimo Ramadan le segnalazioni di usurpazioni fraudolente subite.
Il fenomeno della sottrazione illegale delle case dei cristiani ha potuto prendere piede anche grazie a connivenze e coperture di funzionari corrotti e disonesti, che si mettono a servizio di singoli impostori e gruppi organizzati di truffatori (vedi Fides 23/7/2015). Il furto “legalizzato” delle proprietà delle famiglie cristiane è strettamente collegato all'esodo di massa dei cristiani iracheni, accentuatosi a partire dal 2003, dopo gli interventi militari a guida Usa messi in atto per abbattere il regime di Saddam Hussein. Tanti truffatori si sono appropriati di case e terreni rimasti incustoditi, contando sulla facile previsione che nessuno dei proprietari sarebbe tornato a reclamarne la proprietà.
Il controverso leader sciita Muqtada al Sadr è noto per essere stato anche il fondatore dell'esercito del Mahdi, la milizia – ufficialmente sciolta nel 2008 - creata nel 2003 per combattere le forze armate straniere presenti in Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Gli analisti hanno registrato negli ultimi dieci anni diversi cambi di passo del leader, che nel 2008 ha sciolto la sua milizia e non appare allineato con l'Iran. In passato, Negli scenari politici iracheni degli ultimi anni, Muqtada al Sadr ha provato anche a profilarsi come un potenziale mediatore. In questa prospettiva venne interpretata anche la visita da lui compiuta nel luglio 2017 in Arabia Saudita per incontrare il Principe Mohammed Bin Salman. (GV) (Agenzia Fides 26/8/2021)
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AMERICA/PERU’ - I Vescovi condividono “sofferenze e incertezze del paese” e chiedono “riconciliazione e superamento delle polarizzazioni”
 
Lima (Agenzia Fides) – I Vescovi del Perù, in un loro messaggio del 25 agosto, affermano di condividere "le sofferenze e le grandi incertezze che il nostro amato Paese sta vivendo", ma anche in questa situazione, come sulla barca in tempesta, invitano a pensare che Gesù è sempre vicino a noi, ci dice che “non siamo soli, che abbiamo sempre motivi di speranza”.
Il messaggio, pervenuto a Fides, è articolato in 12 punti, nei quali l’Episcopato peruviano analizza la situazione del paese, evidenziando prima di tutto la sua profonda preoccupazione per l’incertezza creata dalla “polarizzazione politica estrema” che si ripercuote in tutti gli ambiti sociali e soprattutto nella vita dei più poveri ed emarginati. colpendo sempre più i valori della convivenza umana. Quindi i Vescovi denunciano "il doloroso e storico oblio della situazione di migliaia di connazionali provenienti dalle periferie del paese", che accentua le diseguaglianze sociali, genera dolore e risentimento, accresce la sfiducia tra le autorità e la popolazione. “Molti connazioli soffrono
per la mancanza di lavoro, l'alto costo della vita e la paura di investire nel nostro paese” proseguono, oltre che per la minaccia di una terza ondata di Covid-19. A questo riguardo, rilevano che molti genitori sono preoccupati in quanto l’insegnamento digitale non ha raggiunto gli obiettivi di apprendimento prefissati; molti alunni, soprattutto quelli più poveri, non hanno potuto acedere alle classi digitali; inoltre si avvertono nei ragazzi e nelle ragazze, chiari segnali di sofferenza mentale ed emotiva per la mancanza di contatto diretto con compagni di classe e insegnanti. “Ci appelliamo con insistenza al Governo, per la fornitura dei vaccini necessari per tutti, e allo stesso tempo invitiamo tutti i peruviani a vaccinarsi, come espressione di responsabilità per se stessi e per gli altri" chiedono i Vescovi, oltre al diritto di esprimere la nostra fede in maniera libera e responsabile, in un contesto di sicurezza sanitaria. La fede può contribuire "alla riconciliazione e al superamento delle polarizzazioni, generando una cultura dell'incontro e del dialogo. L'intolleranza, l'indifferenza e la discriminazione non devono continuare a prevalere nella nostra convivenza" ribadisce il testo.
I Vescovi peruviani quindi esortano, “in questo momento cruciale della nostra storia”, a camminare insieme “nella ricerca della riconciliazione e del benessere di tutti", avendo obiettivi comuni, superando la disillusione, uscendo da noi stessi e dai nostri interessi, per dire: “Sì alla vicinanza e no all’isolamento, sì alla cultura dell'incontro e no alla cultura dello scontro”.
Nella ricerca del bene comune e della democrazia, non aiuta certo "il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare", invece vanno usati i meccanismi previsti dalla Costituzione e dal sistema legislativo vigente. Per questo il messaggio invita: "Orientiamo la democrazia verso la libertà, evitando ogni autoritarismo. Verso l'uguaglianza combattendo ogni forma di discriminazione e povertà. Verso la fraternità, promuovendo l'amicizia sociale e la cura della nostra grande diversità culturale e della ricca biodiversità”.
Nella conclusione, i Vescovi ribadiscono la loro "disponibilità al dialogo con le autorità del Governo", facendo appello "a lavorare insieme per il bene comune attraverso tavoli di dialogo": “La Chiesa tende le sue mani e reitera la disposizione a costruire ponti e a lavorare insieme nella fraternità e nell’amicizia sociale, per il bene comune, lo sviluppo umano integrale e per rafforzare la nostra fragile democrazia". (SL) (Agenzia Fides 26/08/2021)
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AMERICA/NICARAGUA - Il Cardinale Brenes invita a “non abbassare la guardia nell’osservare i protocolli sanitari”; il paese si prepara alla festa dell’Indipendenza
 
