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venerdì 5 marzo 2021

Agenzia fides 5 marzo 2021

 


 
News
 
AFRICA/CONGO RD - Ucciso il magistrato che stava indagando sull’omicidio dell’Ambasciatore italiano e dei suoi accompagnatori
 
Kinshasa (Agenzia Fides) – Ucciso il magistrato che stava indagando sull’agguato del 22 febbraio, nel quale sono rimasti vittime l’Ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, il carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci, e l’autista congolese Mustafa Milambo (vedi Fides 23/2/2021).
“Fonti locali dichiarano che stava tornando da una riunione a Goma, nell’ambito dell’inchiesta sulla sicurezza dell’area e in particolare sull’omicidio dell’Ambasciatore italiano e dei suoi due accompagnatori” confermano a Fides fonti missionarie che operano nel Nord Kivu, nell’est della RDC, di cui Goma è capoluogo.
In un comunicato inviato a Fides, l’Ong locale CEPADHO (Centro Studi per la Pace, la Democrazia e i Diritti Umani) afferma di “aver appreso con forte sgomento dell'assassinio del maggiore William Assani, magistrato presso il Tribunale militare di Rutshuru il 2 marzo, rimasto vittima di un agguato all'altezza di Katale, sull'asse stradale Rutshuru – Goma, da dove proveniva”. “Questo crimine è stato perpetrato da uomini armati, non identificati, uno dei quali è stato neutralizzato dalla risposta avviata dalle FARDC (l’esercito congolese)” precisa la dichiarazione.
“Il CEPADHO condanna con veemenza questo atto spregevole e barbaro, da considerarsi un vero sabotaggio alla magistratura, visto l'impegno e l'abnegazione che ha caratterizzato il Magistrato Militare nel Territorio di Rutshuru. La nostra Organizzazione, scioccata e scandalizzata per la morte del maggiore William Assani, sollecita le autorità perché avviino indagini credibili per trovare gli assassini, affinché gli autori di questo delitto non restino impuniti” conclude il CEPADHO. (L.M.) (Agenzia Fides 5/3/2021)
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AFRICA/TANZANIA - Covid-19: in due mesi, più di 25 sacerdoti e 60 suore, infermiere cattoliche e medici, sono morti per problemi respiratori
 
Dar es Salaam (Agenzia Fides) – “In due mesi, più di 25 sacerdoti e 60 suore, infermiere cattoliche e medici, sono morti per problemi respiratori” ha annunciato p. Charles Kitima, Segretario generale della Conferenza episcopale della Tanzania (TEC). “Una cosa mai successa prima in un così breve lasso di tempo” ha aggiunto.
P. Kitima ha però affermato che ufficialmente non può affermare che tutti questi decessi sono legati al Covid-19. “Noi come Chiesa non effettuiamo test Covid e i medici non possono dircelo perché non tutti sono autorizzati a condurre test per il virus" ha detto p. Kitima.
Si noti che le autorità della Tanzania non hanno aggiornato i dati Covid-19 dall'inizio di maggio, lasciando l'ultimo numero di casi confermati a 509 e il bilancio delle vittime a 21.
Nonostante la politica di negare la presenza del virus nel Paese da parte delle autorità locali, p. Kitima ha richiamato tutti al senso di responsabilità: “Il coronavirus esiste. Vi chiediamo di prendere precauzioni. Dobbiamo aumentare i nostri sforzi per proteggerci. Abbiamo la responsabilità di proteggere gli anziani e le persone con condizioni di salute precarie prendendo le precauzioni necessarie”.
P. Kitima ha poi chiesto maggiore trasparenza sull’andamento della pandemia nel Paese. "I tanzaniani hanno il diritto di ricevere accurate informazioni scientifiche sul Covid-19 perché la mancanza di informazioni concrete sul virus sta propagando paura e confusione tra le persone”.
A febbraio, il Presidente della TEC, Sua Ecc. Mons Gervais Nyaisonga, Arcivescovo di Mbeya, ha incoraggiato i tanzaniani a non rimanere schiavi della paura, ma a seguire i consigli degli esperti: “Tanzaniani, siamo incoraggiati a non essere ridotti in schiavitù dalla paura. La paura è un'arma che può indebolire una persona”.
A fine gennaio i Vescovi locali, avevano messo in guardia i fedeli sulla “nuova ondata di infezioni da coronavirus”, che ha comportato un aumento dei decessi (vedi Fides 29/1/2021). "Il nostro Paese non è un'isola ... Dobbiamo difenderci, prendere precauzioni e pregare Dio con tutte le nostre forze in modo che questo flagello non ci raggiunga". (L.M.) (Agenzia Fides 5/3/2021)

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ASIA/MYANMAR - Leader cattolico birmano: "Ci appelliamo alla Santa Sede, perchè sia coinvolta nella mediazione"
 
