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venerdì 20 settembre 2024

Card. Van Thuan, per tredici anni rinchiuso in isolamento, ci spiega l’Eucarestia in tempi difficili

 

 

Card. Van Thuan, per tredici anni rinchiuso in isolamento, ci spiega l’Eucarestia in tempi difficili

In tempi gravosi di isolamento e di ristrettezze, ci fa molto bene rileggere gli scritti e la testimonianza di fede di un martire eroico dei nostri tempi: il Cardinale François Xavier Nguyen Van Thuan, vietnamita, che per tredici anni fu rinchiuso in un carcere di isolamento dal regime comunista a causa della sua fede cristiana. La sua vita in carcere equivale ad un vero e proprio assassinio, in odio alla fede. Eppure Van Thuan non ha mai mancato di portare testimonianza al Vangelo, nemmeno nelle situazioni più difficili.

Non potendo tenere con sè la Sacra Bibbia e tantomeno i Messali, (testi proibiti dalle autorità comuniste), il Cardinale riscrisse a memoria 300 frasi del Vangelo ed il breviario in piccoli fogli di carta essiccati; ogni giorno il Cardinale celebrava Messa con tre gocce di vino e una di acqua in una mano, e consacrava l’Eucarestia con il pane fatto in piccoli biscotti che riusciva anche, attraverso una ingegnosa rete, a far distribuire ai carcerati che nascondevano i pezzetti di Eucaristia nei pacchetti vuoti di sigarette… Il Cardinale conservava i frammenti consacrati residui in un suo pacchetto, che fungeva da tabernacolo, pisside, teca per la comunione ai malati e addirittura da ostensorio, davanti al quale gruppetti di detenuti si radunavano per l’adorazione. Grazie a quella Eucaristia, distribuita alla meno peggio in tempi di prigionia, furono numerosissime le conversioni dei prigionieri, che non avevano più speranza e che ritrovarono nel Sacramento la Presenza del Dio vivente.

 

Ciò non significa che dobbiamo abituarci alle ristrettezze, ma significa che NON DOBBIAMO PRIVARCI DELLA SANTISSIMA EUCARISTIA anche se vissuta in condizioni di emergenza, perchè con la Grazia del Santissimo Sacramento potremo lottare spiritualmente e con Lui uscire dal tunnel della prigionia della paura.

 

La vita del Cardinale Van Thuan fu una vita di mille croci, veniva da una famiglia di martiri. Quando i Viet Cong conquistarono la capitale Saigon perse lo zio (che era il presidente del Vietnam) e il cugino. La famiglia del Cardinal Van Thuan era dunque una famiglia di alto livello. E lui stesso parlava correntemente sette lingue, aveva una educazione superiore che aveva affinato a Roma, dove aveva studiato diritto canonico.

 

Fu imprigionato nel 1975, quando i Vietcong entrarono a Saigon. Di fatto scomparve, tanto che gli amici credettero che fosse morto. Ma in realtà, faceva apostolato, anche dietro le sbarre. Le autorità lo temono, perché parla di amore e perdono e rischia di “contaminare” le guardie; arrivano al punto di sostituire il picchetto ogni due settimane, ma alla fine devono arrendersi, perché quest’uomo, disarmato e impotente, con la sua sola presenza e con la sua testimonianza, risulta estremamente contagioso.

 

Il suo racconto fà comprendere, al di là delle disquisizioni meramente teologiche, la portata di ciò che accade nell’ Eucarestia e con l’Eucarestia e di come il Signore GESU’ voglia essere sempre Presente nel Pane spezzato e nel Vino, consacrati dal Sacerdote, anche se con accorgimenti dettati dalle necessità:

 

“Quando fui arrestato, non mi lasciarono niente in mano, ma mi permisero di scrivere a casa per richiedere vestiti o medicine. Io chiesi che mi inviassero del vino come medicina per lo stomaco. L’indomani, il direttore della prigione mi chiamò per domandarmi se soffrissi di mal di stomaco, se avessi bisogno di medicina e, alle mie risposte affermative, mi diede un piccolo flacone di vino con l’etichetta: “medicina contro il male di stomaco”. Quello fu uno dei giorni più belli della mia vita! Così, ho potuto celebrare ogni giorno la Messa con tre gocce di vino e una goccia di acqua nel palmo della mano e con un po’ di ostia che mi davano contro l’umidità e che conservavo per la celebrazione. Poi, quando ero con altre persone di fede cattolica, venivo rifornito di vino e di pane dai familiari che andavano a trovarli. Sia pure in modi diversi, ho potuto celebrare quasi sempre la Messa, da solo o con altri. Lo facevo dopo le 21,30, perché a quell’ora non c’era più luce e potevo organizzarmi affinché sei cattolici fossero insieme. Tutto il gruppo dormiva su un letto comune, testa contro testa, piedi fuori, venticinque per parte. Ognuno aveva a disposizione cinquanta centimetri, eravamo come sardine…

 

Quando celebravo e davo la comunione, sciacquavamo la carta dei pacchetti di sigarette dei prigionieri e, con il riso, la incollavamo per farne un sacchetto dove mettervi il Santissimo.

 

Ogni venerdì, era prevista una sessione di indottrinamento sul marxismo e tutti i prigionieri dovevano parteciparvi. Seguiva, poi, una breve pausa durante la quale i cinque cattolici portavano il Santissimo ad altri gruppi. Anch’io lo portavo in un sacchettino nella mia tasca e la Presenza di Gesù mi aiutava ad essere coraggioso, generoso, gentile e a testimoniare la fede e l’amore agli altri.

 

La Presenza di Gesù operava meraviglie perché anche tra i cattolici alcuni erano meno fervidi, meno praticanti… Vi erano ministri, colonnelli, generali e, in prigione, ciascuno ogni sera faceva un’ora santa, un’ora di adorazione e di preghiera a Gesù nell’Eucaristia. Così, nella solitudine, nella fame, una fame terribile, era possibile sopravvivere. In tale modo siamo stati testimoni nella prigione. Il seme era andato sotto terra. Come germoglierebbe? Non lo sapevamo. Ma piano, piano, uno dopo l’altro, i buddisti, quelli di altre religioni che sono talvolta fondamentalisti, e molto ostili ai cattolici, esprimevano il desiderio di diventare cattolici. Allora, insieme, nei momenti liberi, si faceva catechismo e ho battezzato e sono diventato padrino.

 

La Presenza dell’Eucaristia ha cambiato la prigione, la prigione che è luogo di vendetta, di tristezza, di odio era diventata luogo di amicizia, di riconciliazione e scuola di catechismo. Il Governo, senza saperlo, aveva preparato una scuola di catechismo!

 

La Presenza dell’Eucaristia è fortissima, la Presenza di Gesù è irresistibile. L’ho visto io stesso e tutti i miei compagni di prigione lo hanno constatato”.