Managua (Agenzia Fides) – “Coscienti della situazione sanitaria critica che affrontiamo, vi invito, con fede e fiducia nella Divina Provvidenza, con serenità e molta responsabilità, a non abbassare la guardia nell’osservare il protocollo di base (uso delle mascherine, sanificazione delle mani e distanziamento fisico raccomandato); protocollo che deve essere seguito sia a livello personale che negli spazi liturgici ed ecclesiali che sono sotto la nostra responsabilità ecclesiale. E’ compito e dovere di tutti noi, pastori e fedeli, unire gli sforzi per la cura della nostra salute e per dare testimonianza di una Chiesa responsabile e solidale”. Lo raccomanda l’Arcivescovo di Managua, il Cardinale Leopoldo Brenes, in una circolare rivolta a tutti i fedeli dell’Arcidiocesi, diffusa in questi giorni.
Nel testo, pervenuto all’Agenzia Fides, l’Arcivescovo ricorda che chiese e cappelle saranno aperte “in orari opportuni, secondo la realtà di ogni comunità, seguendo il protocollo generale indicato ed il protocollo stabilito in ogni comunità parrocchiale”. Avverte inoltre che, qualora la situazione particolare di qualche comunità o istituzione ecclesiale richiedesse l’adozione di un piano di emergenza, dovranno essere consultati i rispettivi consigli pastorali e le autorità superiori, per valutare le circostanze e attuare le relative misure in comunione.
Il Cardinale ricorda che le celebrazioni liturgiche e le attività pastorali “si dovranno realizzare con creatività, sapendo armonizzare la cura della salute con l’attenzione spirituale dei fedeli”: è il momento di ricorrere per le attività pastorali, ai mezzi di comunicazione alternativi, limitando la durata e il numero dei partecipanti alle attività.
Ai fedeli l’Arcivescovo chiede di essere vicini ai loro parroci in questo momento, rendendo possibile l’uso delle chiese e ricorrendo alle alternative offerte dalla liturgia. “Preghiamo e imploriamo da Cristo e dalla sua Madre Santissima la loro protezione, il loro aiuto e la forza, in questi tempi di prova, perché tutto possiamo ‘in Cristo che ci dà forza’ (Flp 4,13)” conclude il Cardinale Brenes.
Dal 15 agosto al 15 settembre il Nicaragua sta vivendo il “Mese della Patria” in preparazione alla festa nazionale dell’Indipendenza del 15 settembre. Dal 16 al 23 agosto si è riflettuto sulla storia della Chiesa in Nicaragua, attraverso incontri virtuali e momenti di preghiera con la pastorale giovanile. Il tema di riflessione della settimana dal 24 al 31 è la figura di San Giuseppe, con incontri virtuali e momenti di preghiera con i movimenti laicali. Dal 1° al 4 settembre al centro ci sarà la famiglia, con un’ora di adorazione per le famiglie nicarguensi in tutte le chiese, il 2 settembre. Il 6 e 7 settembre saranno organizzate nelle diocesi giornate di preghiera per i sacerdoti, i religiose e le religiose. Infine la settimana dall’8 al 15 settembre sarà dedicata alla preghiera per la Patria. (SL) (Agenzia Fides 26/08/2021)

mercoledì 17 febbraio 2021

Agenzia Fides 17 febbraio 2021

 

AFRICA/CONGO RD - Covid-19: migranti burundesi bloccati nel Sud Kivu per la chiusura del confine
 
Kinshasa (Agenzia Fides) – “A causa dell'isolamento per la lotta al Covid-19, attualmente nel villaggio di Katogota osserviamo la chiusura dei confini. Quindi è impossibile per gli immigrati burundesi che si trovano nel nostro villaggio tornare nel loro Paese” afferma una nota inviata all’Agenzia Fides dall’organizzazione umanitaria ACMEJ, che opera in questo villaggio del Sud Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), al confine col Burundi.
Gli espatriati burundesi sono arrivati nella RDC per visitare parenti e amici, altri per cercare un lavoro, altri ancora fuggono dall'insicurezza nel loro Paese. Al momento, alcuni sono ospitati dalle famiglie d’accoglienza, altri stanno in case prese in affitto. Si moltiplicano però i conflitti tra la popolazione di Katogota e gli immigrati che non possono più permettersi di pagare l’affitto della casa, mentre alcuni di loro sono diventati un pesante fardello per le famiglie che li ospitano.
Anche il centro medico locale che non ha i mezzi economici per garantire cure gratuite, si è lamentato di essere sopraffatto dalla situazione degli immigrati burundesi affetti da diverse malattie che non sono in grado di sostenere le spese mediche. I burundesi hanno bisogno urgente di aiuti umanitari soprattutto per i bambini che continuano ad ammalarsi. È quindi altamente auspicabile e urgente che le organizzazioni umanitarie inviino aiuti agli immigrati in difficoltà, in primis medicinali e assistenza medica.
"Auspichiamo che i governi del Burundi e della RDC guidino una discussione bilaterale per la riapertura delle frontiere, nel rispetto delle misure di barriera contro il Covid-19. Ciò consentirebbe a questi immigrati di tornare a casa e la situazione della comunità di Katogota potrebbe alleggerirsi” conclude l’ACMEJ. (L.M.) (Agenzia Fides 17/2/2021)
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AFRICA/SUD SUDAN - Aumentano i contagi da Coronavirus: la polizia emana sanzioni anche per le celebrazioni religiose
 
