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domenica 10 dicembre 2023

 

DON CARLOS BOTERO NUOVO PARROCO DI TORVISCOSA, CAMPOLONGHETTO, CASTIONS DELLE MURA E MALISANA

Nuovo parroco per le quattro comunità della Collaborazione pastorale di Torviscosa: don Carlos Alberto Botero Arias raccoglie il testimone da don Gianni Molinari, dimesso per motivi di salute. L’ingresso sarà a febbraio 2024.

Nato 36 anni fa a Florencia, in Colombia, don Carlos Alberto Botero Arias è stato ordinato sacerdote per l’Arcidiocesi di Udine nel 2016; dopo cinque anni lascia l’incarico di vicario parrocchiale nella Parrocchia di Codroipo. In precedenza, fino al 2018, egli aveva svolto servizio nella Parrocchia di Lignano. Da sempre vicino alla pastorale dei ragazzi, nell’ottobre 2023 è stato nominato vice-direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia, ruolo che continuerà a svolgere anche dopo l’ingresso nelle comunità della Bassa friulana.

Don Carlos Botero entrerà ufficialmente nelle quattro Parrocchie domenica 11 febbraio 2024, lo stesso giorno in cui la Chiesa celebra la memoria della Madonna di Lourdes. Egli raccoglie il testimone da don Gianni Molinari, dimessosi dalla guida delle quattro Parrocchie per motivi di salute: don Molinari si ritirerà in quiescenza a Cividale.

Dal momento del suo ingresso, don Carlos Botero sarà anche parroco coordinatore della Collaborazione pastorale di Torviscosa, coincidente con le quattro Parrocchie di cui sarà parroco.

In attesa dell’ingresso del nuovo parroco, le quattro Parrocchie saranno amministrate da mons. Igino Schiff; fino a febbraio esse potranno contare sul servizio di don Tacio Alexandre Puntel e del

venerdì 24 settembre 2021

Agenzia Fides 24 settembre 2021

 

VATICANO - Papa Francesco ai Vescovi d’Europa: chiediamo aiuto ai Santi, invece di lamentarci dei tempi cattivi
 