Yangon (Agenzia Fides) - "In questo momento di sofferenza e di repressione, rivolgiamo un appello accorato a Papa Francesco: la Santa Sede ci aiuti e si coinvolga nel ruolo di mediazione per migliorare la situazione della popolazione in Myanmar": lo dice all'Agenzia Fides Joseph Kung Za Hmung, leader laico cattolico, direttore di "Gloria News Journal", il primo giornale cattolico su web in Myanmar. Il leader ritiene che questo appello potrà essere condiviso anche dalle guide delle comunità cattoliche, come Vescovi, preti e religiosi, che spesso hanno aiutato e assistito i manifestanti. E nota: "Ricordiamo ancora con gioia e commozione la visita di Papa Francesco in Myanmar, nel novembre 2017. Allora il generale Min Aung Hlaing, oggi a capo della giunta militare, gli ha fatto visita nella sua residenza, all'Arcivescovado di Yangon. Venimmo a sapere che il Santo Padre ricordò e ammonì il generale perché fosse responsabile di una pace sostenibile e della democrazia in Myanmar. Oggi, mentre vediamo morire i nostri giovani, crediamo che un'azione mediatrice della Santa Sede potrà aiutarci a porre fine alla violenza e a riportare pace e riconciliazione".
Joseph Kung Za Hmung ricorda a Fides che ieri è stata uccisa una giovane 19enne a Mandalay: "Kyal Sin è il nostro angelo. Era una ragazza di 19 anni, di famiglia cinese, di Mandalay. E' stata uccisa da un proiettile sparato dai cecchini dell'esercito mentre manifestava pacificamente. E' già considerata un'eroina e una martire per la libertà. Credo diverrà un simbolo per i tanti giovani che affollano le strade e continuano la protesta. Prima di morire Kyal aveva scritto in una lettera: 'Ho paura, ma per la nostra libertà, combatteremo. Non abbandoneremo la nostra lotta'. E' stata una ragazza coraggiosa. Al suo funerale, ieri a Mandalay, vi erano oltre duemila persone, soprattutto giovani, di tutte le fedi". Rileva Hmung che "il movimento di protesta e disobbedienza civile, nonostante la repressione dell'esercito, prosegue sulla strada della non violenza. I giovani organizzano sit-in, ed è l'esercito che avanza per disperderli, con tutti i mezzi, anche sparando e uccidendo. E' un movimento che nasce dal basso, e che non ha leader riconosciuti".
Come appreso da Fides, a Mandalay anche le Suore di San Giuseppe dell'Apparizione sono scese in strada per aiutare curare, accudire i manifestanti, spesso percossi e feriti. "Siamo tristi per la morte di giovani innocenti e inermi. Quello che ci muove è la compassione" notano le religiose. Fin dall'inizio della protesta, le suore hanno deciso di visitare i parenti delle persone uccise per alleviare un po' le loro sofferenze e donare conforto: "La nostra preghiera è importante per loro, anche se sono buddisti. In questo modo dimostriamo la nostra solidarietà e rafforziamo il legame umano e spirituale".
Manifestando empatia e solidarietà, le religiose hanno vegliato e pregato dopo la morte del 36enne Ko Min Min, ucciso nei giorni scorsi a Mandalay, quando la polizia ha sparato sulla folla per disperdere la protesta. E hanno poi pianto e pregato con la famiglia di un'altra giovane vittima, Wai Yan Htun, 16 anni, anch'egli colpito da un cecchino.
I fedeli birmani ricordano e apprezzano le parole pronunciate da Papa Francesco nell'Udienza generale del 3 marzo: "Giungono ancora dal Myanmar tristi notizie di sanguinosi scontri, con perdite di vite umane. Desidero richiamare l’attenzione delle autorità coinvolte, perché il dialogo prevalga sulla repressione e l’armonia sulla discordia. Rivolgo anche un appello alla comunità internazionale, perché si adoperi affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza. Ai giovani di quell’amata terra, sia concessa la speranza di un futuro dove l’odio e l’ingiustizia lascino spazio all’incontro e alla riconciliazione. Ripeto, infine, l’auspicio espresso un mese fa: che il cammino verso la democrazia intrapreso negli ultimi anni dal Myanmar, possa riprendere attraverso il gesto concreto della liberazione dei diversi leader politici incarcerati".
I cristiani, che sui 54 milioni di abitanti del Myanmar sono circa il 6% (tra i quali circa 650mila cattolici), fin dalle prime giornate dopo il golpe del 1° febbraio si sono uniti ai manifestanti, nello spirito della non-violenza e della resistenza pacifica contro l'ingiustizia.
(PA) (Agenzia Fides 5/3/2021)
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ASIA/IRAQ - Infondere speranza attraverso la solidarietà verso tutti: gli iracheni aspettano Papa Francesco
 
Roma (Agenzia Fides) - “La visita di Papa Francesco è un momento importante, specialmente in questo tempo di Quaresima. È un segno di speranza per i cristiani, è un messaggio di pace e riconciliazione per le diverse comunità per costruire ponti con altre fedi” commenta Aloysius John, Segretario generale di Caritas Internationalis, in occasione del viaggio di Papa Francesco in Iraq, iniziato questa mattina 5 marzo 2021.
“Caritas Iraq - si legge nella nota di Caritas Internationalis pervenuta all’Agenzia Fides - semina la speranza e i semi di riconciliazione attraverso la propria presenza e le proprie opere in favore delle comunità irachene e ci ricorda che l'unità prevarrà solo quando i diritti umani saranno rispettati e sarà promossa la dignità umana”.
Nabil Nissan, direttore di Caritas Iraq, si rivolge al Papa dicendosi più che certo che il Santo Padre non li lascerà soli e li ispirerà ad essere presenti ovunque vi siano dolore e sofferenza. “La nostra forza è ispirata dalla nostra fede e dalla nostra speranza che saranno entrambe rafforzate dalla Sua visita”.
Insieme all'aiuto materiale, il sostegno di Caritas Iraq contribuisce a restituire ai cristiani la fiducia in loro stessi, a riconoscerli in quanto cittadini al pari degli altri iracheni, a mostrare la presenza e il sostegno della Chiesa alle comunità più vulnerabili, a offrire ai cristiani l'opportunità di vivere la propria fede attraverso il loro servizio in Caritas.
La struttura opera in quattro governatorati dell'Iraq (Baghdad, Anbar, Mosul, Duhok) grazie all’impegno di oltre 270 collaboratori e circa 200 volontari.
(MP/AP) (5/3/2021 Agenzia Fides)
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ASIA/EMIRATI ARABI - Il Vescovo Hinder: anche i nostri cristiani guardano al viaggio del Papa in Iraq. E i musulmani elogiano il suo coraggio
 
