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venerdì 3 febbraio 2023

Venerdì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari) - San Biagio 3 febbraio 2023

 

 Venerdì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)


Antifona d'ingresso

Salvaci, Signore Dio nostro,
radunaci dalle genti,
perché ringraziamo il tuo nome santo:
lodarti sarà la nostra gloria. (Sal 105,47

Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Prima Lettura

Dalla lettera agli Ebrei

Fratelli, l’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo. Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio.
La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò». Così possiamo dire con fiducia:
«Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura.
Che cosa può farmi l’uomo?».
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede.
Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me si scatena una guerra,
anche allora ho fiducia.

Nella sua dimora mi offre riparo
nel giorno della sventura.
Mi nasconde nel segreto della sua tenda,
sopra una roccia m’innalza.

Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi.

Canto al Vangelo (Lc 8,15)
Alleluia, alleluia.

Beati coloro che custodiscono la parola di Dio
con cuore integro e buono
e producono frutto con perseveranza.
Alleluia.

Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli
Fratelli, Dio è buono e si fa trovare da chi lo cerca. Confortati dalla certezza che Cristo Signore è lo stesso ieri oggi e sempre, lasciamoci condurre da lui nel domandare al Padre le cose di cui abbiamo bisogno, e diciamo:
Dio di Gesù Cristo, ascoltaci!

Perché la Chiesa, testimoniando la verità del vangelo, sappia dialogare serenamente con tutti gli uomini. Preghiamo:
Perché i cristiani che soffrono per la persecuzione o la negazione dei loro diritti, guardino a Cristo crocifisso, vittoria sul peccato e sulla morte. Preghiamo:
Perché i responsabili della vita pubblica operino nella verità, nella giustizia e nel rispetto di ogni persona. Preghiamo:
Perché teologi, catechisti e quanti hanno il compito di diffondere la parola di Dio, irradino la luce della verità con la dottrina e con la vita. Preghiamo:
Perché coloro che si interrogano sul destino dell'uomo, trovino risposta nel messaggio del vangelo e nell'atteggiamento misericordioso dei cristiani. Preghiamo:
Per chi dona il proprio tempo nel soccorrere i bisognosi.
Perché nessun uomo venga sfruttato, imbrogliato, deriso.

Padre buono, è nel nome di tuo Figlio Gesù che ti preghiamo, fiduciosi della tua benevolenza. Non guardare ai nostri meriti, ma al sacrificio perfetto di Cristo, che con te vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

giovedì 2 dicembre 2021

Monaci e monache di Deir Mar Musa: amiamo i musulmani in nome di Cristo, così come li ama Lui

 



ASIA/SIRIA - Monaci e monache di Deir Mar Musa: amiamo i musulmani in nome di Cristo, così come li ama Lui
 