 

François Xavier Van Thuân nacque a Phủ Cam in Vietnam, il 17 aprile 1928, da una famiglia cattolica. Entrato adolescente in Seminario, venne ordinato sacerdote nel 1953 e proseguì gli studi a Roma. Una volta tornato in patria, divenne docente in Seminario, poi vicario generale della diocesi di Huê e, nel 1967, vescovo titolare della diocesi di Nha Trang. Il 15 agosto 1975, poco dopo essere stato nominato da papa Paolo VI arcivescovo coadiutore di Saigon, venne convocato con un pretesto dalle autorità comuniste e accusato di essere una spia al servizio del Vaticano e delle potenze straniere. Iniziò cosi il suo travagliato percorso, durato tredici anni, tra domicili coatti, celle d’isolamento, campi di prigionia e torture di ogni sorta, costantemente illuminato da un’incrollabile speranza. Il 21 novembre 1988 venne finalmente liberato: espulso dal Paese, riparò a Roma, dove papa Giovanni Paolo II lo nominò Presidente della Commissione Giustizia e Pace della Santa Sede. Fu voluto dallo stesso Pontefice come predicatore degli Esercizi spirituali per la Curia Romana nella Quaresima del 2000 e venne creato cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001. Proprio mentre si preparava alla cerimonia, ricevette gli esiti di alcuni esami: aveva un cancro molto raro, che lo portò alla morte il 16 settembre 2002. La sua causa di beatificazione, ottenuto il nulla osta l’8 marzo 2010, si è svolta nel Vicariato di Roma dal 22 ottobre 2010 al 5 luglio 2013 ed è stata convalidata il 22 novembre dello stesso anno. Il 4 maggio 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui è stato dichiarato Venerabile. I suoi resti mortali riposano dall’8 giugno 2012 nella chiesa di Santa Maria della Scala a Roma.

Il cardinale Van Thuan: uomo di speranza, testimone della Croce

Manca solo il miracolo per la beatificazione del porporato vietnamita, scomparso il 16 settembre 2002 a Roma, mentre era presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, dopo 13 anni nelle carceri comuniste del suo Paese. Il postulatore: “Ha evangelizzato anche in prigione, aveva uno sguardo d’amore verso chiunque gli stesse accanto”. Il cardinale è stato ricordato questa mattina con una Messa alle 9.30, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Un uomo che anche dalla Croce e dalla solitudine del carcere “ha sempre saputo trasmettere speranza al fratello” e sapeva che anche lì il Signore “lo chiamava ad essere testimone della fede”, così “ha evangelizzato, ha fatto amicizia, ha cantato, ha insegnato, ha cercato sempre di essere fedele alla chiamata ad essere sacerdote”. Così descrive il cardinale Francois-Xavier Nguyen Van Thuan, scomparso il 16 settembre di 18 anni fa, il postulatore della causa di beatificazione Waldery Hilgeman.

 

16/09/2020

Crepaldi: il cardinale Van Thuan, "una grande storia cristiana"

Tredici anni in carcere, senza un giudizio

Il cardinale vietnamita, morto a 74 anni a Roma, quando era da 4 presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, ha passato 13 anni della sua vita nelle carceri del regime comunista, dal 1975 al 1988. Dopo essere stato per otto anni vescovo di Nhatrang, nel Vietnam centrale, il 23 aprile 1975, pochi giorni prima della caduta di Saigon, allora capitale del Vietnam del Sud, Paolo VI lo promuove arcivescovo coadiutore della stessa Saigon. Conclusa vittoriosamente la guerra, i comunisti del Vietnam del Nord, entrando a Saigon, dichiarano la nomina di Van Thuan “frutto di un complotto tra i Vaticano e gli imperialisti, per organizzare la lotta contro il regime comunista”, racconterà lo stesso arcivescovo nel libro “Cinque pani e due pesci”. E tre mesi dopo, il 15 agosto, lo arrestano.

 

Francois-Xavier Nguyen Van Thuan giovane vescovo di Nhatrang

L' amore verso i suoi persecutori, la messa dietro le sbarre

In prigione, realizza, con l’aiuto dei suoi carcerieri, la croce pettorale che porterà fino alla morte, simbolo dell’amicizia nata con loro: dei pezzetti di legno e una catenella di ferro. Appena arrestato, si fa mandare, con vestiti e dentifricio, una bottiglietta di vino per la messa con l’etichetta “medicina per lo stomaco” e alcune ostie nascoste in una fiaccola per l’umidità. In un’intervista del 2000, dopo aver predicato gli esercizi spirituali a san Giovanni Paolo II e alla curia, ci raccontò così un dialogo coi i suoi carcerieri. “Loro mi domandano spesso: ‘Lei ci ama?’. Io rispondo ‘Io vi amo’. ‘Ma siamo suoi nemici, l’abbiamo messa in prigione, per più di 10 anni, e senza giudizio, e lei ci ama?’, ‘Io vi amo’. ‘Ma perché?’. ‘Perché Gesù me lo ha insegnato, e se io, come cristiano, non vi amo, non sono degno di portare il nome di cristiano’. E loro mi hanno detto: ‘E’ molto bello, ma è molto difficile da capire’. Ma questa è la risposta: l’amore cristiano può vincere tutto”.

 

L'arcivescovo Van Thuan in carcere, mentre scrive uno dei suoi primi libri

Celebrazione il 18 settembre a Santa Maria in Trastevere

Il cardinale Van Thuan, dichiarato venerabile da Papa Francesco il 4 maggio 2017, dopo che la fase diocesana della causa di beatificazione si era chiusa nel luglio 2013, è stato ricordato questa mattina alle 9.30, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, in una celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, mentre a pronunciare l’omelia è stato il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Ad animare la Messa il coro della Comunità vietnamita di Roma.

 

Con san Giovanni Paolo II, che lo nominò presidente del Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace"

Hilgeman: un uomo felice, uno sguardo d'amore verso tutti

Abbiamo chiesto al postulatore della causa, l'avvocato Waldery Hilgeman, di parlarci del porporato vietnamita, della sua testimonianza, e dello stato della causa di beatificazione.

R. – Il cardinale Van Thuan era un uomo solare, una persona felice, realizzata e contenta della sua vocazione. Una persona sempre disponibile, nella semplicità, ad avere uno sguardo verso chiunque gli stesse accanto.

Forgiato dalla prova del carcere, è diventato testimone di speranza…

R. – La speranza è una delle virtù che più si addice al cardinale Van Thuan. È un termine ricorrente nei suoi scritti e nei suoi discorsi, e certamente la speranza per lui nasce da un profondo amore verso la Croce. Non puoi esserci speranza per un cristiano se non ancorata Cristo, appunto la Croce.

Lo scatto Van Thuan lo fa in carcere, quando decide di non vivere aspettando la fine della detenzione, ma di vivere il presente…

R. Fin dall’infanzia, Van Thuan è stato educato alla speranza cristiana. Certamente col passare degli anni e la crescita, prende una consapevolezza diversa, una maturità diversa. E’ evidente che nel periodo che lui ha trascorso in carcere, nella solitudine, è arrivato ad un colloquio più profondo con Dio e quindi ad una maturazione diversa.

 

Il cardinale Van Thuan il giorno nel quale ricevette la berretta cardinalizia

Oggi qual è la testimonianza che porta il cardinale con la sua vita, e il col quale ha affrontato le sofferenze?

R. – Se penso all’esperienza che tutti abbiamo vissuto recentemente per via del coronavirus, penso che il cardinale Van Thuan abbia tanto da darci. Penso a Papa Francesco lì, in quella piazza vuota, con quel crocifisso sotto la pioggia… Van Thuan è una persona che dalla Croce, dalla solitudine, ha sempre saputo trasmettere la speranza al fratello. Lui stesso disse che non dobbiamo avere solo ed esclusivamente nella fede ma dobbiamo avere speranza anche nelle altre persone, nel senso che queste persone possono essere convertite da Dio e così cambiare il cuore e cambiare in bene. In un certo qual modo questo si allaccia anche al tema centrale del magistero di Papa Francesco, che nell’enciclica “Laudato si’” sulla cura della casa comune, ci invita un'ecologia integrale. Siamo tutti interconnessi, quindi noi fratelli non possiamo vivere senza l'altro. E Van Thuan era convinto di questo: per lui la speranza era anche il fratello, era essere trasmettere la fede al fratello, era essere con il fratello.

