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AFRICA/SUD SUDAN - Un nuovo presbitero e sette diaconi nella diocesi di Tambura-Yambio: segno di speranza per la Chiesa | |||
Yambio (Agenzia Fides) – La diocesi di Tambura-Yambio ha celebrato la prima ordinazione di un presbitero e di sette diaconi del Seminario di St. John Paul, lo scorso 7 giugno. A renderlo noto all’Agenzia Fides è padre Christopher Hartley, sacerdote della diocesi di Toledo, appena arrivato in Sud Sudan per fondare una nuova missione cattolica dopo aver trascorso gli ultimi 12 anni a Gode, regione somali dell’Etiopia. “La loro testimonianza è un invito a tutti noi a mettere la nostra fede in azione al servizio di Dio e delle nostre sorelle e fratelli, ovunque ci troviamo” ha spiegato il Vescovo della diocesi, Mons. Edwardo Hiiboro Kussala. “E’ un segno di crescita e di speranza per la Chiesa nella diocesi e nel Sud Sudan” ha aggiunto, apprezzando “il dono ricevuto dal Signore”. La diocesi di Tambura-Yambio copre due paesi, Yambio e Tambura, e ha 27 parrocchie. Situata nella parte sud occidentale, al confine tra Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo, la diocesi continua a soffrire degli effetti della guerra attualmente in corso nel paese. Secondo il rapporto dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID) dell'aprile 2019, sulla crisi degli sfollati in Sudan del Sud, a Yambio nel 2016 sono stati registrati gravi scontri armati e migliaia di sfollati. Attualmente la diocesi ospita un gran numero di sfollati interni che hanno bisogno di cure pastorali. “In un contesto di tensione, l'ordinazione del sacerdote e dei sette diaconi è vista come una grande benedizione per il popolo di Dio”, conclude padre Hartley. (CHS/AP) (Agenzia Fides 12/06/2019) | |||
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ASIA/KYRGYZSTAN - La Caritas kirghisa entra nella famiglia di Caritas Internationalis: "La missione è il servizio ai bisognosi" | |||
Biskek (Agenzia Fides) - “Il riconoscimento ufficiale di Caritas Kirghizistan all’interno di Caritas Internationalis significa moltissimo per noi, perché ci fa sentire appartenenti ad una grande famiglia e ci offre maggiori opportunità di servire i più bisognosi del nostro paese. Abbiamo avviato il processo di affiliazione nel 2015, partecipando a numerosi workshop e corsi di formazione organizzati da Caritas Asia e dando impulso a forme di cooperazione con gli organismi degli altri paesi. Parallelamente, abbiamo preparato ed inviato alla Segreteria Generale tutti i documenti necessari. La richiesta è stata messa ai voti e la maggior parte dei membri si è espressa in nostro favore”. E’ quanto dichiara all’Agenzia Fides Sher Abdugapirov, vicedirettore della Caritas presso la sede di Jalal-Abad, confermando la recente affiliazione dell’organizzazione kirghisa all’interno di Caritas Internationalis. Il riconoscimento, concretizzatosi a gennaio 2019, è stato annunciato lo scorso 24 maggio a Roma durante la XXI Assemblea Generale di Caritas Internationalis. Spiega Abdugapirov: “Il percorso di affiliazione potrebbe apparire semplice, ma è la sintesi di un lungo e duro lavoro. Senza l'aiuto di alcune persone sarebbe stato impossibile completare questa missione. Vorremmo ringraziare da una parte il Cardinale Tagle, Michel Roy ed Aloysius John rispettivamente Presidente, ex ed attuale Segretario generale, dall’altra l’Arcivescovo Isao Kikuchi e Zar Gomez, cioè l’ex Presidente e l’attuale Coordinatore regionale della Caritas Asia. Ci impegneremo per ripagare la fiducia di tutti coloro che hanno votato per la nostra adesione”. “Per il futuro, abbiamo grandi obiettivi. Il primo è costruire una struttura organizzativa forte: continueremo a lavorare per aumentare la nostra capacità e il nostro potenziale, migliorando