Nebek (Agenzia Fides) – I monaci e le monache di Deir Mar Musa rinnovano la loro consacrazione monastica “sulla base delle nostre tre priorità: preghiera, lavoro manuale e ospitalità” essendo sempre “attirati nell’orizzonte dell’armonia, dell’amicizia e della stima reciproca con l’islam e i musulmani, che noi amiamo nel nome di Cristo, così come li ama Lui”. Questa rinnovata consacrazione monastica, piena di gratitudine per i doni di grazia ricevuti negli ultimi tempi, viene raccontata con toni intensi nella lettera di Natale inviata nel tempo di Avvento agli amici sparsi in tutto il mondo dai membri della comunità monastica fondata in Siria dal gesuita romano Paolo Dall’Oglio, scomparso nel luglio del 2013 mentre si trovava a Raqqa, a quel tempo roccaforte delle milizie jihadiste dello Stato Islamico (Daesh).
Come ogni anno, la lettera traccia un breve resoconto delle letizie, degli impegni e dei dolori che hanno scandito la vita dei membri nella comunità nell’ultimo anno, guardando con sguardo di fede anche alle tribolazioni, alle attese e alle consolazioni che nel 2021 hanno segnato il cammino dei popoli mediorientali – a partire da quello siriano - e di tutta la famiglia umana.
Nel 2021 – ricordano i monaci e le monache di Deir Mar Musa - “la cosa più importante vissuta in forma comunitaria è stata il Capitolo", la riunione annuale di tutta la Comunità svoltosi nel monastero “casa madre” di Mar Musa, dal 18 maggio al 4 giugno. Il capitolo – si legge nella lettera – “è stato molto più di un semplice appuntamento annuale di routine; è stata un’importante e articolata tappa nella storia del nostro nascente ordine, quasi un evento fondatore, durante il quale noi abbiamo ri-orientato la nostra piccola ‘barca’ verso il porto di salvezza”.
Nel riconoscimento delle proprie debolezze e dei propri limiti, i monaci e le monache di Deir Mar Musa hanno anche trovato spazio “per una revisione trasparente e schietta, anche se talvolta dolorosa, delle nostre relazioni personali, precedentemente tese per molte ragioni; questo ci ha permesso di ridare fiducia gli uni agli altri e ricevere in noi la fiducia di Dio Onnipotente”.
Durante il Capitolo, i monaci e le monache hanno potuto riconsiderare insieme anche il loro rapporto “con la Chiesa Universale e locale, e con i cristiani orientali, sia quelli che sono rimasti in Medio Oriente, sia quelli emigrati ai quattro angoli della terra. Abbiamo riflettuto a lungo – si legge nella lettera - sull’eredità spirituale consegnataci dal fondatore della nostra Comunità, padre Paolo Dall’Oglio, e su come far fruttificare il nostro carisma per il dialogo religioso e in modo speciale con l’Islam; abbiamo cercato di esaminare le emergenze a cui è chiamata la Chiesa, con i suoi punti di forza e di debolezza. In breve, qual è la volontà di Dio nella nostra vita in questo momento storico”.
Durante il capitolo, è stato eletto come nuovo Abate della comunità padre Jihad Youssef (che apre la lettera con lo struggente e luminoso racconto delle ultime settimane vissute accanto alla madre morente, vittima della pandemia) mentre come amministratore e vice-superiore è stato scelto padre Jacques Mourad, il monaco che nel 2015 fu sequestrato e tenuto per lunghi mesi in ostaggio da miliziani jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh).
Le pagine della lettera offrono uno spaccato prezioso dell’ultimo anno di vita dei monaci e delle monache di Mar Musa, facendo trasparire la vitalità della piccola “comunità nascente” iniziata da padre Paolo Dall’Oglio e la fecondità del loro sguardo cristiano con cui guardano le cose della Chiesa e del mondo dai “presidi monastici” in cui sono sparsi (la “casa madre” di Deir Mar Musa, il monastero della Vergine Maria a Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno, e il Monastero di San Salvatore a Cori, nel Lazio. Nelle pagine si intrecciano i dettagli quotidiani della vita dei monaci e delle monache, come la descrizione delle marmellate alle rose preparate dall’aleppino padre Jacques o dei risultati del lavoro nelle terre del monastero (“quanto alla stagione delle olive, il raccolto è stato scarso ma di ottima qualità, sufficiente ad assicurare le provviste annuali di olive verdi e nere, ma non di olio”. I destinatari della lettera vengono aggiornati sulle visite al monastero di Deir Mar Musa dal Patriarca siro cattolico Ignace Youssif III Younan e anche dai cardinali Mario Zenari (Nunzio apostolico in Siria) e Leonardo Sandri (Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali). Si offre un quadro sintetico delle tante iniziative e opere di carità – come gli aiuti economici a decine di studenti universitari di Homs e Damasco, la scuola di musica, i corsi di lingue e di alfabetizzazione, o l’asilo di l'asilo al-Qalamoun di Nebek (“va sempre meglio…. Gli abitanti di Nebek vengono a chiederci anche l'apertura di una scuola elementare: richiesta per noi impossibile, conoscendo i nostri limiti”) insieme a preoccupazioni quotidiane come quella rappresentata dalla discarica situata lungo la strada del monastero, di Deir Mar Musa, “che negli ultimi anni è molto cresciuta a causa della guerra, dell'abbandono e della mancanza di una seria capacità gestionale e finanziaria”. Non mancano accenni lievi e umoristici, come quelli riguardanti il gatto persiano affiliato al monastero di Deir Mar Musa (“Lo consideriamo un gatto monaco con due soli voti, povertà e obbedienza, perché lo abbiamo dispensato dal voto di castità…”). Ma non si stacca mai lo sguardo dai dolori e dalle prove che segnano la vita dei popoli mediorientali, con una carità sollecita che nutre opere silenziose e costanti, dall’assistenza offerta ai malati di cancro alle occasioni di lavoro offerte a alcune ragazze di Damasco nell'officina delle candele e dei rosari animata da fratel Yausse. “La situazione economica in Siria” si legge nella Lettera sta ancora peggiorando, e le ragioni sono molte. Alcune interne, come favoritismi e corruzione, e altre esterne, come le sanzioni internazionali e la “Legge di Cesare”, che potremmo anche chiamare “Legge del Faraone” il quale si è fatto tiranno perché nessuno gli ha tenuto testa. Il lavoro è poco e sottopagato, per cui uno stipendio solo non è sufficiente per mantenere o mettere su famiglia; anche la doppia retribuzione rimane al di sotto del livello necessario per una vita dignitosa. La gente soffre ancora per la mancanza di elettricità e di beni di base come gas, benzina e gasolio per il riscaldamento e per il funzionamento delle fabbriche; il tempo di attesa delle code davanti ai fornai per comprare il “pane del povero” è ancora lungo. esistono persone che possono permettersi di ricevere cure in ospedali privati, di comprare pane, gas, gasolio e benzina al mercato nero, chiamato ‘mercato libero’, che è in verità il ‘mercato degli schiavi’ controllato dalle mafie”. (GV) (Agenzia Fides 2/12/2021)