Fratelli erano anche i suoi carcerieri, ai quali diceva: “Vi amo perché Gesù me lo ha insegnato”. E così li ha convertiti…

R.- Van Thuan amava tutti. Non faceva distinzione tra persecutori e amici: erano tutti i figli di Dio che era chiamato ad amare. E l'ha fatto senza esitazione.

 

Il cardinale Van Thuan mostra la croce pettorale realizzata in prigione, con l'aiuto di alcuni carcerieri

Era quindi un uomo, mite, attento all’altro, riflessivo. Però prima di finire in carcere, come vescovo, chi lo conosceva lo descriveva come una persona molto dinamica…

R.- Lo era. In qualsiasi posto nel quale si trovava, era lì che Dio lo chiamava per essere testimone della fede, per essere apostolo, quindi non ha potuto smettere di esserlo neanche nelle condizioni di massima limitazione della sua libertà come appunto il contesto della prigione. Anche lì, lui continuò la sua opera di sacerdote e di vescovo. Ha evangelizzato, ha fatto amicizia, ha cantato, ha insegnato, ha cercato sempre di essere fedele alla chiamata che aveva ricevuto da Dio ad essere sacerdote.

Davanti a tutte queste evidenze, che cosa manca per poterlo chiamare beato?

R. – Mancherebbe un miracolo. Noi riceviamo presso l'ufficio della postulazione diverse segnalazioni, che vengono tutte prese in considerazione, approfondite e passate anche ad esperti per pareri tecnici. Quindi tecnicamente mancherebbe il miracolo così come richiesto dalla Chiesa con le sue specifiche caratteristiche.

C’è stato un caso a Buenos Aires...

R. – I casi sono tanti, vanno da un continente all'altro. Purtroppo ad oggi non sono ancora stati segnalati casi che rispettino i criteri richiesti dalla Chiesa per essere riconosciuti come miracoli. Ma certamente sono segni che il cardinale intercede per i nostri bisogni. 

Ultimo aggiornamento ore 10.00 del 18.09.2020

François-Xavier Nguyên Van Thuán

Come scriveva una volta un filosofo, i pensieri si pagano con il coraggio. E con cosa si paga la libertà? Talvolta, purtroppo, la libertà – di scegliere il proprio futuro, di decidere da che parte stare o per chi offrire la propria vita – si paga con la perdita della libertà stessa: emarginazione, solitudine, sofferenza, perfino con il carcere. Ed è proprio la prigione il luogo della storia che ti voglio raccontare, una storia di libertà malgrado tutto. Siamo a Saigon, in Vietnam, nel 1975. Un uomo, in mezzo a due poliziotti, viene trasportato in macchina dalla città fino a Nha Trang, a quattrocentocinquanta chilometri di distanza. Viene trattato come un oppositore politico dal regime comunista. Ancora non può sapere che cosa lo attende: sarà detenuto per 13 anni, 9 dei quali in isolamento.

Chi è quest’uomo, da solo nella sua cella? Un pericoloso criminale? Un terrorista? No, un sacerdote cattolico, François-Xavier Nguyên Van Thuán. Nato nel 1928 da una famiglia cattolica vietnamita,François-Xavier avverte la chiamata al sacerdozio ed entra in seminario durante l’adolescenza. Nel 1953 viene ordinato sacerdote e trascorre un periodo di studio a Roma. Una volta tornato in patria, svolge diversi incarichi e infine viene ordinato vescovo di Nha Trang nel 1967. Nell’agosto del 1975 papa Paolo VI lo nomina arcivescovo coadiutore di Saigon ma qualcosa sta per deviare bruscamente il corso della sua vita. Convocato dalle autorità comuniste, l’arcivescovo Van Thuán viene accusato di essere una spia del Vaticano. Accusa pretenziosa e anacronistica, dettata solo dalla sua condizione di vescovo cattolico. In una delle numerose pagine che scriverà dalla prigionia, Van Thuán rievoca la tristezza, la paura, la tensione e l’umiliazione per l’ingiusta carcerazione, dovuta solamente alla sua fedeltà alla Chiesa e al libero esercizio della sua funzione di pastore.

Il carcere è una delle esperienze più dure che un essere umano possa affrontare: la privazione della libertà tocca la profondità della persona. A maggior ragione, la reclusione per motivi ingiusti, per odio ideologico, può condurre la vittima a uno stato di disperazione e angoscia irresistibili. Anche Van Thuán sperimenta lo sconforto dovuto alla sua ingiusta detenzione e cerca una strada per affrontare il tempo, lungo e indefinito, in cui non potrà godere della sua libertà. Ma durante la prigionia, sorretto solamente dalla fede in quel Dio per cui, pur di non rinnegarlo, ha accettato di soffrire, Van Thuán matura una precisa consapevolezza:

Sono in prigione, se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte nella vita mi si presenteranno simili occasioni? No, afferro le occasioni che si presentano ogni giorno,
per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario
 

Privato della libertà di movimento e di azione, cioè di una libertà “esteriore”, Van Thuan scopre intatta dentro di sé una libertà interiore che lo porta a «vivere il momento presente, colmandolo di amore». Ispirandosi alla figura di san Paolo, anche lui prigioniero in carcere, Van Thuán decide di fare l’unica cosa che ancora gli è consentita: scrivere al suo popolo. Nascono così alcuni libri profondamente toccanti, testimonianza di un amore appassionato per la vita, per la libertà e per la propria fede. Riesce a celebrare la santa Messa di nascosto, in condizioni estreme. Può consacrare una briciola di pane e poche gocce di vino tenute nel palmo della mano, che diventa il suo calice, recitando le preghiere liturgiche a memoria. Fa amicizia con i suoi carcerieri e parla loro di Dio, al punto che le autorità carcerarie si vedono costrette a cambiare spesso le guardie incaricate della sua custodia. Van Thuán ha compreso che nella vita che gli è dato vivere può essere libero, anche se obbligato da altri all’immobilità e alla reclusione.

 

Cambierà più volte prigione, passando da un luogo a un altro. Infine nel 1988 viene scarcerato. Ecco come racconta questo evento:

Un giorno di pioggia, mentre sto preparando il mio pranzo, sento squillare il telefono delle guardie. «Forse questa telefonata è per me! È vero, oggi è il 21 novembre, festa della Presentazione di Maria al Tempio! ».
Cinque minuti dopo, arriva la mia guardia: - Signor Thuán, lei ha mangiato?
- Non ancora, sto preparando.
- Dopo mangiato, si vesta bene e vada a vedere il capo.
- Chi è il capo?
- Non lo so, ma mi hanno detto di avvisarla. Buona fortuna!
Un'automobile mi ha condotto in un palazzo, dove ho incontrato il Ministro dell'Interno, cioè della Polizia. Dopo i saluti di cortesia, mi ha domandato:
- Lei ha un desiderio da esprimere?
- Sì, voglio la libertà.
- Quando?
- Oggi.
E rimasto molto sorpreso. Spiego:
- Eccellenza, sono stato in prigione abbastanza a lungo; sotto tre pontificati, quello di Paolo VI, di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. E inoltre, sotto quattro Segretari generali del Partito comunista sovietico: Breznev, Andropov, Cernenko, Gorbaciov!
Lui si mette a ridere, e fa segno con la testa: - E vero, è vero!
E voltandosi verso il suo segretario, dice: - Fate il necessario per esaudire il suo desiderio.
Di solito, i capi hanno bisogno di tempo per sbrigare almeno le formalità. Ma in quel momento ho pensato:
- Oggi è la festa della Madonna, la Presentazione. Maria mi libera. Grazie a te, Maria
.

