Filippesi 1,4 ... e sempre, in ogni mia preghiera per tutti voi, prego con gioia...
martedì 26 dicembre 2017
lunedì 4 gennaio 2016
Accovacciato davanti alla nostra porta, angelus della domenica 3 gennaio 2015
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lunedì 9 dicembre 2013
Il Dio che si è fatto uomo perché ha tanto amato il mondo...Enzo Bianchi
Natale ritorna. Ritorna con la sua luce anche in questi giorni che sono segnati dalle notti più lunghe dell’anno. Ritorna annunciato da milioni di piccole luci che sembrano voler ornare le nostre città e le nostre case. (…)
Ormai pochi, anche tra i cristiani, rammentano e testimoniano nei fatti che il mese precedente il Natale è il tempo dell’Avvento, cioè dell’attesa del ritorno del Signore, e si interrogano sulla coerenza di certi comportamenti con il messaggio cristiano. (…)
Siamo così sicuri che gli aspetti ritenuti più ovvi e caratteristici delle festività natalizie abbiano davvero a che fare con la fede in Gesù, nato da Maria, venuto nel mondo per narrare a tutti il volto misericordioso di Dio?
Pensiamo realmente che la presenza di giovanotti bardati da vecchi bonaccioni nei centri commerciali rimandi al mistero della notte di Betlemme? O che dei buffi pupazzi che si arrampicano sui nostri balconi o si calano dai camini in concorrenza con streghe a cavallo di una scopa rievochino l’annuncio di «una grande gioia per tutto il popolo» o «la pace in terra per gli uomini di buona volontà»? (…)
Sì, cosa pensiamo davvero quando diciamo «Natale»? Riscoprire e riaffermare i connotati più propriamente cristiani della festa - il Dio che si è fatto uomo perché ha tanto amato il mondo - non significa rinchiudersi in un ghetto esclusivo, ma mostrare inedite capacità di narrare con il linguaggio della nostra cultura in continuo mutamento la perenne «buona notizia» che riguarda tutta l’umanità: la nascita di Gesù è abbraccio tra giustizia e verità, è incontro fecondo tra cielo e terra, è speranza e promessa di pace e di vita piena.
(Tratto da:www.monasterodibose.it/content/view/3841/114/1/1/lang,it/)
venerdì 24 dicembre 2010
Chi non vorrebbe essere Guido?
Turoldo per la Vigilia
Mentre il silenzio fasciava la terra
e la notte era a metà del suo corso,
tu sei disceso, o Verbo di Dio,
in solitudine e più’ alto silenzio.
La creazione ti grida in silenzio,
la profezia da sempre ti annuncia,
ma il mistero ha ora una voce,
al tuo vagito il silenzio e’ più fondo.
E pure noi facciamo silenzio,
più che parole il silenzio lo canti,
il cuore ascolti quest’unico Verbo
che ora parla con voce di uomo.
A te, Gesù, meraviglia del mondo,
Dio che vivi nel cuore dell’uomo,
Dio nascosto in carne mortale,
a te l’amore che canta in silenzio
(David Turoldo)
sabato 26 dicembre 2009
Il Papa all’Angelus: il martirio di Santo Stefano esempio di amore che non si arrende alla violenza. Sostegno ai cristiani che soffrono per la fede
RADIO VATICANA
◊ Il martirio di Santo Stefano, che la Chiesa ricorda e celebra nella liturgia di oggi, testimonia il senso più profondo del Natale: l’affermazione di una “civiltà dell’amore” più forte del male e della violenza. Con questo pensiero, Benedetto XVI ha accompagnato questa mattina la recita dell’Angelus, durante la quale ha avuto parole di incoraggiamento per quei “tanti credenti” che, ha detto, nel mondo soffrono a causa della fede. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Vivere senza senso - quasi un’esistenza “morta” - o vivere per Cristo sapendo con "certezza", anche se la fede costasse la morte, di aver scelto “la parte migliore della vita”. Due rive opposte, sulle quali il Papa colloca, da un lato, una parte della gente dei nostri tempi e dall’altro la figura del martire per eccellenza, il diacono Stefano. Il suo sacrificio, ha affermato Benedetto XVI all’Angelus, ci aiuta a capire meglio il Natale, la “meravigliosa grandezza” della nascita di Gesù:
“Colui che vagisce nella mangiatoia, infatti, è il Figlio di Dio fatto uomo, che ci chiede di testimoniare con coraggio il suo Vangelo, come ha fatto Santo Stefano il quale, pieno di Spirito Santo, non ha esitato a dare la vita per amore del suo Signore. Egli, come il suo Maestro, muore perdonando i propri persecutori e ci fa comprendere come l’ingresso del Figlio di Dio nel mondo dia origine ad una nuova civiltà, la civiltà dell’amore, che non si arrende di fronte al male e alla violenza e abbatte le barriere tra gli uomini, rendendoli fratelli nella grande famiglia dei figli di Dio”.