anche gli standard di gestione. Il secondo è quello di fornire un servizio sempre migliore a tutte le persone, specialmente ai poveri, per promuovere la giustizia sociale e per proteggere la nostra Terra”, conclude. La Caritas kirghisa deve le sue origini alla creazione, nel 2011, della Organizzazione Non Governativa “Luce d’Amore”: la decisione di intraprendere il cammino di inserimento nell’organismo pastorale e caritativo dei Vescovi nacque in seguito alla partecipazione ad un incontro organizzato da Caritas Asia nel 2014 ad Almaty. In Kirghizistan vi sono attualmente tre parrocchie nelle città di Bishkek, Jalal-Abad e Talas, ma molte piccole comunità sono distribuite nelle zone rurali del paese. I cattolici del posto possono contare sull’assistenza spirituale di sette sacerdoti, un religioso e cinque suore francescane. (LF) (Agenzia Fides 12/6/2019) | |||
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ASIA/PALESTINA - Numeri impressionanti sul calo della presenza cristiana nelle città della Cisgiordania | |||
Ramallah (Agenzia Fides) – Nella città araba di Jenin, 26 km a nord di Nablus, su 70mila abitanti i cristiani sono soltanto 130, quasi tutti cattolici di rito latino. A Tubas, altra cittadina araba della Cisgiordania settentionale, gli abitanti sono 40mila, e i cristiani sono solo 45, appartenenti alla Chiesa greco ortodossa; A Burqin, villaggio palestinese non lontano da Jenin, i cristiani sono meno di 70, su una popolazione di 7500 abitanti; anche le comunità di battezzati presenti nei centri abitati di Jalameh e Kafr Koud sono composte da poche decine di persone. Mentre nel villaggio di Deir Ghazaleh, fino a 10 anni fa abitato da una consistente minoranza cristiana, adesso i battezzati sono solo 4 su 1200 abitanti. Il fenomeno della diminuzione della popolazione cristiana in ampi territori della Cisgiordania sottoposti all’Autorità palestinese emerge in termini oggettivamente impressionanti nei numeri esposti in un breve contributo firmato da Hanna Issa, membro del Consiglio di Fatah e Segretario generale del Consiglio islamo-cristiano palestinese per Gerusalemme e i Luoghi Santi. Nel testo, rilanciato anche dal website abouna.org, Hanna Issa chiama in causa i “fattori politici e economici” all’origine dei flussi migratori che stanno riducendo al minimo la presenza cristiana in Cisgiordania. Il progetto nazionale palestinese – rimarca l’esponente di al Fatah – si fonda sul riconoscimento della piena uguaglianza tra cittadini di religioni diverse, ma l’instabilità politica si traduce in instabilità sociale e economica. Per questo – conclude Hanna Issa – occorre preservare l'identità araba palestinese di fronte a tutte i condizionamenti che possono generare situazioni di discriminazione nella società palestinese e di emarginazione della sua componente cristiana. (GV) (Agenzia Fides 12/6/2019) | |||
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AMERICA/MESSICO - I Vescovi dopo l’accordo Messico-Usa: “i fratelli migranti non devono mai essere moneta di scambio” | |||
Città del Messico (Agenzia Fides) – “Come Conferenza dell'Episcopato messicano, esprimiamo la nostra preoccupazione per la mancanza di una accoglienza veramente umanitaria ai nostri fratelli migranti che rifletta le nostre convinzioni riguardo al riconoscimento e alla protezione dei diritti di tutti gli esseri umani allo stesso modo”. Così inizia il messaggio dei Vescovi messicani dopo l’accordo tra Stati Uniti e Messico in materia di dazi e politica migratoria (vedi Fides 11/6/2019), firmato dal Presidente e dal Segretario generale della Conferenza Episcopale Messicana (CEM), rispettivamente l’Arcivescovo di Monterrey, Mons. Rogelio Cabrera Lopez, e il Vescovo ausiliare di Monterrey, Mons. Alfonso Miranda Guardiola. Il