Una volta rilasciato, Van Thuán torna a Roma e nel 1998 viene nominato Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, promosso nella Santa Sede da papa Giovanni Paolo II. Lo stesso pontefice lo nominerà cardinale nel 2001. Morirà l’anno successivo, all’età di 74 anni. Testimone coraggioso della fedeltà alle proprie idee, Van Thuán è riuscito a vivere da uomo libero anche nell’oscurità di una cella, pur senza sapere per quanto tempo sarebbe rimasto in prigione. Leggiamo ancora dai suoi scritti:

La linea retta è fatta di milioni di piccoli punti uniti uno all'altro. Anche la mia vita è fatta di milioni di secondi e di minuti uniti uno all'altro. Dispongo perfettamente ogni singolo punto e la linea sarà retta. Vivo con perfezione ogni minuto e la vita sarà santa. Il cammino della speranza è lastricato di piccoli passi di speranza. Una vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza.

 

lunedì 29 aprile 2024

Preghiera di San Pio X

 Le nostre colpe, o Signore, ci offuscano l'intelletto e ci fanno trascurare il bene di amarti come meriti.

Rischiara la nostra mente con un raggio della tua luce divina.

Tu sei l'amico, il redentore, il padre di chi, pentito, torna al tuo cuore; e noi, pentiti, torniamo a te.


Gesù, speriamo in te, perchè sappiamo che la nostra salvezza ti costò la morte sulla croce e ti indusse a rimanere sino alla fine del tempo nel santissimo sacramento, per unirti con noi tutte le volte che vogliamo.

Noi, o Signore, per ringraziarti del grande amore che ci porti, ti promettiamo, con la tua grazia, di riceverti sacramentalmente quanto più spesso è possibile; di celebrare le tue lodi nella Chiesa e dappertutto senza rispetto umano.

Signore, ti supplichiamo, confidando nel tuo sacratissimo Cuore, di conservare nel tuo amore chi ti ama, e di chiamare tutti a riceverti quotidianamente sull'altare secondo il tuo vivo desiderio.

mercoledì 11 ottobre 2023

Manca il prete che dice Messa? «Ecco le nostre liturgie con diaconi e laici»(da Avvenire 10 ottobre 2023)

 Domenica scorsa il diacono permanente Andrea Venturini si è presentato davanti all’altare di due chiese dell’arcidiocesi di Udine per annunciare che l’Eucaristia non ci sarebbe stata. «Oggi il sacerdote non può essere presente - ha spiegato -. Così celebreremo insieme la liturgia della Parola». Erano in settanta in una parrocchia; in trenta nell’altra. E nessuno si è stupito a Ospedaletto di Gemona e Campolessi di Gemona quando Venturini ha preso il posto del prete per la celebrazione festiva. «La gente sa che non è una Messa se entra un diacono o un laico, invece del presbitero - racconta lo stesso Venturini che è marito, padre e nonno -. Ma ogni volta teniamo a ribadire che la liturgia in assenza del prete non va equiparata alla Messa, anche se viene distribuita la Comunione». Non accade tutte le domeniche che nella zona pastorale di Gemona del Friuli l’Eucaristia sia “sostituita” dalla liturgia della Parola. Cinque parrocchie con numerose chiese sparse sul territorio. «I preti sono sufficienti nell’ordinario per coprire le celebrazioni festive. Però, se ne manca anche uno solo, qualche comunità resta scoperta», dice il diacono. Allora tocca a lui. «I fedeli sono ormai abituati. E, soprattutto nelle aree meno vicine ai centri più popolosi, il fatto che non si chiuda la chiesa e non si sospendano le celebrazioni viene visto in maniera positiva: è considerato un gesto d’attenzione alle comunità più ridotte e lontane», aggiunge Venturini.

L’arcidiocesi di Udine ha imboccato da tempo questa strada. «Già negli anni Novanta c’era stata una sperimentazione. Tuttavia è nell’ultimo decennio che l’opzione ha preso campo», ripercorre Venturini. Diaconi e laici possono guidare i riti basati sul sussidio del 2020 “Liturgia festiva in assenza di celebrazione eucaristica” con la presentazione dell’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato. Un testo dove si ribadisce la centralità dell’Eucaristia ma in cui si prende atto che, «a causa della diminuzione del numero dei presbiteri, in alcune zone si rileva ormai l’impossibilità di garantire in ogni parrocchia la celebrazione eucaristica domenicale». È ciò che avviene in varie diocesi dell’Italia, in particolare del Centro-Nord, dove la prospettiva della liturgia della Parola che subentra in caso di necessità alla Messa è entrata nella prassi pastorale.

Vicenza risale al 2018 il documento diocesano “L’assemblea domenicale nell’impossibilità della celebrazione eucaristica”. «Liturgia della Parola e liturgia della Comunione sono i due cardini», spiega Graziano Cazzaro. Impiegato comunale, sposato, è uno dei laici a cui è successo di presiedere l’appuntamento festivo quando il sacerdote non c’era nella sua unità pastorale: quella di Barbarano-Mossano-Villaga. «Abbiamo due preti residenti e altri due di aiuto», spiega. Accade che qualcuno manchi. Ma nessun incontro settimanale intorno all’altare viene cancellato. «Si tiene in altra forma - precisa Cazzaro -. È un modo per celebrare comunque il giorno del Signore. Sono liturgie preparate, accompagnate dal canto, che la nostra gente accoglie senza difficoltà». Neppure se un laico si presenta all’ambone. «Tutti sanno chi sono all’interno delle parrocchie», ribatte.

Nell’arcidiocesi di Torino sono le piccole comunità rurali o di montagna ad avere le liturgie della Parola se la Messa festiva non “arriva”. A guidarle i diaconi. «Sotto stretta sorveglianza - avverte don Alexandru Rachiteanu, addetto dell’Ufficio liturgico -. Perché è il vescovo che insieme ai moderatori delle unità pastorali incarica i diaconi a svolgere questo servizio in paesi con pochi abitanti. E perché questa possibilità non vada a discapito dell’Eucaristia: infatti la stessa comunità destinataria è invitata a spostarsi per partecipare alla Messa». In quest’ottica l’arcivescovo Roberto Repole ha lanciato nella sua Lettera pastorale il progetto dei Centri eucaristici. «Sono fari per più parrocchie dove l’Eucaristia viene celebrata in tutta la sua dignità e dove le comunità possono ritrovarsi intorno alla mensa del Signore in pienezza, valorizzando i diversi ministeri».


martedì 4 luglio 2023

Agenzia Fides due notizie da Cina e Terra Santa

 

ASIA/CINA - “Siate una benedizione per tutti”. Il Vescovo Giuseppe Shen Bin amministra i primi Sacramenti a 34 catecumeni nella Cattedrale di Shanghai
 
