Dal libro “Gesù Zero” di
Chi mi conosce e mi legge da tanti anni lo sa bene: Natale è una festa che non sopporto. Mi suscita prurito, mi inquieta, mi mette di malumore. Capiamoci: non il Natale del Vangelo, quello che stiamo per meditare. Non sopporto l’altro natale, quello tarocco, quello rassicurante e mieloso, pieno di (finti) buoni sentimenti, quello dopato per far spendere la tredicesima, quello che suscita un’immensa tristezza in chi vive situazioni di solitudine o di fatica affettiva.
Natale è ormai una festa di compleanno in cui ci si dimentica di invitare il festeggiato. Col passare degli anni vedo che sempre di più il Natale vero è dimenticato, abbandonato. Meglio un Natale tradizionale, con qualche apertura alla modernità e politicamente corretto. […]
A rileggere bene i testi del Vangelo, capisco che sono troppo destabilizzanti per non suscitare qualche inquietudine. Siamo onesti: non abbiamo fatto una gran bella figura in quel primo Natale. Il messaggio soggiacente ai racconti di Luca e di Matteo è espresso bene da Giovanni: la luce viene, ma le tenebre non l’hanno accolta (cfr. Gv 1,5).
Dio viene, ma l’umanità non se n’è accorta.
Il Natale ribalta la concezione moderna dell’assenza di Dio: è l’uomo a essere assente, non Dio. Capisco, allora, che col passare dei secoli si sia aggiunto zucchero a tanta urticante verità. Quel bambino, che i fratelli ortodossi non esitano a rappresentare avvolto nel sudario, è segno di contraddizione, è — da subito — il crocifisso. Ecco il vero volto di Dio: un Dio inerme, donato, bisognoso di tutto, come è fragile e bisognoso un neonato. A me quel bambino non suscita tenerezza: mi inquieta. […]
Dio viene, ma molti non se ne accorgono, altri rifiutano la sua venuta, pochi lo accolgono. Tra quanti lo rifiutano Luca pone il grande Cesare Augusto, che deve contare i suoi sudditi per ragioni fiscali. Egli possiede l’impero, le vite gli appartengono, anche quella di Dio. Cesare assomiglia ai tanti imperatori che ancora vivono in mezzo a noi, alle multinazionali, ai grandi responsabili delle istituzioni, a chi esercita un potere e si prende per Dio. Ancora oggi Dio viene sottomesso e censito da quanti pensano di possederlo, di annoverarlo tra le proprie file. Lui, l’inconoscibile, è trattato come un suddito.
La brava gente di Betlemme non se la sente di accogliere una donna partoriente (come dar loro torto!): la città brulica di persone scese per il censimento, l’affitto delle camere rende bene, meglio evitare scocciature. Alla fine solo qualcuno dei parenti di Giuseppe, inteneritosi, offre agli stremati coniugi di Nazareth il sottoscala della casa, là dove sono custoditi gli animali necessari alla sopravvivenza, perché il piano alto è occupato da altri parenti giunti a Betlemme per il censimento. Così Dio nasce in una mangiatoia.
Mi hanno sempre fatto riflettere i bravi abitanti di Betlemme. Brava gente, bravissima, che va a Messa la Domenica e firma l’8x1000 alla Chiesa Cattolica, ma che non riesce a riconoscere nel volto del viandante e dello straniero il volto di Dio.
Dio viene: nel nascondimento, nella povertà, nel disagio di nascere in una città straniera.
Me lo vedo, Giuseppe, che cerca disperatamente un luogo per fermarsi e che deve — lui, spaventato a morte — rassicurare la sua piccola Maria. Sin dall’inizio Dio non vuole privilegi, accetta di vivere tutti i rischi e le fatiche dell’essere uomo, senza eccezioni. […]
Maria e Giuseppe accolgono l’inaudito di Dio nella loro vita senza porre condizioni; la loro vita viene scavata, arata, continuamente messa alla prova. Il loro atteggiamento ci è proposto come modello di discepolato, come percorso di conversione.
Luca, nel racconto dell’infanzia, ci dice per due volte che Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole in cuor suo (Lc 2,19; 2,51). Davanti al mistero della vita e della presenza di Dio, il modo migliore per coglierne l’ampiezza è la riflessione interiore, la meditazione, come fa Maria. […]
«Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore» (Lc 2,11). Non per i bravi ragazzi che se lo meritano, non per i devoti che già possiedono Dio, ma per i perdenti senza giustificazione, per gli sconfitti della storia, per i per sempre bastonati, per i miseri e gli umiliati, per i peccatori. Che notizia straordinaria! […]
Se vi dicessi che Dio viene a premiare i buoni, che buona notizia sarebbe? Che novità sarebbe?
Da subito Dio scardina i nostri luoghi comuni, anche quelli religiosi. Dio viene proprio per chi non se lo aspetta.
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