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mercoledì 20 novembre 2024

 

Francesco: siamo pellegrini, camminare ci avvicina a Dio e alla vita degli altri

Pubblichiamo il testo integrale della prefazione di Francesco al libro "La fede è un viaggio", una antologia di meditazioni del Pontefice per viandanti e pellegrini edita dalla Libreria Editrice Vaticana in vista del Giubileo

Papa Francesco

Quando ero prete a Buenos Aires, e questa abitudine l’ho mantenuta anche da vescovo nella mia città d’origine, amavo camminare a piedi nei vari quartieri per andare a trovare dei confratelli sacerdoti, visitare una comunità religiosa o parlare con gli amici. Camminare fa bene: ci mette in relazione con quanto accade intorno a noi, ci fa scoprire suoni, odori, rumori della realtà che ci circonda, in poche parole, ci avvicina alla vita degli altri.

Camminare significa non stare fermi: credere vuol dire aver dentro un’inquietudine che ci porta verso un “più”, verso un passo in più in avanti, verso un’altezza da raggiungere oggi, sapendo che domani la strada ci porterà più in alto – o più in profondità, nel nostro rapporto con Dio, che è esattamente come il rapporto con l’amato o amata della nostra vita, o tra amici: mai finito, mai scontato, mai appagato, sempre in ricerca, non ancora soddisfacente. Impossibile dire con Dio: «Fatto, tutto a posto, è abbastanza».

Per questo motivo il Giubileo del 2025, insieme alla dimensione essenziale della speranza, ci deve spingere ad una sempre maggior consapevolezza del fatto che la fede è un pellegrinare e che noi su questa terra siamo pellegrini. Non turisti né girovaghi: non ci spostiamo a caso, esistenzialmente parlando. Siamo pellegrini. Il pellegrino vive il suo camminare all’insegna di tre parole-chiave: il rischio, la fatica, la meta.



La copertina del libro LEV "La fede è un viaggio"

Il rischio. Oggi facciamo fatica a capire cosa significasse per i cristiani di un tempo compiere un pellegrinaggio, abituati come siamo alla velocità e comodità dei nostri spostamenti in aereo o in treno. Ma mettersi per strada mille anni fa significava assumersi il rischio di non tornare più a casa a causa dei tanti pericoli che si potevano incontrare sulle varie rotte. La fede di chi sceglieva di mettersi in cammino era più forte di ogni timore: i pellegrini di un tempo ci insegnano questa fiducia verso il Dio che li chiamava a porsi in cammino verso la tomba degli Apostoli, la Terra Santa o un santuario. Anche noi chiediamo al Signore di avere una piccola porzione di quella fede, di accettare il rischio di abbandonarci alla sua volontà, sapendo che è quella di un Padre buono che ai suoi figli desidera assegnare solo quanto è opportuno per loro.

La fatica. Camminare significa effettivamente fare fatica. Lo sanno bene i tanti pellegrini che oggi sono tornati ad affollare le antiche vie di pellegrinaggio: penso al cammino verso Santiago de Compostela, alla via Francigena, ai vari Cammini sorti in Italia che richiamano ad alcuni santi o testimoni tra i più noti (san Francesco, san Tommaso, ma anche don Tonino Bello) grazie ad una positiva sinergia tra istituzioni pubbliche e enti religiosi. Camminare comporta la fatica di alzarsi presto, prepararsi uno zaino con l’essenziale, mangiare qualcosa di frugale. E poi i piedi che dolgono, la sete che si fa pungente, soprattutto nelle assolate giornate d’estate. Ma questa fatica è premiata dai tanti doni che il camminatore incontra per strada: la bellezza del creato, la dolcezza dell’arte, l’ospitalità della gente. Chi compie un pellegrinaggio a piedi – tanti lo possono testimoniare – riceve molto di più della fatica compiuta: instaura bellissimi legami con persone incontrate nel suo itinerario, vive momenti di autentico silenzio e di feconda interiorità che spesso la vita frenetica del nostro tempo rende impossibile, capisce il valore dell’essenziale rispetto al luccichio dell’avere tutto il superfluo, ma di mancare il necessario.

La meta. Camminare come pellegrini significa che abbiamo un approdo, che il nostro spostarci ha una direzione, un traguardo. Camminare significa avere una meta, non essere alla mercé del caso: chi cammina ha una direzione, non gira a vuoto, sa dove andare, non perde tempo zigzagando da una parte all’altra. Per questo ho più volte richiamato quanto siano affini l’atto del camminare e l’essere credenti: quanti hanno Dio nel cuore hanno ricevuto il dono di una stella polare verso cui tendere – l’amore che abbiamo ricevuto da Dio è motivo dell’amore che dobbiamo offrire alle altre persone.

Dio è la nostra meta: ma non lo possiamo raggiungere come raggiungiamo un santuario o una basilica. E in effetti, lo sa bene chi ha compiuto pellegrinaggi a piedi, arrivare finalmente alla meta sospirata – penso alla cattedrale di Chartres, da tempo oggetto di una rinascita a livello di pellegrinaggi grazie all’iniziativa, risalente a un secolo fa, del poeta Charles Péguy – non significa sentirsi appagati: o meglio, se esteriormente si sa bene di essere arrivati, interiormente si è consci che il cammino non è finito. Perché Dio è proprio così: un traguardo che ci spinge oltre, una meta che ci chiama in continuazione a proseguire, perché è sempre più grande dell’idea che noi abbiamo di lui. Dio stesso ce l’ha spiegato attraverso il profeta Isaia: «Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,9). Con Dio non siamo mai arrivati, a Dio non siamo mai arrivati: siamo sempre in cammino, sempre rimaniamo alla sua ricerca. Ma proprio questo camminare verso Dio ci offre l’inebriante certezza che Egli ci aspetta per donarci la sua consolazione e la sua grazia.