Shanghai (Agenzia Fides) – Il Vescovo Giuseppe Shen Bin ha presieduto a Shanghai la solenne celebrazione liturgica durante la quale sono stati amministrati a 34 catecumeni i sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima e Santa Eucaristia). La celebrazione si è svolta domenica 2 luglio nella Cattedrale di Shanghai, dedicata a Sant’Ignazio. Secondo quando riportato dal sito di informazione ecclesiale xinde.org, la liturgia si è svolta in un clima di raccoglimento e palpabile commozione. Negli ultimi tre anni difficoltà e impedimenti legati alla pandemia avevano complicato l’esigente cammino di preparazione dei catecumeni, condizionato da diversi periodi di interruzione. Le difficoltà – sottolinea xinde.org – hanno acceso ancora di più il desiderio dei catecumeni di attingere alle sorgenti della grazia sacramentale e di affidarsi nel lodo cammino di fede alla guida dello Spirito Santo. La diocesi di Shanghai ha dato grande rilievo alla celebrazione che ha segnato il lieto ingresso nella locale comunità ecclesiale dei 34 nuovi battezzati adulti. Alla liturgia hanno preso parte almeno 2mila fedeli. Il Vescovo Shen Bin, che ha presieduto la concelebrazione, durante l’omelia ha incoraggiato i nuovi battezzati a seguire docilmente la volontà del Signore, che allieta la vita dei suoi: “Siate una benedizione per tutti coloro che vi circondano”, ha detto il Vescovo Giuseppe, esortando tutti a “seguire l'esempio di Cristo andando verso il mondo, accettando gli altri, essendo luce e sale della vita e vivendo il comandamento di Gesù Cristo di amarsi gli uni gli altri, nella preghiera”. Durante la liturgia, tutti i presenti hanno rinnovato le loro promesse battesimali e riaffermato il proprio desiderio di annunciare e testimoniare nella vita di tutti i giorni la salvezza donata da Cristo. (NZ) (Agenzia Fides 4/7/2023)
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ASIA/TERRA SANTA - Patriarcato latino su assalto a Jenin: atti barbarici, colpita anche la nostra chiesa
 
Gerusalemme (Agenzia Fides) - L’assalto dell’esercito israeliano alla città palestinese di Jenin rappresenta una aggressione “senza precedenti”, con “atti barbarici” che distruggono anche luoghi sacri e annientano persone desiderose e meritevoli di una vita dignitosa. Lo afferma un comunicato diffuso martedì 4 luglio dal Patriarcato latino di Gerusalemme in merito a quella che viene definita “aggressione” israeliana” durante la quale – si aggiunge – è stata colpita anche la chiesa e la comunità ecclesiale locale. Il comunicato si conclude con la supplica a un immediato cessate il fuoco e per por fine a “crimini ingiustificati”,
L’operazione militare israeliana a Jenin continua anche oggi. Il conto delle vittime palestinesi è salito a 10, compresi una anziana donna e tre minorenni. I raid hanno preso di mira soprattutto il campo profughi di al Madina. I feriti sono oltre cento. L’organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf) ha riferito che le incursioni hanno colpito anche le strutture sanitarie, e i bulldozer militari israeliani hanno distrutto diverse strade che portano al campo di Jenin, rendendo quasi impossibile alle ambulanze raggiungere i feriti le persone da curare. (GV) (Agenzia Fides 4/7/2023)

lunedì 27 febbraio 2023

Avvio della Quaresima in cina

 

ASIA/CINA - “Scrutini” di catecumeni, “mandato” dei ministranti, iniziative ecologiche. L’intenso avvio di Quaresima delle comunità cattoliche cinesi
 
Pechino (Agenzia Fides) – Solenni celebrazioni eucaristiche con grande partecipazione del Popolo di Dio, “scrutini” dei catecumeni che si preparano al battesimo, mandato missionario dei lettori e dei ministri straordinari della Santa Comunione, che ora potranno portare l’eucaristia a malati e disabili. Nelle comunità cattoliche cinesi, la prima domenica di Quaresima è stata segnata da appuntamenti e occasioni pastorali che accompagnano, secondo tradizione, l’avvio del cammino quaresimale, “tempo favorevole” per chiedere il perdono dei peccati, fare opere di carità e prepararsi alla gioia della Pasqua.
Nell’arcidiocesi di Pechino, molte parrocchie hanno adattato le celebrazioni liturgiche alle esigenze di molti lavoratori. Nella cattedrale, domenica 26 febbraio, l’Arcivescovo Giuseppe Li Shan ha preseduto il rito di scrutinio dei catecumeni, e ha anche conferito il mandato missionario a 11 ministri straordinari. Durante il periodo di Quaresima, questi 11 battezzati laici ben formati, secondo quanto è richiesto dalla Chiesa, saranno inviati nelle case degli anziani, malati per portare Comunione.
In molte parrocchie pechinesi, già il Mercoledì delle Ceneri era stata aggiunta una messa serale per consentire la partecipazione al rito penitenziale a tanti lavoratori e lavoratrici che non avevano potuto prendere parte alle messe della mattina. Per lo stesso motivo pastorale, il rito dell’imposizione delle Ceneri è stato celebrato anche durante molte messe di domenica 26 febbraio. Presso la parrocchia dedicata alla Medaglia Miracolosa, è stato celebrato anche il sacramento dell’Unzione degli infermi, oltre ai riti dello “scrutinio” dei catecumeni e del mandato missionario dei lettori delle celebrazioni liturgiche. Dopo un periodo di catechismo, con il cosiddetto “scrutinio”, i catecumeni confermano l’intenzione di seguire Cristo e attestano anche che la loro scelta non è superficiale o emozionale, ma sempre più radicata in un autentico cammino di fede.
Chisa di Sant'Antonio in Shenzhen

La comunità cattolica di Shenzhen, oltre a celebrare i riti quaresimali riguardanti catecumeni, ministri dell’eucaristia, infermi e lettori, vissuto la prima domenica di Quaresima anche come occasione per sensibilizzare tutti i battezzati alla questione ecologica e alla salvaguardia del Creato. La giovane comunità cattolica locale è formata quasi esclusivamente da lavoratori immigrati interni. La prima domenica di quaresima è partita con un viaggio ecologico dopo la messa. I battezzati, guidati dai parroci, hanno anche promosso una raccolta straordinaria di rifiuti, sotto lo slogan “Shenzhen sarà più bella anche per mio contributo; la gente di Shenzhen sarà più felice anche per il mio contributo”. In questo modo, seguendo l’insegnamento della Chiesa ribadito anche da Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si’, i cattolici di Shenzen hanno anche voluto mostrare come la sollecitudine dei cristiani per la salvaguardia del Creato può offrire un contributo prezioso alla convivenza urbana e al bene comune di tutti i cittadini. (NZ) (Agenzia Fides 27/02/2023)

lunedì 13 settembre 2021

I viaggi di Papa Francesco al centro dell'Europa

 


EUROPA/SLOVACCHIA - Papa Francesco a Bratislava: “Il ‘centro’ della Chiesa non è la Chiesa”
 