Bor (Agenzia Fides) - I continui assembramenti dovuti alle riunioni pubbliche in occasione di eventi, comprese le funzioni religiose domenicali, hanno causato l’intervento delle autorità della polizia di Bor, capitale dello stato di Jonglei, situato nell’est del paese. A causa della mancata adesione alle misure di prevenzione previste contro il Covid durante le funzioni religiose, le autorità hanno ammonito le chiese di severe sanzioni contro quanti verranno trovati in condizione di violazione.
Alla fine del mese scorso, in seguito ad una nuova ondata di contagi da Coronavirus, la National Taskforce sul Covid-19, ha emesso un ordine che vieta tutte le forme di incontri sociali fino al 3 marzo. In una dichiarazione ad una emittente locale, il portavoce della polizia di stato, John Mawut Ngangha, ha affermato di aver applicato misure preventive contro il Coronavirus nei luoghi di culto già dalla scorsa settimana. Mawut ha sottolineato che oltre a far rispettare il divieto del governo la Taskforce è impegnata a garantire educazione sanitaria sul Covid-19.
“Come forze di polizia, siamo impegnati a rafforzare l'ordine governativo che vieta ogni forma di raduno sociale. Domenica ho assistito alla funzione presso la Nigel Church, le persone osservavano il distanziamento sociale ed erano radunate in preghiera sotto gli alberi” ha detto Mawut.
La reazione degli abitanti di Bor non ha tardato ad arrivare. I cittadini si sono detti consapevoli della pandemia ma di non essere sempre in grado di attenersi ai protocolli di prevenzione a causa delle difficoltà logistiche e strutturali.
Il vescovo James Deng, della chiesa episcopale del Sud Sudan, diocesi di Makuac, ha detto che "le funzioni domenicali proseguono" , sottolineando che Dio è l'unico faro di speranza per il sud sudanese. “Non vedo motivo per cui le chiese dovrebbero essere chiuse visto che luoghi di assembramento come i mercati sono sempre congestionati. Come Chiesa, crediamo, che sconfiggeremo questo virus anche con la preghiera”, ha detto il vescovo Deng. “Non siamo contro il governo - ha sottolineato. La pandemia esiste ma non c'è bisogno di vietare l'apertura delle chiese. Oltre a predicare il Vangelo educhiamo le persone a detergere le mani e osservare le pratiche di igiene e il distanziamento sociale, sebbene vi sia carenza di disinfettanti”.
Il mese scorso il direttore sanitario del Bor State Hospital, attraverso le stazioni radio locali, ha avviato la formazione sull'educazione sanitaria sul virus, anche se le tradizioni e gli sfollamenti causati dalle inondazioni e dalle difficoltà economiche rendono difficile l'adesione alle misure COVID-19.
Dall’inizio di questa settimana il Paese ha registrato 148 nuovi casi, portando il numero totale di contagi registrati a 5.710.
(AP) (17/2/2021 Agenzia Fides)
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ASIA/PAKISTAN - Due giovani cristiani incriminati con false accuse di blasfemia: gli avvocati contestano i reati
 
