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sabato 8 marzo 2025

GROENLANDIA - Interessi esterni e indipendenza, la Groenlandia va al voto(agenzia Fides 8 marzo 2025)

 


di Cosimo Graziani

Nuuk (Agenzia Fides) - Anche se la globalizzazione viene tanto criticata ultimamente, forse mai come quest’anno elezioni locali con meno di sessantamila aventi diritto hanno fatto tanto notizia. Eppure la Groenlandia, l’enorme isola di sovranità danese ma geograficamente America settentrionale, si appresta a vivere le elezioni del prossimo 11 marzo con tutti gli occhi del mondo addosso.

Questa attenzione è accresciuta dopo le parole del presidente statunitense Donald Trump, che a stretto giro dal suo giuramento del 21 gennaio scorso ha proposto, come aveva già fatto durante il primo mandato, che gli Stati Uniti prendano il controllo dell’isola, giustificando tale idea con la sua importanza strategica dal punto di vista economico per gli USA. La Danimarca, Paese alleato degli Stati Uniti e membro della Nato, ha subito ribattuto che l’isola non è in vendita e che ogni decisione sul suo futuro riguarda solo i suoi abitanti.

La Groenlandia fin dagli anni ‘70 è un territorio autonomo e nel 2009 le fu garantito il diritto di organizzare un referendum per ottenere l’indipendenza da Copenaghen. In questi sedici anni il dibattito sull’indipendenza – anche in relazione al passato coloniale con le sue pagine buie – è stato al uno dei temi della politica locale e dopo le parole di Trump ha guadagnato ancor più forza, anche per il fatto che le dichiarazioni del presidente americano siano cadute nell’ultimo periodo della legislatura locale.

Il motivo per cui da Washington si guarda alla Groenlandia in maniera così intensa è la sua posizione strategica. Si trova tra l’Oceano Atlantico settentrionale e il Mar Glaciale Artico in una posizione cruciale per il controllo di una parte delle rotte commerciali che si possono aprire con lo scioglimento dei ghiacci al Polo Nord. Si tratta di una zona di contesa geopolitica tra le grandi potenze mondiali: Stati Uniti, Russia e Cina – alla lunga potrebbe esserci anche spazio per l’Unione Europea, ma i fattori perché si proietti sono difficili da realizzarsi nel lungo periodo e sono ancor meno probabili con l’attuale crisi.

La rotta artica che più interessa gli Stati Uniti è quella del Passaggio a Nord-Ovest, la quale costeggia l’Alaska settentrionale, il Canada e appunto la Groenlandia. Si tratta di una delle tre che potrebbero aprirsi con lo scioglimento dei ghiacci, le altre due sono la Trans-Artic Ruote che passa proprio in mezzo al Mar Glaciale Artico e l’altra è la Rotta del Mare del Nord, che può essere sfruttata da Cina e Russia. Il Passaggio a Nord-Ovest è una rotta alternativa al Canale di Panama e controllarla per gli Stati Uniti significa avere un percorso che colleghi le due coste del paese sicuro da ogni ingerenza straniera – il Canale secondo la nuova amministrazione americana è controllato dalla Cina – attraverso cui spostare merci e navi militari in minor tempo rispetto alla rotta panamense.

L’altra importante ragione per la quale Trump ha messo gli occhi sull’isola sono i giacimenti di terre rare, e non solo, in Groenlandia ma anche sui fondali dei mari nordici. In questo caso la Groenlandia avrebbe anche un’altra funzione: quella di proiettare ulteriormente gli Stati Uniti su quei mari e sull’Oceano Atlantico.

Stiamo vedendo in questi giorni l’importanza che Trump da all’approvvigionamento di terre rare con i negoziati in Ucraina, ebbene nei pensieri del coinquilino della Casa Bianca Ucraina e Groenlandia hanno la stessa importanza per l’economia del suo Paese. Sull’isola atlantica sarebbero presenti quarantadue milioni di tonnellate di materiali considerati critici dal governo statunitense, tra cui cobalto, rame, grafite, litio e nichel, mentre nel Mar Glaciale Artico sarebbero presenti anche ingenti giacimenti di gas e petrolio. Anche qui la corsa è contro la Cina che già da qualche anno ha dato il via all’esplorazione dei fondali.

Tutto ciò passa però dalla politica interna dell’isola a sovranità danese e i risultati delle prossime elezioni. Attualmente il governo è formato da una coalizione composta dal partito Inuit Ataqatigiit e dal partito Siumut, il primo di sinistra e indipendentista, il secondo più spostato su istanze socialdemocratiche. Il premier è Múte Inequnaaluk Bourup Egede, leader del partito Inuit Ataqatigiit, il quale ha reagito alle parole di Trump dichiarando che l’isola non era in vendita. Il Parlamento poi ha approvato due leggi alla luce di queste attenzioni indesiderate: una che limita i fondi stranieri e locali ai partiti in vista delle elezioni, un’altra che limita l’acquisizione di terre sull’isola. Nonostante queste misure prese e la volontà della popolazione di non voler entrare a far parte degli Stati Uniti uscita fuori da un recente sondaggio, le posizioni dei due partiti al governo riguardo la possibilità di indire un referendum dopo le elezioni non sono le stesse.

Esponenti del Siumut si sono detti a favore di referendum dopo le elezioni legislative, mentre l’Inuit Araqatigiit è stato più cauto. Una differenziazione di rilievo, perché rompe l’unità su una questione importante, in un momento delicato come questo. C’è da aspettarsi che le interferenze continuino? Per avere una risposta certa occorre aspettare i risultati dell’11 marzo, ma azzardando una previsione si può dire che sicuramente una divisione su un tema tanto sentito, quanto urgente da discutere, favorisce gli attori esterni che vogliono interferire sulla politica locale.

Di conseguenza Trump potrebbe sfruttare questa fessura tra le posizioni dei due principali partiti. Gli effetti si sentirebbero anche nelle relazioni con la Danimarca e con l’Europa nel complesso, con un nuovo tema a irrigidire i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. (Agenzia Fides 8/3/2025)

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

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