sabato 18 gennaio 2020

Agenzia Fides 18 gennaio 2020

VATICANO - Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: “L’ospitalità è una virtù che testimonia l’incontro amorevole verso il prossimo”
 
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - “Siamo chiamati a pregare, affinché tutti i cristiani tornino ad essere un’unica famiglia, per testimoniare uniti l’amore verso Cristo”: così dichiara in un colloquio con l’Agenzia Fides, p. Anthony Currer, ufficiale del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, in occasione dell'apertura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), iniziativa di preghiera ecumenica internazionale, celebrata in tutto il mondo, promossa congiuntamente dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, per protestanti e ortodossi, e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, per i cattolici.
L'Ottvario di preghiera fu istituito per la prima volta nel 1908 come un momento in cui le confessioni cristiane pregano insieme per il raggiungimento della piena unità della Chiesa. Ogni anno si svolge nell’emisfero Nord tra il 18 e il 25 gennaio, mentre in quello Sud in altre date, ad esempio nel tempo di Pentecoste.
I testi proposti ai cristiani di tutto il mondo per il 2020 sono il frutto di un progetto realizzato dalle Chiese di Malta e Gozo, che si focalizza sulla tragedia dei migranti e sul tema dell’accoglienza: “Il sussidio di preghiera suggerito per quest’anno - riferisce p. Currer - s’intitola ‘Ci trattarono con gentilezza’ e trae spunto dall’episodio raccontato dal capitolo finale degli Atti degli apostoli (Atti 28, 2) in cui san Paolo e gli uomini che sono insieme a lui sulla nave dopo una terribile tempesta, riescono a salvarsi e vengono generosamente soccorsi dagli abitanti dell’isola di Malta”.
“Questo episodio - chiarisce il reverendo - ripropone il dramma dell’umanità: i passeggeri della barca sono alla mercé del mare violento e della poderosa tempesta che infuria intorno a loro. Sono forze che li spingono verso approdi sconosciuti, e si sentono persi. La Divina Provvidenza - prosegue - li accomuna, però, nella speranza della salvezza. La nave e tutto il suo prezioso carico andranno perduti, ma tutti avranno salva la vita”.
Dunque, persone diverse e in disaccordo tra loro, imbarcate sulla stessa nave, giungono alla stessa destinazione, dove l’ospitalità degli isolani rivela l’unità del genere umano: “Nella nostra ricerca di unità - rileva p. Currer - abbandonarsi alla Divina Provvidenza implica la necessità di lasciar andare molte delle cose cui siamo profondamente attaccati. Ciò che sta a cuore a Dio è la salvezza di tutti”.
“Come cristiani ed esseri umani - afferma p. Anthony - questa storia ci sfida: collimiamo con le fredde forze dell’indifferenza, oppure mostriamo una ‘rara gentilezza” e diventiamo testimoni dell’amorevole provvidenza di Dio a tutti gli uomini? L’ospitalità è una virtù fondamentale nella nostra ricerca dell’unità dei cristiani. La nostra unità cristiana - conclude - sarà scoperta non solo mostrandoci ospitalità l’uno all’altro, ma anche attraverso incontri d’amore con coloro che non parlano la nostra lingua, non hanno la nostra cultura o la nostra fede”.
La principale celebrazione ecumenica si è svolta nella pro-Cattedrale anglicana di San Paolo a La Valletta, la sera di venerdì 24 gennaio. Infine, i diversi partner ecumenici e le persone impegnate nel dialogo ecumenico a Malta si incontreranno sabato 25 gennaio, giorno della conclusione della Settimana, per un momento di preghiera e condivisione. (ES) (Agenzia Fides 18/1/2020)
LINK
Guarda la video-intervista al rev. Anthony Currer sul canale Youtube dell'Agenzia Fides -> https://www.youtube.com/watch?v=xFjqbvDaIhc
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AFRICA/SUD SUDAN - Tutta la Chiesa in Africa Orientale saluta la Dichiarazione di Roma per la pace in Sud Sudan
 