Lahore (Agenzia Fides) - Due giovani cristiani sono stati incriminati per blasfemia, accusati di aver predicato il cristianesimo a giovani musulmani e di aver disonorato pubblicamente l'islam, il Corano e il Profeta Maometto al Model Town Park di Lahore. I due sono Haroon Ayub Masih di 25 anni e Salamat Mansha Masih di 30 anni, membri di una comunità cristiana evangelica. L'arresto di uno degli imputati (l'altro è fuggito) è avvenuto subito dopo che Haroon Ahmad, un uomo musulmano, ha presentato denuncia alla stazione di polizia di Model Town contro i due giovani il 13 febbraio scorso, contestando la violazione delle "leggi sulla blasfemia", ovvero l'articolo 295 ai commi "a", "b" e "c" del Codice penale del Pakistan.
Secondo il denunciante, i due Haroon Ayub Masih e Salamat Mansha Masih si sono avvicinati a un gruppo di persone musulmane iniziando a predicare il cristianesimo e consegnando loro un libro in lingua urdu intitolato "Zindagi ka Paani" (Acqua della vita). Il musulmano Haroon Ahmad nel primo rapporto di indagine (First Information Report) dice: "I due uomini hanno iniziato a commettere blasfemia disonorando il Profeta Maometto, dicendo che era un vagabondo, che si è sposato per aumentare la sua generazione mentre Gesù non si è sposato e ha proclamato la verità". Aggiunge il rapporto, pervenuto a Fides : "Hanno detto che la Torah e i Vangeli sono libri veri e il Sacro Corano non dice la verità, hanno continuato a disonorare l'Islam, ferendo le nostre emozioni e sentimenti religiosi apertamente e pubblicamente ”. Il denunciante afferma inoltre: “Gli uomini cristiani hanno commesso blasfemia disonorando il Profeta Muhammad, il Sacro Corano e l'Islam. Vi chiedo di punire i due e la casa editrice secondo le leggi sulla blasfemia, per aver pubblicato e stampato questa letteratura ”.
La polizia ha avviato un procedimento ai sensi delle leggi sulla blasfemia 295 al comma "A" che incrimina "atti deliberati o dolosi volti a oltraggiare i sentimenti religiosi di qualsiasi persona, insultando la sua religione e credenze religiose", che prevede 10 anni di reclusione o multa; si cita poi il comma 295 B cioè "aver vilipeso il Sacro Corano" per il quale la pena è la reclusione a vita; e si formulano accuse secondo il 295 C per aver "usato osservazioni dispregiative, pronunciate, scritte direttamente o indirettamente che offendono il nome del Profeta Maometto o altri profeti" per cui è prevista la pena di morte obbligatoria.
Uno dei due cristiani, Salamat Mansha Masih, è stato arrestato dalla polizia mentre Haroon Ayub Masih è riuscito a fuggire e anche la sua famiglia si è nascosta.
L'avvocato cristiano Aneeqa Maria Anthony, responsabile della Ong "The Voice", che ha assunto la difesa legale di Haroon Ayub Masih, così chiarisce all'Agenzia Fides l'accaduto, rifendendo quanto ha raccontato Haroon Masih: "Stavamo studiando e discutendo per conto nostro del Nuovo Testamento, quando alcuni giovani di passaggio si sono fermati per ascoltare cosa stavamo dicendo. Dopo aver sentito che stavamo parlando della Bibbia, hanno chiesto informazioni e allora abbiamo dato loro un piccolo libro chiamato 'Acqua della vita' con alcuni estratti dal Nuovo Testamento. Non c'è niente di blasfemo in quel libro. Uno di loro ci ha chiesto di smettere di leggere e parlare della Bibbia in un luogo aperto, poiché non sarebbe consentito. Siamo rimasti scioccati nel sentire questo, perché non li abbiamo invitati ad ascoltarci. Abbiamo detto loro di non interferire poiché stavano , secondo i nostri diritti di cittadini, semplicemente parlando tra noi. A quel punto il confronto è diventato una discussione accesa e abbiamo preferito abbandonare il luogo".
Prosegue l'avvocato: "Alcuni dei giovani musulmani, però, hanno preso Salamat e lo hanno portato al responsabile della sicurezza del parco, accusandolo proditoriamente i due di aver predicato il cristianesimo e aver bestemmiato contro l'islam, ma questo è del tutto falso. Così lo hanno portato alla polizia ed è scattata la denuncia". Haroon Masih ha dichiarato: "Leggo la Bibbia con i miei fratelli, serviamo Dio in diversi luoghi del Pakistan. Non ho mai parlato contro nessuna religione. Rispetto il Profeta Maometto ”.
L'avvocato Anthony riferisce un altro aspetto delicato: la denuncia è registrata è firmata da Haroon Ahmad che non era presente sul luogo , non è un testimone oculare dei fatti, ma che è membro del movimento estremista "Tehrik-e Labaik", che ha voluto assumersi la responsabilità di accusare i due cristiani, affermando di "voler continuare a proteggere l'Islam da ogni male".
L'avvocato informa che la prima udienza sul caso è prevista il 24 febbraio e che, intanto ha ottenuto una cauzione provvisoria per Haroon Ayub Masih. E conclude: "Cerchiamo giustizia per due giovani cristiani innocenti. Il gruppo Tehrik e Labaik sembra aver preso il caso molto seriamente e violentemente e agisce in maniera minacciosa. Non ci lasceremo intimorire ma abbiamo bisogno del sostegno e della preghiera di tanti".
(PA-AG) (Agenzia Fides 17/2/2021)
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ASIA/IRAQ - Il Patriarca caldeo Sako: è sbagliato pretendere che la visita del Papa risolva tutti i nostri problemi
 
Baghdad (Agenzia Fides) – Papa Francesco “non viene in Iraq per risolvere tutti i problemi” delle comunità cristiane locali. Non dipende certo da lui riportare in Iraq “i cristiani che sono emigrati all’estero”, o “recuperare le loro proprietà usurpate”. Spetta piuttosto al governo iracheno “creare le condizioni per il ritorno”. Così il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha voluto rispondere con un comunicato ufficiale a quelle da lui stesso indicate come “critiche messe in circolo attraverso i social media” alla imminente visita papale in Iraq, in programma dal 5 all’8 marzo. Nel breve comunicato, diffuso dai canali ufficiali del Patriarcato caldeo, il Patriarca ha preso atto che il Papa “non potrà visitare tutti i santuari”, ma nel contempo ha messo in evidenza la forte portata simbolica dei luoghi toccati dalla visita papale – compresi Ur, Najaf, Mosul e Quaraqosh – da dove il vescovo di Roma potrà diffondere “parole di amore, fratellanza, riconciliazione, tolleranza e rispetto per la vita, la diversità e il pluralismo”.
Intanto, in questi giorni, il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako, continua a incontrare rappresentanti di istituzioni, forze politiche e raggruppamenti sociali e religiosi, tutti desiderosi di esprimere interesse e compiacimento per la prossima visita papale. Tra gli altri, il Patriarca ha ricevuto anche una delegazione dell’Alleanza politica sciita al Hikma (”Corrente di Saggezza nazionale”, nonché il parlamentare Saib Khidir, rappresentante della minoranza yazida.(GV) (Agenzia Fides 17/2/2021)
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AMERICA/CILE - Una Quaresima di conversione, purificazione e speranza
 