 

Città del Vaticano, 2 ottobre 2024

venerdì 1 novembre 2024

UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro Mercoledì, 30 ottobre 2024

 PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 30 ottobre 2024

[Multimedia]

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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 11. “Ci ha conferito l’unzione e ci ha impresso il sigillo”. La Cresima, sacramento dello Spirito Santo

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


Oggi proseguiamo la riflessione sulla presenza e l’azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa mediante i Sacramenti.

L’azione santificatrice dello Spirito Santo giunge a noi anzitutto attraverso due canali: la Parola di Dio e i Sacramenti. E tra tutti i Sacramenti, ce n’è uno che è, per antonomasia, il Sacramento dello Spirito Santo, ed è su di esso che vorrei soffermarmi oggi. Si tratta del Sacramento della Cresima o della Confermazione.

Nel Nuovo Testamento, oltre il battesimo con l’acqua, si trova menzionato un altro rito, quello della imposizione delle mani, che ha lo scopo di comunicare visibilmente e in modo carismatico lo Spirito Santo, con effetti analoghi a quelli prodotti sugli Apostoli a Pentecoste. Gli Atti degli Apostoli riferiscono un episodio significativo a questo riguardo. Avendo saputo che in Samaria alcuni avevano accolto la parola di Dio, da Gerusalemme inviarono Pietro e Giovanni. «Essi scesero – dice il testo – e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo» (8,14-17).

A ciò si aggiunge quello che San Paolo scrive nella Seconda Lettera ai Corinzi: «È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (1,21-22). La caparra dello Spirito. Il tema dello Spirito Santo come “sigillo regale” con cui Cristo contrassegna le sue pecorelle è alla base della dottrina del “carattere indelebile” conferito da questo rito.

Con il passare del tempo, il rito dell’unzione si configurò come Sacramento a sé stante, assumendo forme e contenuti diversi nelle varie epoche e nei diversi riti della Chiesa. Non è qui il luogo per ripercorrere questa storia assai complessa. Quello che il Sacramento della Cresima è nella comprensione della Chiesa, mi sembra descritto, in modo semplice e chiaro, dal Catechismo degli adulti della Conferenza Episcopale Italiana. Esso dice così: «La confermazione è per ogni fedele ciò che per tutta la Chiesa è stata la Pentecoste. […] Essa rafforza l’incorporazione battesimale a Cristo e alla Chiesa e la consacrazione alla missione profetica, regale e sacerdotale. Comunica l’abbondanza dei doni dello Spirito [...]. Se dunque il battesimo è il sacramento della nascita, la cresima è il sacramento della crescita. Per ciò è anche il sacramento della testimonianza, perché questa è strettamente legata alla maturità dell’esistenza cristiana». [1]

Il problema è come fare perché il Sacramento della Cresima non si riduca, in pratica, a una “estrema unzione”, cioè al sacramento della “dipartita” dalla Chiesa. Si dice che è il “sacramento dell’addio”, perché una volta che i giovani la fanno se ne vanno, e torneranno poi per il matrimonio. Così dice la gente. Ma dobbiamo far sì che sia il sacramento dell’inizio di una partecipazione attiva alla vita della Chiesa. È un traguardo che ci può sembrare impossibile vista la situazione in atto un po’ in tutta la Chiesa, ma non per questo dobbiamo smettere di perseguirlo. Non sarà così per tutti i cresimandi, ragazzi o adulti, ma è importante che lo sia almeno per alcuni che poi saranno gli animatori della comunità.

Può servire, a questo scopo, farsi aiutare, nella preparazione al Sacramento, da fedeli laici che hanno avuto un incontro personale con Cristo e hanno fatto una vera esperienza dello Spirito. Alcune persone dicono di averla vissuta come uno sbocciare in loro del Sacramento della Cresima ricevuto da ragazzi.

Ma questo non riguarda solo i futuri cresimandi; riguarda tutti noi e in ogni momento. Insieme con la confermazione e l’unzione, abbiamo ricevuto, ci ha assicurato l’Apostolo, anche la caparra dello Spirito che altrove chiama “le primizie dello Spirito” (Rm 8,23). Dobbiamo “spendere” questa caparra, gustare queste primizie, non seppellire sotto terra i carismi e i talenti ricevuti.

San Paolo esortava il discepolo Timoteo a «ravvivare il dono di Dio, ricevuto mediante l’imposizione delle mani» (2 Tm 1,6), e il verbo usato suggerisce l’immagine di chi soffia sul fuoco per ravvivarne la fiamma. Ecco un bel traguardo per l’anno giubilare! Rimuovere la cenere dell’abitudine e del disimpegno, diventare, come i tedofori alle Olimpiadi, portatori della fiamma dello Spirito. Che lo Spirito ci aiuti a muovere qualche passo in questa direzione!

martedì 22 ottobre 2024

Vatican News del 21 ottobre 2024

 

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Vatican News

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21/10/2024

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giovedì 17 ottobre 2024

Vatican News del 17 ottobre 2024

 

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Vatican News

Le notizie del giorno

17/10/2024


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XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo 24 novembre 2024

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