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – “Tanti in Europa pensano che la fede sia qualcosa di già visto, che appartiene al passato”. Ciò succede “Perché non hanno visto Gesù all’opera nelle loro vite. E spesso non lo hanno visto perché noi, con le nostre vite non lo abbiamo mostrato abbastanza. Perché Dio si vede nei visi e nei gesti di uomini e donne trasformati dalla sua presenza”. Così Papa Francesco ha ricordato di nuovo a tutti i battezzati che la fede cristiana si confessa e si comunica nel mondo attraverso la testimonianza, intesa non come ‘mobilitazione’ e “prestazione” di apparati e operatori pastorali, ma come riflesso del cambiamento che Cristo stesso può operare nelle vite di chi porta il suo nome. L’occasione colta dal Vescovo di Roma per riproporre il dinamismo intimo di ogni missione e di ogni opera apostolica, è stata la concelebrazione eucaristica da lui presieduta nel pomeriggio di giovedì 23 settembre nella Basilica di San Pietro, con i partecipanti all’Assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (C.C.E.E.), in occasione del 50° della sua istituzione. Rivolgendosi a vescovi appartenenti a Chiese di antica fondazione, il Successore di Pietro ha tratteggiato con cenni efficaci le strade che conviene percorrere e i criteri che conviene seguire per riproporre la salvezza annunciata dal Vangelo anche a chi oggi vive nei Paesi del Vecchio Continente, segnati da avanzati processi di de-cristianizzazione.
Papa Francesco ha richiamato con realismo gli effetti più eclatanti prodotti in Europa dalla “deforestazione” della memoria cristiana. Nelle terre europee – ha riconosciuto il Papa – “i templi si svuotano e Gesù viene sempre più dimenticato”. E ciò accade in primis non perché gli attuali abitanti dell’Europa siano diventati più cattivi, ma “perché manca chi faccia loro venire l’appetito della fede e riaccenda quella sete che c’è nel cuore dell’uomo: quella «concreata e perpetua sete» di cui parla Dante (Paradiso, II,19) e che la dittatura del consumismo, dittatura leggera ma soffocante, prova a estinguere”. In tale condizioni – ha aggiunto il Papa – i cristiani d’Europa sembrano presi da una sorta di torpore: appaiono “tranquilli perché in fondo non ci manca nulla per vivere”, e non sembrano lasciarsi attraversare dall’inquietudine che invece dovrebbero provare “nel vedere tanti fratelli e sorelle lontani dalla gioia di Gesù”.
Nella sua omelia, il Pontefice ha accennato in maniera sintetica e efficace alle false soluzioni, agli atteggiamenti fuorvianti a alle reazioni inconcludenti che prevalgono in ambienti ecclesiali davanti al venir meno di ogni relazione vitale tra il cristianesimo e il vissuto reale delle popolazione europee. La prima delle “risposte sbagiate” passate velocemente in rassegna dal Papa è quella di chi si lamenta del mondo e accusa la cattiveria dei tempi: “È facile” ha notato il Vescovo di Roma “giudicare chi non crede, è comodo elencare i motivi della secolarizzazione, del relativismo e di tanti altri ismi, ma in fondo è sterile”. L’altra pista che porta fuori strada è quella del ripiegamento che cerca protezione e consolazione creando isole felici, concepite come dei ‘mondi a parte’: “Oggi in Europa” – ha rimarcato Papa Francesco - noi cristiani abbiamo la tentazione di starcene comodi nelle nostre strutture, nelle nostre case e nelle nostre chiese, nelle nostre sicurezze date dalle tradizioni, nell’appagamento di un certo consenso”. Una introversione che spesso finisce per prendere le forme dell’auto-occupazione ecclesiale, la deriva che spinge tanti a “concentrarsi sulle varie posizioni nella Chiesa, su dibattiti, agende e strategie, e perdere di vista il vero programma, quello del Vangelo”. Queste reazioni fuorvianti hanno spesso l’unico effetto di dilatare il deserto. Perché “se i cristiani, anziché irradiare la gioia contagiosa del Vangelo, ripropongono schemi religiosi logori, intellettualistici e moralistici” ha fatto notare il Pontefice “la gente non vede il Buon Pastore. Non riconosce Colui che, innamorato di ogni sua pecora, la chiama per nome e la cerca per mettersela sulle spalle”.
Nell’omelia pronunciata davanti ai vescovi europei, il Successori di Pietro non si è comunque limitato a mettere in guardia da tentazioni e reattività che possono irretire gli apparati ecclesiali. Il Pontefice ha suggerito anche dove può venire, per grazia, una ripartenza dell’opera apostolica nelle terre europee.
In primis, il Vescovo di Roma ha invitato tutti a attingere di nuovo alla “Tradizione vivente” della Chiesa, sorgente inestinguibile che non ha niente a che fare con le mode clericali segnate da “quel ‘restaurazionismo del passato che ci uccide, ci uccide tutti”. Attingere alla Tradizione vivente della Chiesa – ha rimarcato il Papa – aiuta a “guardare insieme all’avvenire, non a restaurare il passato”. Conviene sempre “ripartire dalle fondamenta, dalle radici – ha insistito il Pontefice - perché da lì si ricostruisce: dalla Tradizione vivente della Chiesa, che ci fonda sull’essenziale, sul buon annuncio, sulla vicinanza e sulla testimonianza. Da qui si ricostruisce, dalle fondamenta della Chiesa delle origini e di sempre, dall’adorazione a Dio e dall’amore al prossimo, non dai propri gusti particolari, non dai patti e negoziati che possiamo fare adesso, diciamo, per difendere la Chiesa o difendere la cristianità”. Concretamente – ha suggerito il Papa – nella Chiesa c’è da semtre una via semplice e privilegiata per attingere alle sorgenti vive della fede, che consiste nel guardare al volto dei santi, e seguire i passi di coloro nelle cui vite opera in maniera efficace e sperimentabile la grazia di Cristo. Anche i grandi santi dell’Europa – ha ricordato Papa Francesco - “Hanno messo in gioco la loro piccolezza, fidandosi di Dio. Penso ai Santi come Martino, Francesco, Domenico, Pio che ricordiamo oggi; ai patroni come Benedetto, Cirillo e Metodio, Brigida, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce”. Tutti costoro – ha sottolineato il Papa – hanno visto cambiare la propria vita accogliendo la grazia di Dio. Non si sono preoccupati dei tempi bui, delle avversità e di qualche divisione, che c’è sempre stata. Non hanno perso tempo a criticare e colpevolizzare. Hanno vissuto il Vangelo, senza badare alla rilevanza e alla politica. Così, con la forza mite dell’amore di Dio, hanno incarnato il suo stile di vicinanza, di compassione e di tenerezza – lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza –; e hanno costruito monasteri, bonificato terre, ridato anima a persone e Paesi: nessun programma “sociale” fra virgolette, solo il Vangelo. E con il Vangelo sono andati avanti”.
Anche oggi, come ai tempi descritti nei Vangeli – ha proseguito il Papa nella parte finale della sua omelia “Questo amore divino, misericordioso e sconvolgente, è la novità perenne del Vangelo. E domanda a noi, cari Fratelli, scelte sagge e audaci, fatte in nome della tenerezza folle con cui Cristo ci ha salvati. Non ci chiede di dimostrare, ci chiede di mostrare Dio, come hanno fatto i Santi: non a parole, ma con la vita”. Per aiutare anche l’Europa di oggi, “malata di stanchezza” , a “ritrovare il volto sempre giovane di Gesù e della sua sposa”. (GV) (Agenzia Fides 24/9/2021)
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AFRICA/UGANDA - Riaperti i luoghi di culto dopo la chiusura a causa della seconda ondata di Covid-19
 