Abu Dhabi (Agenzia Fides) – Oggi Papa Francesco ha iniziato il viaggio in Iraq, e proprio ieri, il 4 marzo, cadevano i cinque anni esatti dalla strage in cui a Aden, nello Yemen, vennero uccise quattro suore di Madre Teresa, assieme a una dozzina di impiegati prevalentemente musulmani. A far notare la singolare coincidenza è il Vescovo Paul Hinder, ofmCap, Vicario apostolico dell’Arabia meridionale. Mentre si realizza la prima visita di un Papa nella terra da cui è partito Abramo, Padre di tutti i credenti, quella storia di martirio e di sofferenza condivisa tra cristiani e musulmani richiama analoghe vicende che hanno segnato anche di recente le Chiese dell’Iraq e il popolo iracheno. “Il frutto del loro martirio” riconosce il Vicario apostolico, “non si misura con le statistiche. Rimangono però per noi un segno provocante di un amore che va aldilà del sentimentalismo, e può condurre a condividere la stessa sorte di Gesù crocifisso. Quelle suore sapevano del rischio ma non hanno preso la via della fuga. Sono sicuro che il loro martirio porterà dei frutti”.
Il viaggio di Papa Francesco in un vicino Paese arabo – riferisce a Fides il Vescovo Hinder – suscita emozione e attese singolari nella variegata comunità cattolica del Vicariato: “i nostri fedeli seguono con interesse e curiosità la visita di Papa Francesco in Iraq. Questo – aggiunge il Vicario apostolico - vale soprattutto per i cristiani iracheni che vivono nel Paese. Ci sono due scuole a Dubai e a Sharjah, tenute dalle suore irachene di Maria Immacolata. Tra gli altri, in maggioranza indiani e filippini, sono soprattutto i nostri fedeli di lingua araba provenienti dai Paesi del Medio Oriente, incluso l’Egitto, che guardano all’Iraq durante questi giorni. Molti di loro hanno legami se non con l’Iraq almeno con gente che è vissuta in Mesopotamia o ancora ci vive. Anche i musulmani mostrano il loro interesse. Uno di loro mi ha espresso esplicitamente la sua ammirazione per il coraggio del Papa di visitare l’Iraq in questo momento critico”.
Poco più di due anni fa, il 4 febbraio 2019, Papa Francesco e il grande Imam di al Azhar, lo Sheikh Ahmed al Tayyeb, firmarono proprio a Abu Dhabi il Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la Convivenza comune. Da allora, la riscoperta del legame fraterno che unisce tutti i figli di Dio è stata proposta da Papa Francesco – anche nell’Enciclica “Fratelli Tutti” - come punto di partenza per affrontare insieme le i conflitti e le emergenze globali che feriscono e affaticano le vite dei popoli. Anche il viaggio papale in Iraq, primo Paese a maggioranza sciita visitato da Papa Francesco, ha come motto la frase evangelica “Voi siete tutti fratelli” e come parola chiave la Fratellanza. Il futuro dirà se d’ora in avanti anche istituzioni e circoli dell’islam sciita si coinvolgeranno nel cammino di condivisione iniziato a Abu Dhabi – a cui finora hanno aderito soggetti dell’islam sunnita – o se prevarranno diffidenze e obiezioni condizionate anche della contrapposizioni geopolitiche. “Sappiamo bene” riconosce a tal proposito il Vescovo Hinder “che anche nel mondo musulmano ci sono dei discordie, e non soltanto tra sunniti e sciiti. Sfortunatamente questi contrasti sono approfonditi da ragioni ideologiche e soprattutto politiche. Ma il fatto che c’è un abisso tra Riyad e Teheran non vuol dire che un dialogo tra i rappresentanti religiosi non sia più praticabile. In questo campo non credo a progressi repentini” premette con realismo il Vicario apostolico “ma sono io stesso testimone di uno sviluppo promittente nel dialogo inter-religioso. Ciò che ho visto e sperimentato nei 17 anni vissuti in Arabia mi conferma che con pazienza e fiducia è possibile di avvicinarsi e di progredire assieme. La visita di Papa Francesco nel 2019” ricorda il Vescovo Hinder “fu un segno forte e ben visto anche dai musulmani della zona. I rapporti con le autorità sono segnati da un rispetto reciproco crescente. La pandemia he messo il freno agli incontri in presenza, ma i contatti continuano con i mezzi virtuali disponibili”.
I profili delle comunità cristiane presenti in Iraq e nella Penisola arabica sono diversi. I Cristiani dei Paesi della Penisola sono lavoratori immigrati, venuti in cerca di occupazione. Quelle presenti in Iraq sono comunità cristiane autoctone, assottigliatesi negli ultimi anni a causa dei flussi migratori. Non di meno, i Vescovo Hinder mostra di condividere le considerazioni espresse dal Patriarca caldeo Louis Raphael Sako nella recente intervista rilasciata a Fides (vedi Fides 3/3/2021), nella quale il Cardinale iracheno ha ribadito che il Papa non è andato in Iraq per “rafforzare i cristiani” nel vortice dei conflitti settari, e ha respinto anche le teorie di chi sostiene che solo gli aiuti dall’esterno – di tipo economici, militari o di altro tipo) possono salvare le comunità cristiane mediorientali dall’estinzione. “Anche se le condizioni politiche, sociali, economiche e religiose giocano un ruolo importante per cristiani e non-cristiani” sottolinea il Vicario apostolico “bisogna riconoscere che la permanenza dei cristiani in una regione non è solo un prodotto di condizioni favorevoli, ma è soprattutto il frutto della grazia che opera nei cuori dei fedeli. L’abbiamo visto durante la storia in tanti Paesi del mondo. E lo stesso accade in Iraq. Non dimentichiamo mai che la fede in Cristo è prima di tutto un dono dello Spirito Santo che soffia dove vuole, anche e soprattutto in condizioni difficili. Dobbiamo prendere congedo dalla mania di guardare solo le statistiche e i numeri. Ci sono in Iraq cristiani che sono testimoni del Signore crocifisso e risorto e rimangono così un segno di vita che supera tutte le tragedie”. Riguardo alla situazione delle comunità cristiane nella Penisola arabica, il Vescovo Hinder conferma le conseguenze negative che la pandemia da Covid-19 ha prodotto sulle attività lavorative degli immigrati cristiani e sulla stessa vita ecclesiale: “E’ ancora presto per fare un bilancio“ avverte il Vicario apostolico “ma già si nota una diminuzione numerica dei migranti e quindi anche delle nostre comunità cristiane. Ciò che pesa forse il più è l’insicurezza che molto spesso si abbina all’isolamento dovuto alle restrizioni. Il fatto che le chiese sono rimaste chiuse per molti mesi e in parte continuano ancora a essere chiuse è un peso per tanti che frequentano la casa del Signore come luogo di consolazione nelle paure e nelle sofferenze. Mi fa piangere il vedere gente che prega fuori dalle mura della chiesa, perché non ci è permesso siamo permessi di mantenere aperto il comprensorio parrocchiale. Poi grazie a Dio ci sono quei segni di solidarietà aperta e discreta verso i fedeli che si trovano in difficoltà. Molto si fa virtualmente. Però non ho mai sentito così importante il fatto di avere un contatto reale con le persone come adesso, nel tempo in cui tale contatto è molto limitato. E percepisco che tanti condividono questa mia stessa esperienza. (GV) (Agenzia Fides 5/3/2021)
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ASIA/INDIA - La Chiesa nello stato del Tripura chiede di rinviare le elezioni fissate la domenica di Pasqua
 