Santiago (Agenzia Fides) – Nel suo messaggio per la Quaresima, il Comitato Permanente della Conferenza Episcopale del Cile sottolinea l’imposizione delle ceneri con cui inizia questo tempo liturgico, invitando a partecipare di persona o da remoto, secondo le disposizioni relative alla pandemia, "per vivere questo profondo segno di umiltà senza minacciare la nostra salute o quella degli altri". Questo tempo di conversione ci invita a rinnovare la nostra fede e la nostra speranza, è anche un tempo di purificazione e penitenza per il dolore causato con i nostri peccati. "I Pastori della Chiesa chiedono ancora una volta perdono a Dio e ai nostri fratelli e sorelle che sono stati abusati, maltrattati, esclusi o ignorati da alcuni dei loro ministri”.
“L'ultimo anno è stato difficile per tutti – scrivono i Vescovi -. La pandemia di Covid-19 ha evidenziato la nostra fragilità; dobbiamo piangere i gravi danni alla salute di molte persone, tra cui molte che hanno perso la vita; abbiamo anche subito le sue gravi conseguenze sociali che diventano più drammatiche tra i più vulnerabili”. Invitano tuttavia a ringraziare Dio “per le innumerevoli espressioni di solidarietà fraterna, carità e vicinanza, nonché per l'impegno professionale di coloro che lavorano al servizio dei malati negli ospedali e nei centri sanitari. Ringraziamo anche sacerdoti, diaconi, religiose, religiosi e laici che hanno cercato di accompagnare con i sacramenti, la preghiera e il conforto in questo momento di incertezza.”
I Vescovi lamentano anche gli atti di violenza che continuano a verificarsi nella società cilena, con la perdita di vite umane, aggressioni a persone, case, luoghi pubblici e persino luoghi di culto di diverse confessioni religiose. Aumenta significativamente la migrazione nel nord del paese, di persone provenienti da nazioni con un'enorme crisi sociale e politica. Alcune manifestazioni climatiche di insolita intensità, hanno causato gravi danni alle famiglie che hanno perso le loro case, le attività agricole ed economiche, portando incertezza e insicurezza.
“In questo insieme di situazioni, molte persone si chiedono cosa ci sta dicendo il Signore? Cosa possiamo fare per vivere il nostro status di cristiani in questo momento?” I Vescovi rispondono: “Meditare con cuore sincero la Parola di Dio, fonte permanente di salvezza e luce, per il discernimento quotidiano, riveste una particolare importanza in questo tempo liturgico della Quaresima”. Ricordano quindi la preghiera personale e comunitaria, che è sempre un modo sicuro per scoprire la volontà di Dio. "Non smettiamo mai di pregare incessantemente per il dono della vita e della salute, della giustizia e della pace" aggiungono, e citano il Messaggio di Quaresima 2021 di Papa Francesco: "la via della povertà e della privazione (digiuno), lo sguardo e i gesti dell'amore verso l'uomo ferito (elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (preghiera) ci permettono di incarnare fede sincera, speranza viva e carità attiva".
Questo tempo complesso che stiamo vivendo ha portato vari tipi di privazione a molti, gli sprechi non hanno posto in una società che cerca di superare le sue disuguaglianze, e “la Quaresima ci dà la possibilità di tornare all'essenziale della nostra vita di credenti, mettendo Cristo al centro". Quindi esortano: "Dobbiamo rinnovarci in atteggiamenti di speranza! La possibilità di accedere a uno dei vaccini contro il Covid-19 ci apre una finestra di speranza per avviare il processo di superamento di questa grave pandemia”. Tutti sono invitati a vaccinarsi, perché “non c’è alcun motivo ragionevole per sospettare che i vaccini siano dannosi o che il loro uso possa essere soggetto a divieti morali.”
Infine i Vescovi cileni ricordano che inizia un anno di importanti decisioni per la vita del Paese "in cui ogni connazionale deve essere protagonista", chiamando a partecipare attivamente e ad essere informati su ciò che riguarda le elezioni, i progetti e i programmi dei candidati. "Come la Quaresima è un cammino per credere e testimoniare un tempo nuovo – concludono -, aiutiamoci con i nostri atteggiamenti personali, familiari e civili perché le giovani generazioni continuino a credere nel Cile e nei valori umani e cristiani che nel corso della storia hanno ispirato la nostra società". (SL) (Agenzia Fides 17/02/2021)
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AMERICA/PERU' - Emergenza sociale e sanitaria: centinaia di migranti provenienti dal Brasile bloccati alla frontiera
 
Puerto Maldonado (Agenzia Fides) – Il Vicario Apostolico di Puerto Maldonado ha rivolto un appello alle autorità governative per quanto accade alla frontiera con il Brasile: dopo l'arrivo di più di 300 migranti, nella maggioranza provenienti da Haiti, il ponte che segna il passaggio di frontiera fra Acre (Brasile) e Madre de Dios (Perù) è diventato luogo di una vera emergenza sociale e sanitaria, dovuta alla chiusura per legge stabilita dalle misure sanitarie.
"Riteniamo che si debba fornire una soluzione immediata a questa situazione per evitare che si scateni un grave conflitto sociale" ha sottolineato il Vicariato nel suo comunicato pubblicato sui social network e sui media locali, e inviato anche a Fides. "I nostri operatori pastorali al confine tra Brasile e Perù riferiscono che attualmente ci sono circa 380 migranti, per lo più haitiani, ma provenienti anche da Senegal, Burkina Faso, Pakistan, Bangladesh e India, che devono entrare in Perù per andare nella regione di Tumbes, al confine con l'Ecuador, e da lì raggiungere le rispettive destinazioni” si legge nel comunicato.
“Tra i migranti ci sono donne incinte, minori e donne che allattano con i loro figli – prosegue il testo -. Infatti, domenica 14 febbraio, il comune brasiliano di Assis, ha inviato un'equipe medica per verificare lo stato di salute dei più vulnerabili alla frontiera e curare i casi che ne avevano bisogno".
"A Iñapari (Perù) - informa il comunicato -, il governo regionale di Madre de Dios dispone delle infrastrutture necessarie per sottoporre tutti i migranti al test PCR molecolare e, in questo modo, garantire che questa azione umanitaria venga svolta con successo senza mettere a rischio la salute pubblica nazionale”.
“Esortiamo le autorità governative regionali e nazionali, e soprattutto la Cancelleria della Repubblica, a trovare la formula che consenta di rispondere immediatamente a questa emergenza, evitando un grave conflitto sociale che si aggiunge ai gravi problemi che già abbiamo" conclude il messaggio del Vicario Apostolico, che teme anche il rischio di un conflitto sociale con i residenti del luogo, dovuto al numero elevato di migranti perché vanno crescendo di giorno in giorno.
(CE) (Agenzia Fides 17/02/2021)
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sabato 23 gennaio 2021