Kampala (Agenzia Fides) – Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha annunciato la riapertura dei luoghi di culto dopo lo stop di oltre un anno. Nel mese di giugno 2020, infatti, tutti i luoghi di culto del paese vennero chiusi e vietati al pubblico a causa della forte impennata dei casi di Coronavirus.
Secondo le informazioni diffuse dalla piattaforma social Ugandan Catholics Online, Museveni ha dato indicazioni precise. “Limitare il numero dei fedeli contemporaneamente a non più di 200 a condizione che il luogo di culto possa garantire un distanziamento fisico di 2 metri da entrambi i lati e un'adeguata aerazione, totale adesione a tutte le normative previste, tra le quali il lavaggio delle mani/uso di disinfettanti a base di alcol, monitoraggio della temperatura e uso costante di mascherine per il viso da parte di tutti i fedeli, compresi il coro e i celebranti.”
Il presidente ha invitato i leader cattolici a collaborare con il governo per mobilitare la popolazione a vaccinarsi e a seguire tutte le altre misure di controllo. Al 22 settembre 2021, l'Uganda contava 123.502 casi confermati di Covid19, 3135 decessi e 340 ricoveri in ospedali, sia privati che pubblici”.
(AP) (Agenzia Fides 24/09/2021)
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ASIA/INDIA - I Vescovi si oppongono alla legge anti-conversione in Karnataka
 