Agartala (Agenzia Fides) - I cristiani nello stato indiano nordorientale del Tripura sono amareggiati per lo svolgimento delle elezioni del Consiglio distrettuale autonomo, la domenica di Pasqua, e chiedono il rinvio del voto. “Programmare le elezioni per il giorno di Pasqua, dedicato al mistero centrale della fede per tutti i cristiani nel mondo, non solo renderà gli elettori cristiani impossibilitati a partecipare al processo elettorale, ma danneggerà anche i sentimenti religiosi della comunità cristiana”, rileva in una nota inviata all'Agenzia Fides, il Vescovo di Agartala, Mons. Lumen Monteiro.
"I cristiani nello stato di Tripura, circa 160mila fedeli in tutto, sono rimasti "delusi e scioccati" quando hanno saputo la data delle elezioni", ha detto padre Joseph Pulinthanath, portavoce della diocesi di Agartala. La diocesi di Agartala occupa tutto lo Stato. L'elezione per il Consiglio distrettuale autonomo del Tripura è fissata il 4 aprile, domenica di Pasqua. Il Consiglio distrettuale autonomo amministra le aree dominate dalle tribù indigene di Tripura. Quasi il 68% dell'area dello stato, che è per lo più coperta da foreste e colline, rientra nella competenza e sotto la giurisdizione del Consiglio.
Mons. Monteiro ha scritto una lettera diretta al Commissario statale per le elezioni, esprimendo la preoccupazione della comunità cristiana per la data dello scrutinio, coincidente con la domenica di Pasqua. Nella missiva si chiede di riprogrammare la data delle elezioni "per consentire a tutti i cittadini di esercitare il proprio diritto di voto e di potere, nel contempo, adempiere ai propri obblighi di fede come cristiani".
Parlando delle elezioni che si terranno la domenica di Pasqua, Sagar Sagma, leader laico cattolico, ha detto a Fides: “La Commissione elettorale non ha preso in considerazione i sentimenti religiosi dei cristiani e l'importanza della Pasqua. Non è opportuno ed è per noi disagevole. Speriamo in un rinvio".
Tripura è il terzo stato più piccolo dell'India. Copre 10.491 kmq e confina con il Bangladesh a nord, sud e ovest, e gli stati indiani di Assam e Mizoram a est. A causa del suo isolamento geografico, per lo più dovuto alle catene montuose, il suo progresso economico è ostacolato. La povertà e la disoccupazione continuano ad affliggere Tripura, che dispone di infrastrutture limitate. La maggior parte dei residenti è impegnata nell'agricoltura e nelle attività connesse, sebbene il settore dei servizi sia il maggior contributore al prodotto interno lordo dello stato.
La Chiesa continua a lavorare per persone e gruppi etnici in termini di lavoro sociale, istruzione, assistenza sanitaria ed evangelizzazione. Su circa, 3,6 milioni di abitanti, l'83% sono indù, i musulmani sono 8,6%, i cristiani circa il 4,3%, la parte restante è tra sikh e religioni tribali.
(SD-PA) (Agenzia Fides 5/3/2021)
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AMERICA/COLOMBIA - Minacce al Vescovo di Buenaventura, cresce la violenza, i Vescovi: “non ci rassegniamo ad accettare queste situazioni”
 
Buenaventura (Agenzia Fides) - “Esprimiamo solidarietà, vicinanza, affetto e sostegno al nostro fratello Vescovo di questa diocesi, monsignor Rubén Darío Jaramillo Montoya, per le minacce che da tempo riceve contro la sua integrità e la sua vita, lui e altri che sono a servizio della comunità. Estendiamo la solidarietà alle diverse comunità del territorio che lui accompagna con dolore”. Lo scrivono i Vescovi del Pacifico e del sud-ovest della Colombia, che si sono riuniti dal 2 al 4 marzo nella città di Buenaventura, la cui diocesi è guidata da Monsignor Jaramillo Montoya, per esaminare i gravi problemi di questa zona.
I Vescovi di Apartadó, Quibdó, Itsmina - Tadó, Buenaventura, Tumaco, Guapi, Popayán, Tierradentro, Pasto, Ipiales, Cartago, Buga, Palmira e Cali, scrivono nel loro comunicato, pervenuto a Fides: “abbiamo avuto modo di avvicinarci alle realtà di incertezza, povertà, dolore, morte e disperazione, generate dal confluire di situazioni di ordine diverso che, purtroppo, percepiamo e denunciamo sempre più in crescita, come il traffico di droga, l’aumento di gruppi armati, la corruzione, le estorsioni, la perdita della fede e dei valori, l’inefficienza di ampi settori pubblici e privati e i maltrattamenti della casa comune”.
Di fronte a questa difficile realtà, i Vescovi ribadiscono: “come Pastori, non ci rassegniamo ad accettare queste situazioni, al contrario, ci impegniamo e esortiamo i governanti e tutta la nostra gente, a lavorare decisamente alla ricerca di soluzioni globali, a breve e medio termine, che rendano possibile la reale trasformazione di questa triste e angosciante realtà. Continueremo ad essere facilitatori del dialogo e della pace”.
Ricordando l’appello della Quaresima ad una conversione integrale e l’invito di Papa Francesco ad ascoltare il grido dei poveri, i Vescovi concludono il comunicato invocando l’intercessione di San Giuseppe, perché si mostri padre anche per quanti sono pellegrini nelle terre del Pacifico e del sud ovest della Colombia, donando grazia, misericordia e coraggio, e difesa da ogni male. (SL) (Agenzia Fides 05/03/2021)
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AMERICA/CILE - La testimonianza di un missionario spagnolo, da 32 anni in Cile: “rendere realtà la presenza di Gesù il Samaritano"
 