Agenzia Fides 23 gennaio 2021

 

AFRICA/BURKINA FASO - Prete ucciso: si rafforza la pista jihadista. Nel Sahel le violenze dei terroristi hanno provocato 2 milioni di sfollati
 
Ouagadougou (Agenzia Fides) – Si rafforza l’ipotesi che don Rodrigue Sanon, il parroco di Soubaganyedougou (diocesi di Banfora) sia stato vittima di un gruppo jihadista (vedi Fides 21 e 22 gennaio 2021). Secondo gli inquirenti, il sacerdote, bloccato lungo la strada Soubaganyedougou - Banfora, nei pressi di Toumousséni, sarebbe stato ucciso dai suoi rapitori una volta scopertisi braccati dalle forze dell’ordine. Un modo di agire più simile a quello di un gruppo terroristico che non di una banda di delinquenti comuni. È stato scoperto un coltello vicino al corpo insanguinato del sacerdote.
La scomparsa del prete cattolico ha suscitato forte emozione tra i fedeli che si stanno mobilitando nella cattedrale di San Pietro per pregare per l'anima del defunto. Una messa verrà celebrata in assenza del corpo di don Sanon. Su indicazione del procuratore presso il Tribunal de Grande Instance di Banfora, la salma è stata infatti trasferita ieri sera a Ouagadougou per l'autopsia, dove è stata organizzata una veglia di preghiera.
La violenza jihadista nel Sahel ha provocato la fuga di milioni di persone. Secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il numero di persone in fuga dalla violenza nella regione del Sahel in Africa occidentale è quadruplicato negli ultimi due anni, con 2 milioni sfollati all’interno del proprio Paese. Il Sahel ha anche più di 850.000 rifugiati in altri Paesi principalmente provenienti dal Mali.
I militanti legati ad al Qaeda e allo Stato Islamico hanno ampliato il loro raggio d'azione nella regione semiarida ai margini del Sahara, alimentando conflitti etnici in Burkina Faso, Mali e Niger e costringendo intere comunità a fuggire dalle proprie case. Più della metà degli sfollati all'interno del proprio Paese si trova in Burkina Faso, dove molti sono costretti a dormire all'aperto e non hanno abbastanza acqua.
"Le comunità che ospitano gli sfollati hanno raggiunto un punto di rottura", ha detto il portavoce dell’UNHCR Boris Cheshirkov. "La risposta umanitaria è pericolosamente sotto pressione e l'UNHCR sta sollecitando la comunità internazionale a raddoppiare il suo sostegno alla regione”. (L.M.) (Agenzia Fides 23/1/2021)
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ASIA/INDIA - Il Gesuita Stan Swamy in carcere: "La solidarietà mi dà forza e coraggio immensi"
 
Mumbai (Agenzia Fides) - "Apprezzo profondamente la travolgente solidarietà espressa da molte persone in tutto il mondo, in questi 100 giorni dietro le sbarre. A volte la notizia di tanta solidarietà mi ha dato una forza e un coraggio immensi, soprattutto quando l'unica cosa certa in carcere è l'incertezza": sono le parole, pervenute all'Agenzia Fides, dell'83enne Gesuita indiano padre Stan Swamy, in carcere dall'8 ottobre scorso con l'accusa di sedizione. Dietro le sbarre a Mumbai, nonostante l'età e la grave forma di Parkinson di cui soffre, il Gesuita condivide la prigionia con altri 15 tra attivisti e membri di Ong, accusati, in base alla "Unlawful activities prevention act", di terrorismo e di complicità con i ribelli maoisti. Tutti erano a fianco e promuovevano i diritti degli adivasi del Jhakarland indiano, gli indigeni che subivano abusi e patenti violazioni dei loro diritti umani, sociali, culturali, perpetrate da grandi proprietari terrieri o da multinazionali.
In un messaggio di padre Swamy - raccolto dai confratelli Gesuiti indiani che lo hanno visitato in carcere e inviato all'Agenzia Fides - il religioso racconta: "Un altro punto di forza durante questi ultimi cento giorni è stato osservare la difficile situazione degli altri detenuti in attesa di processo. La maggior parte di loro proviene da comunità economicamente e socialmente più deboli. Molti di questi poveri non sanno quali accuse sono state loro rivolte, non hanno visto il loro foglio di accusa e rimangono in prigione per anni, senza alcuna assistenza legale o di altro tipo. Nel complesso, quasi tutti i detenuti e sono costretti a vivere con il minimo indispensabile, ricchi o poveri che siano. Questa condizione crea un senso di fratellanza e di solidarietà comunitaria: sentiamo che è possibile stare vicini e sostenersi l'un l'altro in queste avversità".
Padre Swamy conclude ricordando gli altri attivisti con lui imputati per gli stessi presunti reati: "Noi sedici coimputati non abbiamo potuto incontrarci, poiché siamo alloggiati in carceri diverse o in diverse sezioni all'interno della stessa prigione. Ma canteremo ancora in coro. Un uccello in gabbia può ancora cantare".
Un accorato messaggio di solidarietà in suo favore lo ha pronunciato oggi, in un video messaggio diffuso in tutto il mondo, padre Arturo Sosa, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, affermando: "Padre Stan ha dedicato l'intera esistenza ai più poveri fra i poveri: gli indigeni adivasi e i dalit. E' la voce di chi non ha voce. Ha affrontato i potenti e ha detto loro la verità, è impegnato nella difesa dei diritti umani delle minoranze". La Compagnia di Gesù ha lanciato un appello internazionale per il suo rilascio immediato, affermandone la piena innocenza e notandone le precarie condizioni di salute.
Finora i tentativi di segnalare al governo indiano la sua situazione e gli appelli per la sua liberazione - l'ultimo compiuto da tre Cardinali indiani che hanno incontro nei giorni scorsi il Primo Ministro Narendra Modi - non hanno sortito alcun effetto.
(PA) (Agenzia Fides 23/1/2021)
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ASIA/TURCHIA - In vendita una chiesa armena del XIX secolo. Patriarcato armeno: “E’ triste che edifici sacri diventino fonte di guadagno”
 