Juba (Agenzia Fides) - “Sono felice di apprendere della firma di questa dichiarazione. La mia speranza e preghiera è che le due parti - il governo della Repubblica del Sud Sudan e l'opposizione - lo rispettino. Sapete che il Santo Padre è coinvolto; anche noi ne siamo coinvolti. Questa è la mia preghiera e speranza” ha dichiarato Sua Ecc. Mons. John Baptist Odama, Arcivescovo di Gulu in Uganda, commentando la Dichiarazione firmata a Roma il 13 gennaio, per mettere fine alla guerra in Sud Sudan. Mons. Odama, la cui arcidiocesi ospita molti rifugiati dal Sud Sudan, è anche lui fortemente coinvolto nelle iniziative interreligiose per la pace nel Sud Sudan.
La Dichiarazione è stata firmata grazie agli sforzi della Comunità di Sant’Egidio, che ha agito da facilitatore, dai membri della delegazione del governo centrale del Sud Sudan, dai rappresentanti dei Movimenti di opposizione sud sudanesi che non hanno aderito all'accordo di pace rivitalizzato del 2018 ad Addis Abeba (SSOMA) e da quelli delle opposizioni firmatarie dell'accordo.
L’accordo prevede: l'impegno "solenne" alla cessazione delle ostilità a partire dalla mezzanotte del 15 gennaio; l'impegno a discutere e a valutare insieme, a Sant'Egidio, i meccanismi per risolvere le divergenze; la garanzia per le organizzazioni umanitarie di poter operare nel Paese a sostegno della popolazione civile.
L’accordo è stato salutato dai Vescovi dei Paesi confinanti che aderiscono all’AMECEA (Associazione dei membri delle conferenze episcopali dell'Africa orientale). Il segretario generale dell'AMECEA P. Anthony Makunde, ha elogiato le iniziative prese da Sant'Egidio e da tutti i partner regionali e internazionali per portare una pace duratura nel Sud Sudan. “Come diceva San Paolo, quando un organo è malato, tutto il corpo si sente male. Pertanto, qualsiasi sforzo per portare la pace duratura nel Sud Sudan è a favore di tutta la famiglia AMECEA. Il nostro appello è ai nostri fratelli e sorelle nel Sud Sudan di ricambiare questi sforzi in modo da poter mettere insieme i nostri sforzi per questo sforzo comune” conclude P. Makunde.
Fanno parte dell’AMECEA le Conferenze Episcopali di Etiopia ed Eritrea; Kenya; Malawi; Sudan e Sud Sudan; Tanzania; Uganda e Zambia. Somalia e Gibuti hanno lo status di osservatori. (L.M.) (Agenzia Fides 18/1/2020)

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AFRICA/TOGO - Urge una rivoluzione sociale, politica, religiosa e culturale per promuovere la leadership femminile
 
Kara (Agenzia Fides) – In molti paesi dell'Africa è tempo di elezioni. “Le strutture sociali, come la politica, la religione e la cultura, talvolta costituiscono veri e propri ostacoli alla promozione della leadership femminile”, nota il teologo ivoriano della Società per le Missioni Africane, padre Donald Zagore. “A causa delle strutture fortemente maschiliste, le donne nel continente africano rimangono fuori dai ruoli fondamentali nella vita dei loro paesi. A parte l'eccezionale e riuscito esempio di Ellen Johnson, ex presidente della Liberia, le donne in Africa si accontentano di svolgere ruoli secondari nella vita politica dei loro paesi. In Togo, ad esempio per le prossime elezioni presidenziali del 22 febbraio 2020, nessuna donna corre tra i dieci candidati dichiarati.
Il sacerdote ivoriano insiste sulle enormi potenzialità femminili “che potrebbero portare proprio quella stabilità politica che manca ai nostri paesi. Sono una miniera d'oro di talento e ricchezza da valorizzare” insiste. Urge una rivoluzione sociale, politica, religiosa e culturale per promuovere la leadership femminile in Africa”, conclude p. Zagore.
(DZ/AP) (18/1/2020 Agenzia Fides)
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ASIA/TURCHIA - Il Patriarca Sahak II smentisce le critiche alla diaspora armena attribuitegli da media turchi
 