Santiago (Agenzia Fides) – In Spagna si celebra domenica prossima la Giornata dell’Ispanoamerica, e per questa occasione l’Agenzia Fides ha ricevuto dalla diocesi spagnola di Toledo, la testimonianza di padre Félix Zaragoza, l'unico sacerdote diocesano di Toledo che è missionario in Cile. Insieme a lui ci sono altri 10 tra religiosi e laici missionari della stessa diocesi spagnola.
Il Cile è stato uno dei Paesi dell'America Latina in cui si è verificata la prima presenza di sacerdoti diocesani di Toledo che, attraverso l'OCHSA (Obra de Cooperación Sacerdotal Hispanoamericana), sono stati inviati dall'Arcivescovo di Toledo a vivere l'impegno missionario insieme alle comunità cristiane locali.
Padre Félix Zaragoza, sacerdote diocesano originario di Villacañas (Toledo), ha già trascorso 32 anni di servizio missionario nella periferia di Santiago del Cile, “una città che ha un terzo di tutti gli abitanti dell'intero Paese”, e sottolinea che la sua parrocchia, “in cui sono solo, è composta da una popolazione giovane, con più di 50.000 abitanti”. Sebbene sia l’unico sacerdote, sottolinea comunque “la collaborazione dei laici”.
Tra le attività della parrocchia Niño Dios de Malloco, situata nel Comune di Peñaflor, padre Félix sottolinea che, accanto alla chiesa, la parrocchia gestisce una scuola con circa 2.000 studenti, con più di 400 bambini da accudire nella scuola materna. Inoltre ha una residenza - casa per anziani, con “70 nonni, che in questa situazione di pandemia non possono ricevere visitatori e dove molti purtroppo sono morti". La parrocchia ha anche una farmacia per fornire medicinali e organizza “le pentole comunitarie, come le chiamiamo qui, per preparare il cibo raccolto e consegnare a tutti, qualcosa da mangiare".
Queste azioni caritative e solidali si realizzano perché "crediamo che la Chiesa, soprattutto in un tempo di secolarizzazione forte come quello che sta avendo il Cile per diverse cause, deve rendere realtà la presenza di Gesù il Samaritano". Ricorda che "la solidarietà è reale nel servizio, soprattutto dei più vulnerabili".
Padre Félix Zaragoza ringrazia la diocesi di Toledo per la collaborazione nelle missioni, e chiede di continuare a ricordarlo per il suo ministero, che svolge "in una parrocchia dove la maggioranza si considera cattolica, con più di 50.000 abitanti e un solo sacerdote per le messe, con più di 700 battesimi, più di 300 comunioni e circa 200 cresime, con più di 700 funerali nel 2020".
Per questo, padre Félix chiede preghiere, per “poter continuare a svolgere la missione in questa comunità, con queste persone, perché la Chiesa ha bisogno di dare testimonianza di fede e di impegno”. Ci tiene infatti a ricordare che "l'evangelizzazione deve essere anche un processo di umanizzazione, di una vita dignitosa", ecco perché si parte dai bambini più piccoli con gli asili nido, fino alla casa di cura, per dare loro una intera vita più dignitosa possibile.
(CE) (Agenzia Fides 05/03/2021)

martedì 23 febbraio 2021

Agenzia fides 23 febbraio 2021

 

AFRICA/CONGO RD - “L’Ambasciatore Attanasio era vicino al mondo missionario” dice una volontaria salesiana
 
Kinshasa (Agenzia Fides) - Luca Attanasio, l’Ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, “era vicino al mondo missionario che opera nell’est del Paese”, dove è stato ucciso insieme al carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci, e all’autista congolese Mustafa Milambo. Lo afferma, in un colloquio con l’Agenzia Fides, Monica Corna, Capo missione salesiana VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) in RDC, che ha lavorato a fianco dei Salesiani per 18 anni.
“Il dottor Attanasio era bene conosciuto dalla comunità missionaria nel Nord Kivu” dice Monica Corna, che da 18 anni opera con il VIS presso il centro don Bosco a Goma, il capoluogo della provincia orientale congolese. “Era sicuramente una persona molto entusiasta, che credeva in quello che faceva” dice la volontaria. “L’Ambasciatore Attanasio si era recato nel Nord Kivu per constatare di persona la difficile realtà delle popolazioni locali: per lui era importante vedere una certa realtà per avere una visione diretta per essere un vero testimone”.
Sulla dinamica dell’agguato Monica Corna dice “non ho elementi per fare supposizioni su quel che è successo”, ma aggiunge che "se è comprensibile l’emozione che la morte dei nostri connazionali ha suscitato in Italia, non bisogna cedere alla rabbia e spero che un atto del genere non faccia dire a qualcuno 'basta aiuti al Congo'. Questo sarebbe andare contro lo spirito che ha animato l’Ambasciatore Attanasio, che credeva che la Repubblica Democratica del Congo dovesse avere il posto che le spetta tra le nazioni”.
“La reazione dei congolesi è di dolore e di sgomento” afferma la volontaria. “Molti si chiedono perché il nostro Paese deve far notizia a livello internazionale solo quando accadono tragedie del genere”.
In effetti la stampa internazionale si occupa della RDC e in particolare di questa area, solo quando nelle violenze sono coinvolti cittadini stranieri, soprattutto se occidentali. “Ma le violenze contro le popolazioni locali sono quasi quotidiane ma cadono nel silenzio” sottolinea la volontaria del VIS.
L’agguato che ha portato all’uccisione dei tre uomini è avvenuto nella mattinata di ieri, 22 febbraio, nei pressi del villaggio di Kibumba, tre chilometri da Goma. Le circostanze del triplice omicidio sono ancora in fase di accertamento. (L.M.) (Agenzia Fides 23/2/2021)



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AFRICA/COSTA D’AVORIO - "Sto bene dove Dio vuole": una missionaria laica testimonia la sua vocazione
 