Bursa (Agenzia Fides) – Una chiesa storica costruita dalla comunità armena nella regione di Bursa, e attualmente in possesso di proprietari privati, è stata posta in vendita sul mercato immobiliare locale, mentre i responsabili delle comunità armene presenti in Turchia esprimono rammarico e riferiscono di non avere strumenti né giuridici né economici per poter recuperare il luogo di culto cristiano. La chiesa, secondo le indagini compiute dal ricercatore Raif Kaplanoglu, rilanciate anche dal periodico armeno-turco Agos, è stata costruita negli anni Trenta del XIX secolo in un’area a quel tempo abitata da popolazione armena. Essa era intitolata a Surp Krikor Lusavoriç (San Gregorio Illuminatore) ed era officiata da sacerdoti della Chiesa armeno-cattolica.
Dopo gli anni in cui fu perpetrato il Genocidio armeno, l’area intorno alla chiesa rimase spopolata, e l’edificio sacro fu utilizzato anche come deposito di tabacco. I privati che ora ne detengono il possesso hanno provato a venderlo al distretto di Bursa Yildirim, che ha declinato l’offerta per mancanza di fondi. Anche l’Arcivescovo armeno cattolico Lévon Boghos Zékiyan, Arcieparca di Costantinopoli, ha riferito di aver contattato la società immobiliare che pubblicizza la vendita dell’edificio. "Sfortunatamente” ha dichiarato ad Agos l’Arcieparca Zékiyan “non abbiamo il potere di comprare la chiesa. Non ci disturba il fatto che la chiesa abbia una funzione pubblica come luogo culturale. Speriamo di potervi celebrare una liturgia all'anno. Ho intenzione di incontrare le autorità locali della regione nei prossimi giorni”.
Anche il Patriarcato armeno ortodosso di Costantinopoli ha diffuso una dichiarazione al riguardo, esprimendo rammarico per il fatto che "edifici ecclesiastici siano percepiti come un bene commerciale e siano visti da alcuni come una fonte di guadagno". In passato – prosegue la dichiarazione del Patriarcato armeno con sede a Istanbul – i luoghi di culto cristiani erano istituiti, costruiti o restaurati grazie agli “editti del sultano. Sappiamo che proteggere gli edifici ecclesiastici che contribuiscono alla ricchezza culturale del nostro Paese, che non sono più a disposizione delle comunità di riferimento, rappresenta comunque un dovere delle istituzioni competenti dello Stato”.
Di recente, il deputato armeno Garo Paylan, dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli, formazione d'opposizione che unisce forze filo-curde e forze di sinistra) ha rivolto una interrogazione parlamentare al ministro turco della Cultura Mehmet Nuri Ersoy, riportando il caso della antica chiesa armena della Vergine Maria, oggi in stato di abbandono nel villaggio di Germuş, non lontano da Urfa, dove ultimamente una comitiva di amici si è data appuntamento per il loro barbecue conviviale. “Migliaia di chiese” si legge nell’interpellanza di Paylan “sono in attesa di essere restaurate nel nostro Paese. Perché vengono abbandonate al loro destino?”. (GV) (Agenzia Fides 23/1/2021)
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AMERICA/CILE - Dopo 15 anni di lavoro la “Bibbia della Chiesa in America” è ora disponibile per tutti
 
Santiago (Agenzia Fides) - La “Bibbia della Chiesa in America” (BIA), un progetto del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) che si assunse l’incarico di eseguire una traduzione in lingua corrente delle Sacre Scritture da offrire agli ispanofoni di tutte le Americhe, è arrivato a compimento e ora chiunque può acquistarla. Secondo la nota della Conferenza episcopale cilena, pervenuta a Fides, un team di 26 specialisti latinoamericani – sotto la responsabilità del Vescovo cileno Santiago Silva Retamales, Ordinario militare – ha lavorato per 15 anni alla traduzione dei contenuti da ebraico, aramaico e greco, in fedeltà al testo originale ma anche al lettore contemporaneo, cercando di tradurre i significati genuini in lingua corrente.
La “Bibbia della Chiesa in America” include una ricca serie di note pastorali
e teologiche, introduzioni, glossario, mappe e altre risorse, che ne fanno uno strumento fondamentale per l’evangelizzazione e la catechesi nelle comunità cristiane, e può anche essere utilizzata per la formazione biblica permanente e la "lectio divina". Ne sono stati realizzati diversi formati, per le esigenze pastorali. (SL) (Agenzia Fides 23/01/2021)
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AMERICA/MESSICO - A novembre l'Assemblea ecclesiale dell'America Latina e dei Caraibi: "Siamo tutti discepoli missionari in uscita"
 