Istanbul (Agenzia Fides) – Sahak II Masalyan, il nuovo Patriarca armeno di Costantinopoli eletto lo scorso 11 dicembre, ha voluto smentire almeno parzialmente le dichiarazioni critiche nei confronti delle comunità della diaspora armena sparse in tutto il mondo, che gli erano state attribuite da alcuni media turchi, nelle settimane seguite alla sua elezione patriarcale. Una nota della segreteria patriarcale chiama in causa in particolare il quotidiano turco Akşam, e l’articolo di quel giornale pubblicato il 2 gennaio che riportava alcuni giudizi aspri con cui il nuovo Patriarca avrebbe criticato in maniera complessiva tutta la diaspora armena, affermando che le comunità armene in diaspora non hanno “nulla in comune con gli armeni che sono rimasti in Turchia" e vivono con "100 anni di ritardo" (con un implicito riferimento alla memoria del Genocidio armeno, coltivata dagli armeni in tutto il mondo). La rettifica della segreteria patriarcale – riferisce Agos, il giornale bilingue armeno-turco pubblicato a Istanbul – sostiene che le affermazioni del Patriarca sono state riportate in maniera non precisa e fuorviante, forzandone i contenuti e distorcendo considerazioni sfumate e articolate con aggiunte di interpolazioni da attribuire soltanto all’estensore dell’articolo.
In effetti, le dichiarazioni attribuite al Patriarca - e pubblicate giovedì 2 gennaio dal quotidiano nazionalista turco Akşam – erano fatalmente destinate a provocare polemiche. In quelle dichiarazioni, il nuovo Patriarca sembrava voler enfatizzare la distanza del Patriarcato armeno di Costantinopoli dagli ambienti della diaspora armena, che trasmette di generazione in generazione come fattore identitario la memoria dei massacri subiti dagli armeni in Anatolia nel 1915. ”Noi” sottolineava tra l’altro il nuovo Patriarca “siamo rimasti su questa terra dopo quegli eventi. Abbiamo scelto di vivere con il resto della popolazione, mentre la diaspora è rimasta ferma al secolo passato”.
Il processo elettorale per la scelta del nuovo Patriarca con l’elezione di Sahak (vedi Fides 12/12/2019) è stato sofferto e segnato da controversie destinate ad avere strascichi anche in futuro, provocate almeno in parte dall’intreccio tra personalismi ecclesiastici e interferenze degli apparati secolari locali. (GV) (Agenzia Fides 18/1/2020)
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AMERICA/MESSICO - Settimana per l'unità dei cristiani: “un'unità che non escluda nessuno, specialmente i più svantaggiati, e tra questi i migranti”
 
Città del Messico (Agenzia Fides) – Il materiale per vivere la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, dal 18 al 25 gennaio, è stato preparato quest’anno dalle Chiese cristiane di Malta e Gozo. Ogni anno il 10 febbraio celebrano la festa del naufragio di San Paolo e, con questo evento, l'evangelizzazione delle isole. Le riflessioni e il motto, “Ci trattarono con gentilezza” (Atti 28, 2) hanno quindi per tema il viaggio dell'Apostolo, prigioniero e incatenato, che dovette affrontare le tempeste in mare. Come ricorda nel suo messaggio per l’ottavario, il Vescovo di Veracruz, Carlos Briseño Arch, Presidente della Commisione Episcopale per il Dialogo Interreligioso e la Comunione della Conferenza Episcopale Messicana, “prigionieri, marinai e soldati fecero naufragio e arrivarono su un'isola, dove gli abitanti non parlavano la loro lingua, non condividevano la loro cultura o religione, ma vennero accolti calorosamente, con cibo e vestiti asciutti, trattati con gentilezza”.
Nel testo pervenuto a Fides, il Vescovo di Veracruz spiega: “Questo passaggio nella vita di San Paolo ci ricorda scene che attualmente vediamo nelle notizie: migranti che affrontano tempeste, mentre infuriano i mari e arrivano in paesi con altre culture, altre lingue e altre religioni, ma a differenza degli abitanti di Malta, sono accolti in molte occasioni con indifferenza, discriminazione e rifiuto; vengono rapiti o sfruttati e persino sottoposti alla tratta di esseri umani. È questo l'atteggiamento di un cristiano? È questo ciò che Dio si aspetta da noi?”
Citando Papa Francesco che ha denunciato più volte questa situazione, Mons. Carlos Briseño Arch sottolinea che “i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati un emblema di esclusione perché, oltre a sopportare le difficoltà dovute alle loro condizioni, sono spesso soggetti a giudizi negativi, in quanto ritenuti responsabili di malattie sociali. L'atteggiamento nei loro confronti costituisce un segnale di allarme, che ci avverte del decadimento morale che affrontiamo se continuiamo a dare spazio alla cultura dello scarto.
In Messico uno degli impegni pastorali del Progetto Globale Pastorale (PGP) è quello di identificare e accompagnare i gruppi vulnerabili della società, i migranti tra gli altri. “I materiali che offriamo per l'ottavario – conclude il Vescovo - sono stati preparati per pregare per l'unità dei cristiani, ma un'unità che non escluda nessuno, che non dimentichi nessuno, specialmente i più svantaggiati, i più deboli e, tra questi, i migranti”. (SL) (Agenzia Fides 18/1/2020)
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AMERICA/PERU’ - Assemblea dei Vescovi: tra i temi in esame le elezioni straordinarie del parlamento il 26 gennaio
 