Bratislava (Agenzia Fides) – “Voglio raccontarvi un episodio: tempo fa, è arrivata la lettera di un vescovo. Parlando di un nunzio, scriveva: noi siamo stati 400 anni sotto i turchi, e abbiamo sofferto; poi abbiamo avuto 50 anni con il comunismo, e abbiamo sofferto; ma i sette anni sotto quel nunzio sono stati peggiori degli altri due periodi”. Il gustoso aneddoto è stato raccontato da Papa Francesco, in una delle aggiunte “a braccio” che il Pontefice ha inserito nel discorso pronunciato stamane, lunedì 13 settembre, nel secondo giorno della sua visita apostolica in Slovacchia. L’inciso ha suscitato ilarità tra quanti si erano raccolti nella Cattedrale di San Martino, a Bratislava, per prendere parte all’incontro del Papa con vescovi, sacerdoti, religiose, religiosi, seminaristi e catechisti della nazione centro-europea. “Quanti” ha aggiunto Papa Francesco “possono dire lo stesso del vescovo o parroco? Senza libertà la cosa non va”
L’inciso del nunzio “opprimente” è stato aggiunto dal Papa nei passaggi del testo ufficiale che ponevano l’accento sulla libertà come connotato distintivo di ogni autentica avventura cristiana. L’intero intervento papale si è articolato intorno a tre espressioni – libertà, creatività e dialogo delineate dal Pontefice come i tre tratti che appaiono più consoni e connaturali al modus operandi della Chiesa e alla sua missione di annuncio del Vangelo nel tempo presente.
“La Chiesa” ha insistito il Successore di Pietro nella parte introduttiva del suo intervento “non è una fortezza, un potentato, un castello situato in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza”, ma è piuttosto “la comunità che desidera attirare a Cristo con la gioia del Vangelo, è il lievito che fa fermentare il Regno dell’amore e della pace dentro la pasta del mondo”. La strada propria della missione della Chiesa sarà sempre quella di “essere umile come Gesù, che si è svuotato di tutto, che si è fatto povero per arricchirci”, ed “è venuto ad abitare in mezzo a noi e a guarire la nostra umanità ferita”. Solo nella sequela di Cristo – ha suggerito il Papa – si vincono anche i ripiegamenti e le introversioni di ogni ‘autoreferenzialità’ ecclesiale: “il centro della Chiesa” ha ricordato il Vescovo di Roma “non è la Chiesa. Usciamo dalla preoccupazione eccessiva per noi stessi, per le nostre strutture, per come la società ci guarda. Immergiamoci invece nella vita reale della gente”.
Per sua natura – ha proseguito il Papa – la novità del Vangelo si comunica accettando il “rischio” della libertà e cercando con creatività vie nuove per annunciare la salvezza promessa da Cristo nei contesti e nei condizionamenti culturali in cui vivono le donne e gli uomini di ogni tempo.
“Nella vita spirituale ed ecclesiale” ha spiegato il Papa soffermandosi sulla consonanza tra l’annuncio del Vangelo e la libertà “c’è la tentazione di cercare una falsa pace che ci lascia tranquilli, invece del fuoco del Vangelo che ci inquieta e ci trasforma. Le sicure cipolle d’Egitto sono più comode delle incognite del deserto. Ma una Chiesa che non lascia spazio all’avventura della libertà, anche nella vita spirituale, rischia di diventare un luogo rigido e chiuso. Forse alcuni sono abituati a questo; ma tanti altri – soprattutto nelle nuove generazioni – non sono attratti da una proposta di fede che non lascia loro libertà interiore, da una Chiesa in cui bisogna pensare tutti allo stesso modo e obbedire ciecamente”. La Chiesa di Cristo – ha aggiunto il Papa non vuole dominare le coscienze e occupare gli spazi, vuole essere una “fontana” di speranza nella vita delle persone”.
La caratteristica della creatività come tratto proprio di ogni opera apostolica è stato tratteggiato dal Papa attraverso ampi riferimenti all’avventura missionaria dei Santi Cirillo e Metodio, gli “apostoli” che portarono l’annuncio el Vangelo nelle terre dell’Europa orientale. “Cirillo e Metodio percorsero insieme questa parte del continente europeo e, ardenti di passione per l’annuncio del Vangelo, arrivarono a inventare un nuovo alfabeto per la traduzione della Bibbia, dei testi liturgici e della dottrina cristiana”. I due fratelli santi “furono creativi nel tradurre il messaggio cristiano, furono così vicini alla storia dei popoli che incontravano da parlarne la loro lingua e assimilarne la cultura. Anche oggi – ha aggiunto il Papa – il compito più urgente della Chiesa presso i popoli dell’Europa consiste nel “trovare nuovi ‘alfabeti’ per annunciare la fede”. Nelle terre dove una ricca tradizione cristiana rimane ormai per tanti solo “il ricordo di un passato, che non parla più e non orienta più le scelte dell’esistenza – ha proseguito il Papa - non giova lamentarsi, trincerarsi in un cattolicesimo difensivo, giudicare e accusare il mondo; serve la creatività del Vangelo”. Conviene seguire i suggerimenti del “grance creativo”, che è “los Spirito Santo”: E “se con la nostra pastorale non riusciamo a entrare più per la via ordinaria, cerchiamo di aprire spazi diversi, sperimentiamo altre strade. Cirillo e Metodio lo hanno fatto e ci dicono questo: non può crescere il Vangelo se non è radicato nella cultura di un popolo, cioè nei suoi simboli, nelle sue domande, nelle sue parole, nel suo modo di essere. I due fratelli – ha proseguito ilPontefice - furono ostacolati e perseguitati molto, lo sapete. Venivano accusati di eresia perché avevano osato tradurre la lingua della fede. Ecco l’ideologia che nasce dalla tentazione di uniformare”. Mentre il vero annunciatore del Vangelo – ha suggerito il Papa , in un’altra aggiunta al testo ufficiale – è come il contadino, che semina a poi va a casa e dorme, e non si alza sempre a vedere se il seme fiorisce e la pienta cresce, perche sa che “è Dio che fa crescere”.
Nella parte conclusivo del suo intervento, il Papa ha delineato anche l’apertura al dialogo come tratto distintivo di ogni autentica dinamica ecclesiale, richiamando la figura di una Chiesa che non punta a creare un “gruppetto selettivo,” ma che al contrario “sa dialogare con il mondo, con chi confessa Cristo senza essere ‘dei nostri’, con chi vive la fatica di una ricerca religiosa, anche con chi non crede”. Il ricordo delle ferite – ha aggiunto il Papa, con implicito riferimento al recente passato dei Paesi dell’Est europeo – “può far scivolare nel risentimento, nella sfiducia, perfino nel disprezzo, invogliando a innalzare steccati davanti a chi è diverso da noi. Le ferite, però, possono essere varchi, aperture che, imitando le piaghe del Signore, fanno passare la misericordia di Dio, la sua grazia che cambia la vita e ci trasforma in operatori di pace e di riconciliazione”. Come esempio di questo miracolo possibile, Papa Francesco ha riproposto la figura del cardinale slovacco Jan Korec (che negli anni del comunismo era sopravvissuto lavorando anche come spazzino), suscitando applausi e commozione tra i presenti. Korec – ha ricordato Papa Francesco - era “un Cardinale gesuita, perseguitato dal regime, imprigionato, costretto a lavorare duramente finché si ammalò. Quando venne a Roma per il Giubileo del 2000, andò nelle catacombe e accese un lumino per i suoi persecutori, invocando per loro misericordia. Questo è Vangelo. Questo è Vangelo. Cresce nella vita e nella storia attraverso l’amore umile e paziente”. (GV) (Agenzia Fides 13/9/2021)
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EUROPA/UNGHERIA - Papa Francesco a Budapest: l’Eucaristia ci libera dai falsi messianismi
 