Stefano, ha detto il Papa alle molte persone radunatesi in Piazza San Pietro nonostante la pioggia, è un “modello” di cristiano perché, in quanto diacono, si apre all’accoglienza dei poveri, che resta -ha ripetuto il Pontefice – “una delle vie privilegiate per vivere il Vangelo e testimoniare agli uomini in modo credibile il Regno di Dio che viene”:
“La testimonianza di Stefano, come quella dei martiri cristiani, indica ai nostri contemporanei spesso distratti e disorientati, su chi debbano porre la propria fiducia per dar senso alla vita. Il martire, infatti, è colui che muore con la certezza di sapersi amato da Dio e, nulla anteponendo all’amore di Cristo, sa di aver scelto la parte migliore”.
Ancora, ha osservato Benedetto XVI, la Festa di Santo Stefano “ci ricorda anche i tanti credenti, che in varie parti del mondo, sono sottoposti a prove e sofferenze a causa della loro fede”. “Impegniamoci - ha esortato il Papa - a sostenerli con la preghiera e a non venir mai meno alla nostra vocazione cristiana". Dopo la recita dell'Angelus, il Pontefice ha salutato i fedeli in sei lingue, concludendo con queste parole in lingua italiana:
“Auguro che la sosta di questi giorni presso il presepio per ammirare Maria e Giuseppe accanto al Bambino, possa suscitare in tutti un rinnovato impegno di amore vicendevole e di reciproca comprensione, affinché all’interno delle famiglie e dell’intera Nazione si viva quel clima di intesa e di comunione che tanto giova al bene comune. Buona festa a voi tutti!”.
domenica 23 dicembre 2007
Testi per riflettere sul Natale2007/2
Dagli scritti di don Tonino Bello vescovo.
Buon Natale, amico mio: non avere paura. La speranza è stata seminata in te. Un giorno fiorirà. Anzi, uno stelo è già fiorito. E se ti guardi attorno, puoi vedere che anche nel cuore del tuo fratello, gelido come il tuo, è spuntato un ramoscello turgido di attese. E in tutto il mondo, sopra la coltre di ghiaccio, si sono rizzati arboscelli carichi di gemme. E una foresta di speranze che sfida i venti densi di tempeste e, pur incurvandosi ancora, resiste sotto le bufere portatrici di morte. Non avere paura, amico mio. Il Natale ti porta un lieto annunzio: Dio è sceso su questo mondo disperato. E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuoi dire: Dio con noi. Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno, e una primavera senza tramonto regnerà nel tuo giardino, dove Dio, nel pomeriggio, verrà a passeggiare con te... Se vi dico che uno stelo di speranza è già fiorito, è perché voglio esortarvi a recuperare un genere diverso di vita e un nuovo gusto di vivere. E’ perché voglio invitarvi a stare nella crisi attuale senza rassegnazioni supine, ma con lucidità e coraggio. E’ perché voglio stimolarvi ad andare controcorrente e a porre sui valori morali le premesse di un’autentica cultura di vita, che possa battere ogni logica di distruzione, di avvilimento e di morte. Gesù che nasce, è il segno di una speranza che, nonostante tutto, si è già impiantata sul cuore della terra.
Testi per riflettere sul Natale2007/1
Dal libro “Gesù Zero” di
Chi mi conosce e mi legge da tanti anni lo sa bene: Natale è una festa che non sopporto. Mi suscita prurito, mi inquieta, mi mette di malumore. Capiamoci: non il Natale del Vangelo, quello che stiamo per meditare. Non sopporto l’altro natale, quello tarocco, quello rassicurante e mieloso, pieno di (finti) buoni sentimenti, quello dopato per far spendere la tredicesima, quello che suscita un’immensa tristezza in chi vive situazioni di solitudine o di fatica affettiva.