Lima (Agenzia Fides) – Con la messa presieduta da Mons. Miguel Cabrejos OFM, Presidente della Conferenza episcopale peruviana (CEP) e Presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM), concelebrata da tutti i Vescovi del Perù, inizierà lunedì 20 gennaio la 115 Assemblea Plenaria dell'Episcopato peruviano. Dopo la messa, nella parrocchia di Sant’Antonio da Padova, a Lima, i 52 Vescovi delle 46 giurisdizioni ecclesiastiche del paese si dirigeranno alla sede della CEP per iniziare le sessioni di lavoro. Come in ogni assemblea, i Vescovi prenderanno in esame vari argomenti, nello spirito di comunione e sinodalità, e analizzeranno gli ultimi avvenimenti del Paese. Eleggeranno inoltre il segretario generale e il presidente del Consiglio economico della CEP. Come ogni anno, sarà consegnata la Medaglia di Santo Toribio de Mogrovejo a persone e istituzioni che si siano distinte per il loro lavoro a favore della Chiesa in Perù.
Tra i punti su cui i Vescovi dovranno discutere, ci sono le prossime elezioni straordinarie del Parlamento, il 26 gennaio, dopo lo scioglimento da parte del presidente Vizcarra, lo scorso 30 settembre, per la corruzione dei parlamentari. A ottobre 2019, in piena crisi politica, i Vescovi peruviani avevano chiesto alla comunità nazionale di trasformare quel sentimento amaro contro la politica in un momento di riforma per il paese, dei politici e della politica, come accade in altre realtà latinoamericane. Secondo fonti locali di Fides, ciò non accade nella realtà peruviana e la società, ereditiera dell'Impero Incaico, vive attualmente lo stesso clima del settembre scorso, prima di vedere sciolto il Parlamento. La differenza è data da una campagna elettorale che vede ogni tipo di proposte e ogni tipo di confronto fra i candidati, perfino della stessa lista di partito.
Le prime inchieste fatte da organismi attendibili hanno rilevato che la maggioranza dei peruviani non sa chi votare, inoltre c'è ancora molta indifferenza verso la politica. Si intravvede quindi la prospettiva di un possibile Parlamento con tanti piccoli partiti, che non riusciranno a superare la soglia minima per entrare per la porta principale in Parlamento. Così, come afferma la critica internazionale, ci sarà una falsa maggioranza parlamentare costituita da autentiche minoranze politiche. Purtroppo la campagna elettorale è caratterizzata dall’esibizionismo politico e dal mercato dei voti, dove i candidati cambiano casacca appena vedono chi può assicurare loro un posto fisso, ma del bene comune o del futuro del paese non sono in molti a preoccuparsi.
(CE) (Agenzia Fides, 18/01/2020

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

Tutto sull'arrivo del nuovo arcivescovo Mons. Riccardo Lamba

  LA CHIESA UDINESE ACCOGLIE IL NUOVO ARCIVESCOVO MONS. RICCARDO LAMBA Un momento storico, di grande solennità e festa, sarà celebrato domen...