Città del Messico (Agenzia Fides) - Nell'ambito della “Domenica della Parola di Dio” e della 55esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) presenta l'Assemblea ecclesiale di America latina e Caraibi, domenica 24 gennaio, dalla Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del Messico, alle ore 10:45 (ora locale), attraverso i social network del Celam.
Il motto scelto, "Siamo tutti discepoli missionari in uscita", “ci chiama, in comunione con Papa Francesco, a intraprendere un cammino partecipativo per discernere le nuove strade che dobbiamo percorrere per rispondere alle sfide pastorali della Chiesa in America Latina e nei Caraibi, nel contesto attuale, mentre ricorderemo la V Conferenza Generale dell'Episcopato latinoamericano tenutasi ad Aparecida (Brasile), nel 2007” spiega la nota della Commissione della comunicazione del Celam.
Per il suo carattere sinodale, la realizzazione di questa Assemblea ecclesiale – tra il 21 e il 28 novembre 2021, a Città del Messico – così come il suo processo di ascolto del Popolo di Dio, il suo cammino spirituale e la sua successiva attuazione, “segneranno una pietra miliare nel cammino dei discepoli missionari del nostro continente. Laici, religiosi e religiosi, diaconi, seminaristi, sacerdoti, Vescovi, Cardinali e persone di buona volontà, faranno parte di questo grande evento ecclesiale, sotto la protezione di Santa Maria di Guadalupe, Patrona dell'America Latina e dei Caraibi, mentre ci avviciniamo alla celebrazione dei 500 anni dell'Evento di Guadalupano e ai 2000 anni della nostra Redenzione (2031+2033)”.
La nota infine sottolinea che sarà un'esperienza di ascolto, dialogo e incontro, alla luce della Parola di Dio, del Documento di Aparecida e del Magistero di Papa Francesco, “per contemplare la realtà dei nostri popoli, approfondire le sfide del continente nel contesto della pandemia di Covid-19, ravvivare il nostro impegno pastorale e cercare nuove vie perché tutti abbiano vita in abbondanza”. (SL) (Agenzia Fides 23/01/2021)
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AMERICA/ PERU’ - Anno Missionario di iniziazione alla vita cristiana per "una Chiesa aperta e accogliente”.
 
Cusco (Agenzia Fides) - “Tutti noi vogliamo una Chiesa che viva la comunione, sia aperta e accogliente a tutte le vocazioni, carismi e ministeri; una Chiesa di comunione per bambini, giovani e adulti; una Chiesa formativa e di servizio sempre attenta alla gente”. Così riferisce in una intervista rilasciata all’Agenzia Fides Mons. Richard Daniel Alarcón Urrutia, Arcivescovo Metropolita di Cusco, parlando dell’apertura dell’Anno Missionario di Iniziazione alla Vita Cristiana”, avviato domenica 10 gennaio.
L'Arcivescovo di Cusco ricorda alcuni punti fondamentali, auspicando "una Chiesa formatrice e serva; una migliore formazione nella fede, adeguata a questo tempo di profondi e rapidi cambiamenti, presenti nei bambini, giovani e adolescenti le nuove ideologie". "Di fronte a questa situazione non possiamo restare a braccia incrociate - rimarca il Presule - dobbiamo prendere coscienza della necessità della conversione pastorale”.
Mons. Richard ricordato, inoltre, che "stiamo entrando in un anno decisivo, poiché da quest'anno dipende dal raggiungimento dei frutti dell'ideale di Chiesa proposto nel Piano pastorale arcidiocesano 2018-2022. L’obiettivo che ci prefiggiamo - spiega - è passare da una 'pastorale conservativa' a un ministero missionario, recuperando spazi per la formazione in parrocchia e in famiglia. Urge una formazione rinnovata e aggiornata per avere una vita cristiana impegnata. Dobbiamo aprire percorsi e rompere schemi - afferma il Vescovo - uscire dalle abitudini è una grande ma necessaria sfida”.
Continua mons Urrutia: “Durante quest’anno avremo più spazi di formazione e orientamento. Tutti i fedeli sono invitati a seguire questo nuovo volto di una Chiesa che insegna, guida e accompagna vividamente l'esperienza dell'incontro con Cristo. È importante proporre un itinerario catecumenale ai giovani per maturare la loro fede e amare Gesù conducendo una vita cristiana”.
Inoltre, aderendo all'iniziativa di Papa Francesco, che ha dichiarato il 2021 ‘Anno di San Giuseppe’ , il Pastore della Chiesa di Cusco ha annunciato che sarà proprio il santo, il Patrono dell'Iniziazione alla vita cristiana: “San Giuseppe - sottolinea mons. Richard - ci ricorda la responsabilità che abbiamo di formare ed educare i fedeli, proprio come ha fatto lui con Gesù. La sua opera - conclude - è l'opera di ogni cristiano impegnato nella catechesi, una grande necessità per i tempi di oggi”.
(ES) (Agenzia Fides) (23/1/2021)





LINK
Guarda la video intervista all'Arcivescovo Daniel Alarcón Urrutia sul canale Youtube dell'Agenzia Fides -> https://youtu.be/t4PUu0Y_vmA

lunedì 7 dicembre 2020

Vatican news 7 dicembre 2020

 

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Voto regionale in Indonesia
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In occasione del voto del 9 dicembre, i presuli lanciano un appello perché si rispettino le regole e si lavori per il bene comune 

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

The Chosen ...é sufficiente per me...posso fare molto con questo ..

Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occ...