Bondoukou (Agenzia Fides) - “La vocazione laicale missionaria deve essere percepita come una grazia da condividere, non solo a parole ma con atti concreti, materiali e spirituali, con gioia, sacrificio, convinzione e tanta passione”. Così scrive all'Agenzia Fides Annalisa Tognon, missionaria laica impegnata in un grande villaggio della diocesi di Bondoukou, Costa d’Avorio.
“Questo mio servizio all’Africa è donare la mia vita a Cristo e seguirlo nella sua missione” sottolinea Annalisa. “Attualmente - prosegue - i tempi non sono facili qui nell’estremo nord-est della Costa d’Avorio, al confine con il Burkina Faso diventato bersaglio dei jihadisti. Proprio perché siamo in una zona dichiarata ‘rossa’ per il pericolo del terrorismo, Mons. Bruno Essoh Yedoh, Vescovo di Bondoukou, e il suo Consiglio mi hanno ordinato di lasciare la missione di Téhini. Qui facevo parte di un’équipe pastorale insieme a due preti diocesani locali e a Marie, una signora di etnia koulango, originaria di Yamadougou, villaggio vicino a Bondoukou. Lei è rimasta a Tehini, per assicurare la presenza e alcuni servizi alla missione.”
La missionaria spiega che, per motivi di sicurezza, da gennaio 2020 ha vissuto a Bondoukou dove le è stata affidata la visita ai malati del Centro Saint Camille, affiliato all’Associazione per malati di Grégoire Ahongbonon. “Il fondatore del Centro è stato p. Giacomo Bardelli, sacerdote della Società per le Missioni Africane (SMA), che ha iniziato la costruzione nel 2001 di cui sono stata testimone. Tuttavia, da qualche mese – aggiunge Annalisa - il Vescovo mi ha proposto un’altra missione nel villaggio di Tambi, dove vive la popolazione di etnia Nafana, un ramo del grande popolo Senufo, che abita il nord della Costa d’Avorio. Il villaggio dipende dalla parrocchia della Cattedrale, si trova a circa 40 km da Bondoukou, e a 16 km dalla frontiera con il Ghana. La comunità cristiana di Tambi non è ancora Parrocchia: un prete diocesano viene periodicamente da Bondouko a celebrare la Messa. Forse l’anno prossimo – se Dio vorrà – diventerà ‘quasi-parrocchia’ con un proprio sacerdote.”
“La mia è una chiamata specifica: laica e missionaria e, sto bene dove Dio vuole!” conclude la missionaria.
(ST/AP) (Agenzia Fides 23/2/2021)
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ASIA/MYANMAR - I leader religiosi pronti alla mediazione: si chiede un intervento dell'ASEAN
 
Yangon (Agenzia Fides) - I leader religiosi birmani di tutte le comunità di fede, riuniti nell'organizzazione "Religions for Peace -Myanmar", sono "pronti a continuare il Forum consultivo sulla pace e la riconciliazione in Myanmar, come uno spazio aperto per il dialogo, quando le condizioni sono accettabili, affinché tutte le parti possano incontrarsi e riunirsi": è la disponibilità alla mediazione espressa in un appello diffuso da Religions for Peace Myanmar, inviato all'Agenzia Fides. Il Forum è presieduto dal Cardinale Charles Maung Bo, Arcivescovo cattolico di Yangon e alto rappresentante della Chiesa cattolica in Asia in quanto Presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia (FABC).
In questa fase, segnata da proteste di piazza e da episodi di repressione (con oltre 600 arresti di manifestanti), i leader religiosi rivolgono, in particolare, "un forte appello all'Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) come ente regionale impegnato per la pace, la stabilità e la prosperità, affinché offra urgentemente i suoi buoni servizi al Myanmar come stato membro". La Carta costitutiva dell'ASEAN, si ricorda, "impegna i suoi membri a favore della democrazia e dei diritti umani, dello Stato di diritto e del buon governo. È il momento di intensificare il servizio al popolo del Myanmar, comprese tutte le minoranze etniche, prima che sia troppo tardi", auspicano i capi religiosi chiedendo un diretto coinvolgimento dell'ASEAN.
"Con profonda angoscia, Religions for Peace Myanmar e Religions for Peace International, a nome di tutte le sue entità regionali e nazionali - si legge nel testo inviato a Fides - implorano tutte le parti interessate di smorzare la triste svolta degli eventi nelle strade del Myanmar. Tanto sangue è stato versato in questo mese. Religions for Peace è dalla parte del popolo del Myanmar nella sua ricerca della sacralità della vita. Condanniamo fermamente lo spargimento del sangue di innocenti". Religions for Peace riunisce leader di diverse tradizioni di fede, che promuovono "un mondo senza guerra e violenza": "Lavorando in Myanmar, abbiamo apprezzato i progressi della pace e della democrazia negli ultimi dieci anni. Abbiamo nutrito grandi aspettative di una nazione costruita su queste basi". La recente svolta degli eventi, con la contestazione del risultato delle elezioni, e la presa di potere dei militari "ha frammentato la nazione". Perciò i leader chiedono a tutte le parti interessate di "operare per la pace": "Una nazione a lungo sofferente può essere guarita solo attraverso il dialogo, non la violenza nelle strade". Le tensioni sociali e politiche giungono mentre "i poveri di questo paese, che già devono affrontare molteplici sfide tra cui la pandemia, la perdita di mezzi di sussistenza e l'insicurezza alimentare: essi hanno urgente bisogno di pace per sopravvivere".
Religions for Peace Myanmar, unendosi all'organizzazione buddista "Ma Ha Na" nel chiedere la pace e anche all'appello della Conferenza episcopale cattolica del Myanmar (CBCM), auspica: "Chiediamo a tutti, specialmente all'esercito, di tornare al tavolo di mediazione, per instaurare un dialogo, affrontare le questioni aperte e riconciliare la nazione".
(PA) (Agenzia Fides 23/2/2021)
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ASIA/PALESTINA - Il Presidente Abbas riserva 7 seggi (su 132) a candidati cristiani nel prossimo Parlamento palestinese
 