Bangalore (Agenzia Fides) - I dieci Vescovi cattolici dello stato del Karnataka, nel Sud dell'India, hanno espresso al Primo ministro dello stato, Basavaraj Bommi, profonda preoccupazione per una proposta di legge che intende vietare le conversioni religiose nello stato. Guidando una delegazione che ha incontrato il Primo Ministro il 22 settembre, Mons. Peter Machado, Arcivescovo di Bangalore, ha presentato un Memorandum su varie questioni che toccano la vita dei cristiani in Karnataka. Secondo l'Arcivescovo Machado, agitare lo spauracchio di "conversioni forzate" è dannoso e inutile, e la Chiesa cattolica esprime tutto il suo disappunto.
La comunità cristiana nello stato gestisce centinaia di scuole, collegi e ospedali in varie diocesi. E milioni di studenti studiano in istituti educativi gestiti da cristiani. Milioni di persone beneficiano di queste istituzioni. A nessuno di costoro - sottolineano i Vescovi - si consiglia di abbracciare il cristianesimo. Potrebbero essersi verificati alcuni casi minori, ma sono stati gonfiati a dismisura, ha affermato l'Arcivescovo Machado. "La proposta di legge anti-conversione ha lo scopo di diffamare il cristianesimo", ha sottolineato l'Arcivescovo. La comunità cristiana infatti, si assume la piena responsabilità morale di non indulgere in alcun modo nel promuovere conversioni forzate: "Non costringiamo nessuno", ha detto.
Nel Memorandum consegnato al Primo Ministro, i Vescovi notano che qualsiasi legge anti-conversione potrà causare "problemi nei rapporti inter-comunitari e disordini non necessari" , generando dichiarazioni e reazioni controverse e portando subbuglio nella società e nelle comunità religiose.
Il 21 settembre, Goolihatti Shekhar, membro dell'Assemblea legislativa statale e appartenente al partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP), ha sollevato la questione nel Parlamento dicendo: “I missionari evangelici cristiani stanno indulgendo in una dilagante campagna di conversione religiosa nel mio collegio elettorale di Hosadurga. Hanno convertito al cristianesimo circa 20.000 persone di religione indù”.
In risposta a questo appunto, il presidente della Assemblea legislativa, Visheshwara Hegde Kageri, ha affermato che molti stati dell'India hanno già emanato leggi per frenare le conversioni religiose e ha proposto che il Karnataka possa avere una legge simile. Intervenendo nel dibattito, il ministro dell'Interno Araga Jnanedra ha affermato che il governo del Karnataka studierà le leggi in materia di altri stati e presenterà una propria versione. Il governo statale - ha detto - intende approfondire la questione per porre fine alle conversioni religiose operate con la forza e altre lusinghe.
La Costituzione indiana prevede che i cittadini abbiano la libertà di "professare, praticare e propagare" la religione. Tuttavia diversi stati della Federazione indiana hanno attuato e promulgato leggi o regolamenti per scoraggiare o vietare le conversioni religiose: sono Odisha, Uttar Pradesh, Arunachal Pradesh, Chhattisgarh, Gujarat, Jharkhand, Himachal Pradesh, Madhya Pradesh e Uttrakhand.
Il Karnataka è governato dal partito BJP, al cui interno membri e politici si dimostrano ostili alle comunità religiose minoritarie. Seguendo una ideologia diffusa nel BJP (la cosiddetta "Hindutva"), alcuni vorrebbero trasformare l'India da paese laico a stato teocratico indù.
(SD-PA) (Agenzia Fides 24/9/2021)
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ASIA/LIBANO - Raphaël Bedros XXI Minassian è il nuovo Patriarca di Cilicia degli Armeni
 
Roma (Agenzia Fides) - Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Cilicia degli Armeni, convocato dal Santo Padre a Roma il 22 settembre 2021, ha eletto giovedì 23 settembre Patriarca di Cilicia degli Armeni, Raphaël François Minassian, finora Arcivescovo titolare di Cesarea di Cappadocia degli Armeni e Ordinario per i fedeli armeni cattolici dell’Europa Orientale. L’eletto ha assunto il nome di Raphaël Bedros XXI Minassian.
Il nuovo Patriarca armeno cattolico è nato il 24 novembre 1946 a Beirut. Ha compiuto gli studi presso il Seminario Patriarcale di Bzommar (1958-1967) e ha studiato Filosofia e Teologia alla Pontificia Università Gregoriana (1967-1973). Ha frequentato il corso di specializzazione in psicopedagogia presso la Pontificia Università Salesiana. Il 24 giugno 1973 è stato ordinato sacerdote come membro dell’Istituto del Clero Patriarcale di Bzommar. Dal 1973 al 1982 è stato Parroco della Cattedrale Armena di Beirut, dal 1982 al 1984 Segretario del Patriarca Hovannes Bedros XVIII Kasparian, e dal 1984 al 1989 incaricato di fondare il complesso parrocchiale della Santa Croce di Zalka, Beirut.
Dal 1975 al 1989, Raphaël François Minassian è stato Giudice al Tribunale Ecclesiastico della Chiesa Armena a Beirut. Ha insegnato liturgia armena all’Università Pontificia di Kaslik dal 1985 al 1989 e nel 1989 è stato trasferito negli Stati Uniti d’America, dove ha lavorato per un anno come Parroco a New York. Successivamente, fino al 2003, è stato Parroco per gli Armeni Cattolici in California, Arizona e Nevada.
Dal 2004, Minassian ha diretto Telepace Armenia, di cui è Fondatore. Nel 2005 è stato nominato Esarca Patriarcale di Gerusalemme ed Amman per gli Armeni. Il 24 giugno 2011 è stato nominato Ordinario per i Fedeli Armeni Cattolici dell’Europa Orientale, con assegnazione da parte del Santo Padre della Sede titolare vescovile di Cesarea di Cappadocia degli Armeni e del titolo di Arcivescovo ad personam. (Agenzia Fides 24/9/2021)
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AMERICA/VENEZUELA - “Ho sempre agito per la difesa della libertà, della giustizia e dei diritti del popolo venezuelano”: il testamento spirituale del Cardinale Urosa Savino
 