Budapest (Agenzia Fides) – La Chiesa «proviene dalla sorgente che è Cristo, ed è inviata perché il Vangelo, come un fiume d’acqua viva, raggiunga l’aridità del mondo e del cuore dell’uomo». E l’opera apostolica può smarcarsi sempre dal rischio «di annunciare una falsa messianicità, secondo gli uomini e non secondo Dio», se rimane sospesa ai gesti di salvezza operati da Cristo stesso nei sacramenti, cioè all’operare di Colui che nell’Eucaristia offre se stesso «come Pane spezzato, come Amore crocifisso e donato» e «regna in silenzio sulla croce». Imparagonabile ai «messia potenti adulati dal mondo». Così, nell’omelia pronunciata domenica 12 settembre a Budapest, durante la messa conclusiva del 52esimo congresso eucaristico internazionale, Papa Francesco ha riproposto il mistero dell’Eucaristia anche come sorgente di ogni autentico dinamismo missionario.
Prima della Celebrazione eucaristica, nell’incontro con i vescovi ungheresi, il Pontefice aveva riproposto il mistero dell’eucaristia anche come luce che illumina le esperienze martiriali disseminate lungo il cammino della Chiesa nella storia. «Nel Pane e nel Vino» dell’Eucaristia – ha detto il Papa nella prima parte del discorso rivolto ai Vescovi della Nazione magiara «vediamo Cristo che offre il suo Corpo e il suo Sangue per noi. La Chiesa di Ungheria, con la sua lunga storia, segnata da una incrollabile fede, da persecuzioni e dal sangue dei martiri» ha aggiunto il Papa «è associata in modo particolare al sacrificio di Cristo. Tanti fratelli e sorelle, tanti vescovi e presbiteri hanno vissuto ciò che celebravano sull’altare: sono stati macinati come chicchi di grano, perché tutti potessero essere sfamati dall’amore di Dio; sono stati torchiati come l’uva, perché il sangue di Cristo diventasse linfa di vita nuova; sono stati spezzati, ma la loro offerta d’amore è stata un seme evangelico di rinascita piantato nella storia di questo popolo».
Ai membri dell’episcopato ungherese, il Vescovo di Roma ha proposto alcune «indicazioni» e incoraggiamenti riguardo alla loro missione, svolta in un contesto «in cui cresce il secolarismo e si affievolisce la sete di Dio». A volte – ha detto tra l’altro il Pontefice - «quando la società che ci circonda non sembra entusiasta della nostra proposta cristiana, la tentazione è quella di chiuderci nella difesa delle istituzioni e delle strutture», mentre conviene sempre tener presente che «le strutture, le istituzioni, la presenza della Chiesa nella società servono solo a risvegliare nelle persone la sete di Dio e a portare loro l’acqua viva del Vangelo». Un segno distintivo di un autentico dinamismo apostolico – ha aggiunto tra le altre cose il Papa, alludendo anche alle chiusure e insofferenze emerse in Ungherida davanti ai flussi migratori – si può riconoscere nella disponibilità a «aprirci all’incontro con l’altro», invece di chiuderci in una rigida difesa della nostra cosiddetta identità». L’appartenenza alla propria identità – ha insistito il Successore di Pietro - «non deve mai diventare motivo di ostilità e di disprezzo degli altri, bensì un aiuto per dialogare con culture diverse». (GV) (Agenzia Fides 13/9/2021)

domenica 5 luglio 2020

Innamorato di Gesù e dei poveri


La Chiesa ricorda il beato Frassati, giovane innamorato di Gesù e dei poveri

Nel giorno in cui si celebra la memoria del giovane beato piemontese, Pier Giorgio Frassati, l'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, presiede stasera in suo onore, in cattedrale, la Santa Messa. Papa Francesco nel 2015, incontrando a Torino giovani e ragazzi, ha ricordato il motto che ha scandito la vita del beato Frassati: "vivere, non vivacchiare"
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
"Era un giovane di una gioia trascinante, una gioia che superava anche tante difficoltà della sua vita. Diceva di voler ripagare l’amore di Gesù che riceveva nella Comunione visitando e aiutando i poveri". Con queste parole Papa Francesco descrive nell'Esortazione apostolica "Christus vivit" la figura del beato Pier Giorgio Frassati che la Chiesa ricorda oggi. La sua è la storia di un giovane che ha dedicato la vita agli studi, alla pietà, alle attività apostoliche e sociali, sportive e di carità. È un luminoso esempio, per la gioventù, di un cristianesimo autentico. Nasce a Torino il 6 aprile del 1901 in una famiglia ricca e borghese: il padre, Alfredo, fonda e dirige il quotidiano “La Stampa”. Quando scoppia la prima guerra mondiale, Pier Giorgio è adolescente. Diversi episodi di quegli anni dimostrano la sua partecipazione alle sofferenze dei soldati. A dodici anni frequenta il ginnasio ma viene bocciato. Si rammarica per il dolore procurato ai genitori ma promette di impegnarsi per rimediare. Si iscrive all’Istituto sociale dei padri gesuiti, dove trova un vero trampolino di lancio per una piena formazione umana e spirituale. Inizia ad accostarsi quotidianamente all’Eucaristia. Dopo gli studi liceali, si iscrive al Politecnico di Torino scegliendo la facoltà di Ingegneria Mineraria. Il suo desiderio è quello di contribuire a migliorare le condizioni dei lavoratori all’interno delle miniere.

La passione per la montagna e l’amore per la preghiera

Pier Giorgio è un giovane che ama la poesia e le scalate in montagna. Spesso raggiunge a piedi il Santuario della Madonna di Oropa e, al ritorno, recita il Rosario e canta le Litanie. Soccorre tutti i poveri che bussano alla porta della sua casa. Per questo suo impegno caritatevole riceve l'appellattivo di "apostolo dei poveri". La domenica partecipa spesso alla Santa Messa delle 4.30 per poter poi dedicare la giornata, in compagnia degli amici, ad escursioni in montagna. Di lui, un sacerdote ha scritto: “Com’era bello vederlo entrare con i suoi compagni nelle prime ore della domenica in chiesa, scarpe ferrate, bastoncini da sci o piccozza in mano, sacco in spalla. Si dirigeva con passo rumoroso alla sacrestia, deponeva il bagaglio e serviva all’altare con mirabile compostezza e pietà vivissima”.