Ramallah (Agenzia Fides) - Alle prossime elezioni politiche palestinesi, in programma il prossimo 22 maggio, almeno 7 dei 132 seggi parlamentari in palio saranno occupati da cittadini palestinesi di fede cristiana. Lo stabilisce un decreto emesso nei giorni scorsi dal Presidente palestinese Mahmud Abbas. Il decreto, secondo quanto riferito dai media palestinesi, dispone che 7 dei 132 seggi del prossimo Consiglio legislativo (il parlamento unicamerale palestinese) siano riservati a candidati cristiani. Il decreto presidenziale applica un emendamento alle disposizioni della legge elettorale approvata nelle scorse settimane in vista del prossimo, importante appuntamento elettorale.
Il mandato del Consiglio legislativo palestinese è ufficialmente di quattro anni, ma le ultime elezioni legislative palestinesi si sono svolte nel lontano gennaio 2006. In quella occasione, la legge elettorale in vigore riservava a candidati di fede cristiana 5 seggi parlamentari. L’anno successivo si verificò lo scontro militare tra al Fatah – l’organizzazione a cui appartiene anche il Presidente Abbas – e il movimento politico islamista Hamas, che prese il controllo della Striscia di Gaza. Dopo la ripresa dei rapporti tra le due organizzazioni, a metà gennaio il Presidente Abbas ha annunciato le date per le prossime elezioni politiche (22 maggio) e presidenziali (31 luglio), a cui seguiranno anche le elezioni del Consiglio nazionale palestinese (31 agosto 2021). Le date sono state concordate in seno alle organizzazioni politiche palestinesi, dopo un accordo di massima tra Fatah e Hamas. Le ultime elezioni presidenziali palestinesi si erano svolte nel 2005.
Alla chiusura delle liste degli elettori, oltre 2 milioni e 600 mila palestinesi (pari al 93% degli aventi diritto) si sono registrati per partecipare alle votazioni politiche e presidenziali di maggio e luglio in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Nei giorni scorsi, il Premier dell’Autorità palestinese Mohammad Ibrahim Shtayyeh ha rivolto un appello ad Hamas per la liberazione di 80 detenuti politici imprigionati nelle carceri di Gaza. Il movimento islamista ha risposto che i detenuti oggetto dell’appello di Shtayyeh sono condannati dalla magistratura per reati attinenti alla sicurezza nazionale. (GV) (Agenzia Fides 23/2/2021)
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ASIA/CINA - E’ morto Mons. Andrea Han Jingtao: dopo 27 anni ai lavori forzati si impegnò in particolare nella formazione di sacerdoti, suore e laici
 
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Nella notte tra il 30 e il 31 dicembre 2020 è deceduto, all’età di 99 anni, S.E. Mons. Andrea Han Jingtao, Vescovo “non ufficiale” di Siping, nella provincia di Jilin (Cina Continentale). Nato il 26 luglio 1921 da una devota famiglia cattolica di Shanwanzi, nella contea di Weichang, Hebei, durante la sua infanzia la famiglia si trasferì nella contea di Linxi, Mongolia interna. Nel 1932 entrò nel Seminario minore di Siping e nel 1940 nel Seminario maggiore di Changchun. Il 14 dicembre 1947 fu ordinato sacerdote. A causa della sua fede cattolica e della sua fedeltà al Papa, nel 1953 venne arrestato e, dopo un periodo di carcerazione, condannato ai lavori forzati per 27 anni, ben 6 dei quali vissuti in isolamento in un bunker.
Nel 1980, grazie all’intervento del Vice-Presidente Deng Xiaoping, venne liberato in considerazione dei servizi che, come studioso, poteva rendere allo Stato. Infatti, svolse attività di docente all’Università Normale di Changchun e all’Istituto di storia della civiltà classica dell’Università Normale del Nordest, con il titolo di professore associato. In tal modo, introdusse molti cinesi allo studio del latino e del greco e della cultura occidentale classica. Dedito allo studioso fin dalla più tenera età, egli, mentre era considerato dai fedeli “un gigante di cultura e di fede”, era apprezzato anche nel campo educativo civile. Tra i suoi lavori principali figura la traduzione in cinese della Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino.
Il 6 maggio 1982 fu consacrato segretamente Vescovo coadiutore di Siping, di cui nel 1986, dopo la morte di Mons. Chang Zhenguo, divenne Vescovo ordinario. Come tale si impegnò in modo particolare nella formazione dei sacerdoti, delle suore e dei laici, non mancando di sensibilizzare tutti i fedeli circa l’evangelizzazione e la carità. Nella Diocesi fondò la Legio Mariae e la Congregazione religiosa del Monte Calvario, ramo maschile e ramo femminile. Nel 1993 fondò il primo centro sanitario e la prima casa di riposo della Diocesi, nonché un orfanotrofio.
Negli ultimi anni Mons. Han Jingtao viveva sotto lo stretto controllo della polizia. Dopo i funerali, ai quali clero e fedeli non hanno potuto partecipare, la salma è stata cremata. Grazie alle insistenti richieste dei familiari, le Autorità locali hanno permesso che le ceneri del Presule fossero deposte nel cimitero del villaggio nativo, accanto ai genitori. Sulla sua lapide, però, non vi è alcun segno religioso né il titolo di Vescovo. (Agenzia Fides 23/02/2021)
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ASIA/CINA - Morto a 100 anni Mons. Giuseppe Zong Huaide, dedito alla preghiera e al servizio caritativo
 