Natale è ormai una festa di compleanno in cui ci si dimentica di invitare il festeggiato. Col passare degli anni vedo che sempre di più il Natale vero è dimenticato, abbandonato. Meglio un Natale tradizionale, con qualche apertura alla modernità e politicamente corretto. […]
A rileggere bene i testi del Vangelo, capisco che sono troppo destabilizzanti per non suscitare qualche inquietudine. Siamo onesti: non abbiamo fatto una gran bella figura in quel primo Natale. Il messaggio soggiacente ai racconti di Luca e di Matteo è espresso bene da Giovanni: la luce viene, ma le tenebre non l’hanno accolta (cfr. Gv 1,5).
Dio viene, ma l’umanità non se n’è accorta.
Il Natale ribalta la concezione moderna dell’assenza di Dio: è l’uomo a essere assente, non Dio. Capisco, allora, che col passare dei secoli si sia aggiunto zucchero a tanta urticante verità. Quel bambino, che i fratelli ortodossi non esitano a rappresentare avvolto nel sudario, è segno di contraddizione, è — da subito — il crocifisso. Ecco il vero volto di Dio: un Dio inerme, donato, bisognoso di tutto, come è fragile e bisognoso un neonato. A me quel bambino non suscita tenerezza: mi inquieta. […]
Dio viene, ma molti non se ne accorgono, altri rifiutano la sua venuta, pochi lo accolgono. Tra quanti lo rifiutano Luca pone il grande Cesare Augusto, che deve contare i suoi sudditi per ragioni fiscali. Egli possiede l’impero, le vite gli appartengono, anche quella di Dio. Cesare assomiglia ai tanti imperatori che ancora vivono in mezzo a noi, alle multinazionali, ai grandi responsabili delle istituzioni, a chi esercita un potere e si prende per Dio. Ancora oggi Dio viene sottomesso e censito da quanti pensano di possederlo, di annoverarlo tra le proprie file. Lui, l’inconoscibile, è trattato come un suddito.
La brava gente di Betlemme non se la sente di accogliere una donna partoriente (come dar loro torto!): la città brulica di persone scese per il censimento, l’affitto delle camere rende bene, meglio evitare scocciature. Alla fine solo qualcuno dei parenti di Giuseppe, inteneritosi, offre agli stremati coniugi di Nazareth il sottoscala della casa, là dove sono custoditi gli animali necessari alla sopravvivenza, perché il piano alto è occupato da altri parenti giunti a Betlemme per il censimento. Così Dio nasce in una mangiatoia.
Mi hanno sempre fatto riflettere i bravi abitanti di Betlemme. Brava gente, bravissima, che va a Messa la Domenica e firma l’8x1000 alla Chiesa Cattolica, ma che non riesce a riconoscere nel volto del viandante e dello straniero il volto di Dio.
Dio viene: nel nascondimento, nella povertà, nel disagio di nascere in una città straniera.
Me lo vedo, Giuseppe, che cerca disperatamente un luogo per fermarsi e che deve — lui, spaventato a morte — rassicurare la sua piccola Maria. Sin dall’inizio Dio non vuole privilegi, accetta di vivere tutti i rischi e le fatiche dell’essere uomo, senza eccezioni. […]
Maria e Giuseppe accolgono l’inaudito di Dio nella loro vita senza porre condizioni; la loro vita viene scavata, arata, continuamente messa alla prova. Il loro atteggiamento ci è proposto come modello di discepolato, come percorso di conversione.
Luca, nel racconto dell’infanzia, ci dice per due volte che Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole in cuor suo (Lc 2,19; 2,51). Davanti al mistero della vita e della presenza di Dio, il modo migliore per coglierne l’ampiezza è la riflessione interiore, la meditazione, come fa Maria. […]
«Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore» (Lc 2,11). Non per i bravi ragazzi che se lo meritano, non per i devoti che già possiedono Dio, ma per i perdenti senza giustificazione, per gli sconfitti della storia, per i per sempre bastonati, per i miseri e gli umiliati, per i peccatori. Che notizia straordinaria! […]
Se vi dicessi che Dio viene a premiare i buoni, che buona notizia sarebbe? Che novità sarebbe?
Da subito Dio scardina i nostri luoghi comuni, anche quelli religiosi. Dio viene proprio per chi non se lo aspetta.
Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro
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