dispiegamento di seimila effettivi della Guardia Nazionale sul confine meridionale “non è una soluzione radicale che affronta le vere cause del fenomeno migratorio” affermano nel testo pervenuto a Fides, evidenziando: “se abbiamo rifiutato come messicani la costruzione di un muro, non possiamo diventare noi stessi quel muro”. Riconoscendo la legittimità di “prendere decisioni coraggiose per evitare l'imposizione di tariffe sui prodotti messicani commerciati con gli Stati Uniti”, che produrrebbero danni economici gravi al paese, i Vescovi incoraggiano i responsabili dei negoziati, “affinché il dialogo continui ed esprima i valori fondamentali di due paesi democratici: il rispetto per i diritti umani, la solidarietà tra i popoli e il lavoro per il bene comune della nostra regione”. “In questo momento storico – proseguono -, il governo e la società non devono rinunciare a promuovere lo sviluppo umano integrale per l'America centrale e il sudest messicano”. Il Messico “non è isolato, deve costruire, insieme ai paesi dell'America centrale, una strategia che serva il bene comune della regione”. “I nostri fratelli migranti non devono mai essere moneta di scambio. Nessun negoziato deve essere collocato al di sopra di ciò che la Chiesa e la società civile hanno difeso per anni: la non criminalizzazione dei migranti e dei difensori dei diritti umani”. Il messaggio ricorda che migliaia di migranti cercano di arrivare negli Stati Uniti in fuga dalla violenza e dalla miseria dei loro paesi, molti altri sono arrestati e deportati in Messico, ora ancora di più uin base al programma unilaterale americano, secondo cui migliaia di centroamericani attenderanno in Messico una soluzione del loro status di immigrati, esposti a gravi rischi nelle città di confine messicane e impedendo il loro pieno accesso all'assistenza legale. “Come membri della famiglia umana non possiamo essere indifferenti al dolore che molti di loro vivono e che richiede il nostro aiuto umanitario e il rispetto senza restrizioni dei loro diritti umani”. “La Chiesa cattolica in Messico è convinta che sia necessaria una giusta politica migratoria che, da un lato, garantisca un transito di persone libero e ordinato, regolato e responsabile; e d'altra parte vegli sugli interessi legittimi dei membri della nostra nazione. Allo stesso modo, siamo convinti che i messicani debbano essere uniti nell'affrontare questa e altre sfide globali. L'unità dei messicani non deve essere costruita separatamente dalla fraternità tra i popoli. Siamo tutti paesi complementari e interdipendenti”. I Vescovi chiedono formalmente ai governi del Messico e degli Stati Uniti di “privilegiare sempre il dialogo e il negoziato trasparente nelle relazioni bilaterali, senza cadere nella facile tentazione del ricatto o della minaccia. Il bene di ogni paese si costruisce garantendo il bene dell'intera regione. Non c'è futuro se non camminiamo insieme come fratelli quali siamo, solidali e corresponsabili”. I Vescovi messicani e nordamericani hanno sempre espresso la disponibilità a collaborare “con tutte le iniziative che permettano di trovare un percorso di maggiore sicurezza e protezione dei diritti umani di coloro che emigrano”, e ribadiscono che è loro dovere “alzare la voce quando i diritti umani vengono violati. Così è sempre stato e sarà in futuro”. I Vescovi messicani riaffermano la volontà di “fornire ai migranti l'aiuto umanitario di cui hanno bisogno nel loro transito attraverso il nostro territorio nazionale”; ringraziano migliaia di uomini e donne della Chiesa cattolica, di altre chiese e della società civile, che per decenni hanno difeso i diritti fondamentali dei migranti in Messico, Stati Uniti, e Centro America; chiedono ai fratelli e sorelle migranti di “integrarsi con rispetto nelle comunità in cui vengono accolti”. Il messaggio dei Vescovi messicani si conclude con una invocazione allo Spirito Santo, perché illumini “le autorità civili delle nostre nazioni per prendere le decisioni più sagge e autentiche per i nostri popoli”. (SL) (Agenzia Fides 12/6/2019) | |||