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Alle ore 20 del 5 gennaio 2021 è deceduto, all’età di 100 anni, S.E. Mons. Giuseppe Zong Huaide, Vescovo emerito di Sanyuan, nella provincia di Shaanxi (Cina Continentale). Nato il 16 giugno 1920 in un villaggio di Wuguanfang, nella contea di Sanyuan, quarto di cinque figli di una famiglia cattolica, entrò nel Seminario minore di Tongyuanfang nel 1935. Una volta conclusi gli studi teologici, fu ordinato sacerdote il 5 giugno 1949.
Successivamente svolse il ministero pastorale a Fuping e poi a Tongyuanfang, come Parroco, quindi presso la Cattedrale di Sanyuan. Dal 1961 al 1965, essendogli proibito di esercitare il ministero, si ritirò presso la sua casa e si mise a lavorare la terra. A causa della sua fede, nel 1965 fu arrestato e nel 1966 fu condannato ai campi di lavoro forzato. Nel febbraio 1980 fu liberato e tornò a operare come sacerdote a Tongyuanfang.
Il 9 agosto 1987 fu ordinato segretamente Vescovo e dopo alcuni anni fu riconosciuto ufficialmente come tale dalle Autorità civili. Il 23 dicembre 1997 poté compiere un pellegrinaggio in Italia ed essere ricevuto in Vaticano dal Papa San Giovanni Paolo II.
Nel 2003 la Santa Sede accettò le sue dimissioni. Da quel momento Mons. Zong Huaide ha trascorso il suo tempo nella preghiera e nel servizio caritativo. Il suo carattere dolce e delicato lo faceva amare da tutti. Numerosi ricordi ed elogi della sua testimonianza sono stati diffusi dai social media dopo la sua morte.
Dal 5 al 10 gennaio scorsi la salma di Mons. Zong è stata esposta ai fedeli nella chiesa di Tongyuan: nel medesimo luogo sacro il giorno 11 sono stati celebrati i funerali ed il Presule è stato sepolto.
Attualmente, la Diocesi di Sanyuan conta circa 40.000 fedeli, con 46 sacerdoti e la presenza di diverse congregazioni di religiosi e religiose. (Agenzia Fides 23/02/2021)
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AMERICA - Inizia il cammino verso l’Assemblea ecclesiale di novembre: “L'identità dei discepoli missionari”
 
Bogotà (Agenzia Fides) – Inizia il cammino di preparazione delle Chiese latinoamericane verso la prima Assemblea ecclesiale dell'America Latina e dei Caraibi, che si terrà dal 21 al 28 novembre nella Basilica di Guadalupe, in Messico (vedi Fides 23 e 25/01/2021). “L'Assemblea ecclesiale è la prima volta che si celebra. Non è una Conferenza dell'Episcopato latinoamericano come le precedenti, l'ultima, Aparecida. È un incontro del Popolo di Dio: laiche, laici, consacrate, consacrati, sacerdoti, vescovi, tutto il popolo di Dio che cammina. Si prega, si parla, si pensa, si discute, si cerca la volontà di Dio” ha spiegato Papa Francesco nel videomessaggio inviato il 24 gennaio, alla presentazione dell’Assemblea.
Ora il Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) ha preparato e diffuso il primo sussidio dell'Itinerario Spirituale, al fine di "promuovere la partecipazione del popolo di Dio che vive la sua fede nelle diverse realtà presenti nel continente e per accompagnare il cammino della Chiesa in preparazione all'Assemblea ecclesiale”. Il sussidio è il primo di una serie, che saranno pubblicati bimestralmente, e potrà essere utilizzato nei mesi di febbraio e marzo.
Il tema di questo primo incontro è “L'identità dei discepoli missionari”, con il motto “Discepoli per il Regno”. “La proposta è di entrare nell'itinerario dei discepoli missionari, in una comunità di uguali – è scritto nell’introduzione -, camminando insieme, in sinodalità. In questa prospettiva, il primo incontro propone di conoscere la realtà e l'identità dei discepoli missionari secondo il Documento di Aparecida". Il sussidio è articolato in cinque tappe, che partono da una testimonianza di vita seguita da un tempo di meditazione e riflessione, quindi segue l’ascolto di un brano della Parola di Dio, l’assunzione di un impegno concreto di vita, e infine un momento celebrativo e di preghiera. (SL) (Agenzia Fides 23/02/2021)
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AMERICA/COSTA RICA - "Guardare alla storia ringraziando Dio, guardare al futuro fiduciosi nella sua potenza”: cento anni della Provincia Ecclesiastica
 
San José (Agenzia Fides) – “È evidente che la fede cattolica del nostro popolo è stata un fattore fondamentale nella costruzione dell'identità che ci definisce nel mondo, come nazione che combatte per la pace, la democrazia, la giustizia sociale, l'ambiente e il rispetto dei diritti umani": si è espresso con queste parole il sindaco di San José, Johnny Araya, in una cerimonia tenutasi nel luogo in cui si trovava il primo eremo di San José, come parte di un ricco programma per la celebrazione del centenario della creazione della prima Provincia Ecclesiastica della Chiesa cattolica in Costa Rica.
"Quest'anno sarà il momento per rinnovare come Chiesa il nostro impegno a camminare con la storia del nostro popolo, per aiutare tutti noi a camminare sulla vera via che è Cristo" ha detto Monsignor Javier Román Arias, Vescovo di Limón, nella sua omelia in occasione dell'apertura delle celebrazioni del Centenario della Provincia Ecclesiastica della Costa Rica, il 13 febbraio nella Cattedrale di Limón.
Monsignor Román Arias ha sottolineato che "guardare alla storia ringraziando Dio" dovrebbe incoraggiarci anche a “guardare al futuro, fiduciosi nella sua potenza e misericordia. Facendo un viaggio attraverso i cento anni dalla creazione della Provincia Ecclesiastica, il Presule ha evidenziato la certezza “che il Vangelo di cui la Chiesa è portatrice non ha cessato di possedere la luce e la forza necessarie per continuare a rendere visibile, con parole e gesti, l'opera salvifica che Gesù è venuto a fare".
La Bolla di Papa Benedetto XV, firmata il 16 febbraio 1921, eresse la Provincia Ecclesiastica di Costa Rica, con Arcidiocesi San José, che già esisteva come diocesi dal 1850 e comprendeva tutta la Costa Rica, e la creazione della diocesi di Alajuela e del Vicariato apostolico di Limón. La storia della Chiesa in Costa Rica proseguì in seguito con la creazione di nuove diocesi e parrocchie fino ad oggi.
In seguito alla crescita demografica che ha avuto il Costa Rica durante i primi vent'anni del XX secolo, e della creazione in quello stesso periodo di altre Province Ecclesiastiche in El Salvador, Nicaragua, Honduras e Panama, il Centro America riprese, in quel periodo, la forza evangelizzatrice che i primi missionari avevano lasciato per continuare le missione nel Sud dell'America.
(CE) (Agenzia Fides 23/02/2021)

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

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