lunedì 15 giugno 2020

Angelus 14 giugno 2020

“E’ la Chiesa che fa l’Eucaristia, ma è più fondamentale che l’Eucaristia fa la Chiesa, e le permette di essere la sua missione, prima ancora che di compierla”. “Ricevere Gesù perché ci rasformi da dentro, e perché faccia di noi l’unità” spiegato il Papa, che durante l’Angelus di oggi, pronunciato dalla finestra del suo studio nel Palazzo apostolico davanti ai fedeli riuniti in piazza San Pietro rispettando le misure di distanziamento sociale imposte dall’attuale pandemia, si è soffermato ancora una volta – come aveva fatto nell’omelia della messa celebrata poco prima nella basilica di San Pietro – sulla solennità del Corpus Domini, che si celebra oggi in Italia e in altre nazioni. “Gesù è presente nel sacramento dell’Eucaristia per essere il nostro nutrimento, per essere assimilato e diventare in noi quella forza rinnovatrice che ridona energia e voglia di rimettersi in cammino, dopo ogni sosta o caduta”, ha ricordato Francesco: “Ma questo richiede il nostro assenso, la nostra disponibilità a lasciar trasformare noi stessi, il nostro modo di pensare e di agire; altrimenti le celebrazioni eucaristiche a cui partecipiamo si riducono a dei riti vuoti e formali”. “E tante volte qualcuno va a messa perché si deve andare, come un atto sociale, rispettoso ma sociale”, ha aggiunto a braccio: “Ma il mistero è un’altra cosa: è Gesù che viene per nutrirci”. “La comunione al corpo di Cristo è segno efficace di unità, di comunione, di condivisione”, ha proseguito il Papa a proposito della “comunione reciproca di quanti partecipano all’Eucaristia, al punto da diventare tra loro un corpo solo, come unico è il pane che si spezza e si distribuisce”: “Non si può partecipare all’Eucaristia senza impegnarsi in una  fraternità vicendevole che sia sincera. Ma il Signore sa bene che le nostre sole forze umane non bastano per questo. Anzi, sa che tra i suoi discepoli ci sarà sempre la tentazione della rivalità, dell’invidia, del pregiudizio, della divisione…Tutti conosciamo queste cose. Anche per questo ci ha lasciato il Sacramento della sua Presenza reale, concreta e permanente, così che, rimanendo uniti a Lui, noi possiamo ricevere sempre il dono dell’amore fraterno”. “Questo duplice frutto dell’Eucaristia: l’unione con Cristo e la comunione tra quanti si nutrono di Lui, genera e rinnova continuamente la comunità cristiana”, ha garantito il Santo Padre citando il Concilio. “Ricevere Gesù perché ci trasformi da dentro, e perché faccia di noi l’unità e non la divisione”, la sintesi a braccio del mistero dell’Eucaristia.

Papa Francesco Messa Corpus Domini 2020-06-14








Il Papa: l’Eucaristia guarisce la memoria e accende il desiderio di servire
Servono “catene di solidarietà” e il Signore è capace di risanare la memoria delle delusioni cocenti, delle cose che non vanno, facendoci portatori di gioia. Così stamani il Papa alla Messa del Corpus Domini all'Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro

Debora Donnini – Città del Vaticano
Il Signore ci ha lasciato un Memoriale che “guarisce la nostra memoria” segnata da ferite e tristezze, trasformandoci in portatori di gioia e capaci di prenderci cura di chi ha fame. Questo Memoriale è la Messa che “è un tesoro da mettere al primo posto nella Chiesa e nella vita”. Lo ricorda il Papa alla Celebrazione Eucaristica del Corpus Domini in un’omelia dai forti tratti esistenziali. Presenti una cinquantina di persone all'Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro insieme al cardinale Comastri e a monsignor Lanzani, rispettivamente Arciprete e Delegato della Basilica. Una Messa che gli ultimi due anni era stata celebrata a Ostia e a Casal Bertone. Una Messa seguita dall’Adorazione e dalla Benedizione Eucaristica e quest’anno, a causa della pandemia, senza la tradizionale processione. (Il servizio con la voce del Papa)
Servono catene di solidarietà
E’ fondamentale fare memoria riunendosi come popolo, dice il Papa richiamandosi alle Letture odierne, ricordare il bene ricevuto dagli interventi di Dio nella nostra vita. Si tratta di una memoria che guarisce “la nostra memoria orfana”, “la memoria negativa” e “la nostra memoria chiusa”, evidenzia il Papa dipanando il senso di questi tre aspetti del vivere umano. Non solo. L’Eucaristia “spegne in noi la fame di cose e accende il desiderio di servire”:
Ci rialza dalla nostra comoda sedentarietà, ci ricorda che non siamo solo bocche da sfamare, ma siamo anche le sue mani per sfamare il prossimo. È urgente ora prenderci cura di chi ha fame di cibo e dignità, di chi non lavora e fatica ad andare avanti. E farlo in modo concreto, come concreto è il Pane che Gesù ci dà. Serve una vicinanza reale, servono vere e proprie catene di solidarietà. Gesù nell’Eucaristia si fa vicino a noi: non lasciamo solo chi ci sta vicino!
L’Eucaristia è un fatto
E se la memoria è sentirsi parte di una storia e va trasmessa di generazione in generazione, bisogna anche farne esperienza e quindi il Signore non ha lasciato solo parole ma un memoriale, un Pane che ha il sapore del suo amore, nel quale “Lui è vivo” e ricevendolo possiamo dire che il Signore si è ricordato di noi. Gesù infatti dice “Fate questo in memoria” e il Papa sottolinea proprio quel “fate”: “L’Eucaristia non è un semplice ricordo, è un fatto: è la Pasqua del Signore che rivive per noi” e nella Messa “la morte e la risurrezione di Gesù sono davanti a noi”.
Gesù può ribaltare le nostre vite, guarendo la memoria orfana
L’Eucaristia sana quindi la memoria orfana segnata da “delusioni cocenti”, inflitte magari da chi avrebbe dovuto dare amore e invece “ha reso orfano il cuore”. Non si può però cambiare il passato, ma Dio può guarire “queste ferite immettendo nella nostra memoria un amore più grande: il suo”. L’Eucaristia “risana la nostra orfanezza” e ci dà l’amore di Gesù, “che ha trasformato un sepolcro da punto di arrivo a punto di partenza e allo stesso modo può ribaltare le nostre vite”.

Guarire dalla memoria negativa per essere portatori di gioia

Ma Gesù guarisce anche la “memoria negativa”, quella che richiama sempre le cose che non vanno e ci lascia l’idea che “non siamo buoni a nulla”. Il Signore, “che è davvero innamorato di noi”, ama il bello e buono che siamo. Sa “che il male e i peccati non sono la nostra identità” ma “malattie” che viene a curare proprio con l’Eucaristia che "contiene gli anticorpi per la nostra memoria malata di negatività" e che ci trasforma in “portatori di Dio”. Il peso della caduta non ci schiaccerà. Quindi “con Gesù possiamo immunizzarci dalla tristezza”, dice il Papa esortando i cristiani a non essere portatori di critiche e lamentale, a non piangersi addosso. “Questo non migliora nulla, mentre la gioia del Signore cambia la vita”.


Solo aprendoci ci liberiamo dalla paralisi del cuore


Ma c’è anche “una memoria chiusa” da cui guarire quando quelle ferite che abbiamo dentro ci rendono “paurosi e sospettosi” e alla lunga “cinici e indifferenti” comportandoci con arroganza verso gli altri. Il Papa sottolinea l’inganno di questo atteggiamento:
Solo l’amore guarisce alla radice la paura e libera dalle chiusure che imprigionano. Così fa Gesù, venendoci incontro con dolcezza, nella disarmante fragilità dell’Ostia; così fa Gesù, Pane spezzato per rompere i gusci dei nostri egoismi; così fa Gesù, che si dona per dirci che solo aprendoci ci liberiamo dai blocchi interiori, dalle paralisi del cuore. Il Signore, offrendosi a noi semplice come il pane, ci invita anche a non sprecare la vita inseguendo mille cose inutili che creano dipendenze e lasciano il vuoto dentro.
Infine il Papa esorta anche a riscoprire l’adorazione che prosegue in noi l’opera della Messa e ci guarisce dentro. La Messa del Corpus Domini è infatti seguita dall’Adorazione e dalla Benedizione Eucaristica che suggellano questa Solennità.

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo 24 novembre 2024

  XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo Grado della Celebrazione: SOLENNITA' Color...