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AMERICA/NICARAGUA - Gioia e commozione per la liberazione di 50 prigionieri politici | |||
Managua (Agenzia Fides) – All’alba di ieri, erano circa le 4 e mezzo, si è diffusa rapidamente la notizia della liberazione di più di 50 prigionieri politici. Quando i principali media nazionali l’hanno data, sui social media c'erano già video e messaggi dei prigionieri politici insieme ai loro familiari. Chi ringraziava Dio, chi cantava l'inno del Nicaragua, chi piangeva, chi ballava... Mons. Silvio Baez, Vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Managua, attualmente a Roma, ha postato il video del leader contadino Freddy Navas che ringrazia Dio e i Vescovi e la Chiesa "Madre e Maestra" per avergli insegnato a vivere la speranza, e ha chiesto al Vescovo di pregare per i leader contadini e per il Nicaragua. Durante tutta la giornata di martedì 11 giugno, i social media nicaraguensi sono stati invasi da messaggi di orgoglio e di allegria "perché i simboli della libertà sono tornati al fianco del popolo sofferente", scrive uno studente nel suo account di Twitter. Politici, giornalisti, imprenditori, studenti, semplici cittadini e contadini, tutti i prigionieri politici che sono stati in carcere, sono tornati in strada con una bandiera in mano, ormai simbolo del nuovo Nicaragua dall’aprile 2018. La notizia ha provocato innumerabili reazioni da parte dell'Organizzazione degli Stati americani, della Commissione interamericana per i diritti umani, dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, degli ambasciatori, dei presidenti di altri paesi, degli attivisti internazionali per i diritti umani. Un'altra fonte Fides ha scritto sui social media: "Il Nicaragua ha vissuto oggi quel sentimento indescrivibile di riconquista della libertà dei prigionieri politici. Un momento per ridere e piangere, respirare profondamente, per ricaricare le forze e continuare a lottare per la piena restituzione delle libertà. La ribellione di aprile ha già superato metà strada". Anche l'arcidiocesi di Managua ha pubblicato un messaggio, firmato dal Cardinale Leopoldo José Brenes, Arcivescovo Metropolita di Managua: "Che vengano liberati tutti i prigionieri, questo porterà gioia a tutte le famiglie, e che tutti coloro che sono stati privati della libertà possano vivere liberamente nel proprio paese". La liberazione di questi prigionieri politici, è parte della legge sull’amnistia approvata in Nicaragua dal Parlamento con i soli voti della maggioranza sandinista e la contrarietà dell’opposizione riunita come Alianza Civica. Secondo questi ultimi, sono ancora 89 i prigionieri politici che si trovano in carcere. La legge è stata contestata perché viene presentata come un provvedimento di clemenza, previsto dai precedenti accordi raggiunti al tavolo del dialogo nazionale nei mesi scorsi, ma senza garantire le libertà e i diritti dei cittadini. Il presidente Ortega aveva promesso di liberare tutti i prigionieri politici entro novanta giorni, cioè entro il 18 giugno, proprio alla vigilia della valutazione della Nica Act (Nicaraguan Investment Conditionality Act) e dell'Assemblea Generale dell'OSA, che si terrà a Medellin, Colombia, alla fine di giugno. (CE) (Agenzia Fides 12/06/2019) |
Filippesi 1,4 ... e sempre, in ogni mia preghiera per tutti voi, prego con gioia...
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mercoledì 12 giugno 2019
Agenzia Fides 12 giugno 2019
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