Caracas (Agenzia Fides) - Ieri, 23 settembre, il Cardinale Baltazar Porras, a nome dell'arcidiocesi di Caracas, ha comunicato la morte del Cardinale Jorge Urosa Savino, Arcivescovo emerito di Caracas, cui è seguita la nota della Conferenza Episcopale del Venezuela. La triste notizia ha molto colpito il popolo venezuelano, in quanto il Porporato era ben voluto e rispettato non solo in America Latina, dove era molto conosciuto. Il 28 agosto aveva compiuto, in ospedale, 79 anni. Era stato contagiato dal coronavirus più di un mese fa, e subito l'infezione era apparsa molto aggressiva.
Una settimana fa, l'Arcidiocesi di Caracas aveva pubblicato una riflessione, scritta dal Cardinale Urosa alla fine dello scorso agosto, in cui tra l’altro affermava: “Esprimo il mio grande affetto per il popolo venezuelano e la mia assoluta dedizione alla sua libertà, alle sue istituzioni, alla difesa dei diritti del popolo di fronte agli abusi che sono stati commessi dai governi nazionali. E in questo atteggiamento, ho sempre agito, non per odio o rancore, ma per la difesa della libertà, della giustizia e dei diritti del popolo venezuelano. Quindi spero che il Venezuela esca da questa situazione molto negativa".
Il Cardinale Jorge Liberato Urosa Savino, Arcivescovo Metropolita emerito di Caracas, era nato nella capitale venezuelana il 28 agosto 1942. Dopo aver compiuto gli studi primari e secondari presso il collegio «La Salle» di Tienda Honda, Caracas (1948-1959), ha frequentato il triennio filosofico nel Seminario interdiocesano di Caracas (1959-1962) e, per la Teologia, il «St. Augustine's Seminary» di Toronto, Canada, (1962-1965). A Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana (1965-1971), ha conseguito la Laurea (1967) e il Dottorato in Teologia (1971). Aveva ricevuto l'ordinazione sacerdotale il 15 agosto 1967 e quella episcopale il 22 settembre 1982, creato Cardinale da Benedetto XVI nel Concistoro del 24 marzo 2006.
(CE) (Agenzia Fides 24/09/2021)
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AMERICA/PERU' - La Chiesa sempre disponibile alla collaborazione con lo Stato nei settori sociale, educativo e sanitario, per il bene comune
 
Lima (Agenzia Fides) - La presidenza della Conferenza Episcopale Peruviana il 22 settembre ha avuto un incontro con la presidente del Congresso della Repubblica, María del Carmen Alva Prieto, presso le strutture del Congresso della Repubblica. Durante l'incontro è stata ribadita la disponibilità della Chiesa ad aiutare e a collaborare con il Congresso in particolare nei settori sociale, educativo e sanitario del Paese. L'incontro si è svolto in un clima di fraternità, cordialità e amicizia sociale. La Chiesa peruviana prosegue così nella sua agenda di incontri con le diverse istanze del Congresso della Repubblica per contribuire alla costruzione del bene comune del Paese.
All'incontro erano presenti Monsignor Miguel Cabrejos Vidarte, Presidente della Conferenza Episcopale e Presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam); Monsignor Robert Prevost, Vescovo di Chiclayo e secondo Vicepresidente; Monsignor Norberto Strotmann, Vescovo di Chosica e segretario generale; padre Guillermo Inca, Vicesegretario della Conferenza Episcopale peruviana.
L'incontro è servito anche per calmare una certa tensione popolare creatasi a causa dei tanti commenti e dibattiti dopo la morte in carcere del capo di Sendero Luminoso, avvenuta pochi giorni fa. L'Arcivescovo di Lima, Monsignor Carlos Castillo, aveva celebrato una messa il 12 settembre con i principali responsabili del Gruppo Speciale dell'Intelligence Peruviana, nella Cattedrale di Lima, proprio nell'anniversario della storica cattura di Abimael Guzmán, leader del gruppo terroristico Sendero Luminoso.
Nell'omelia l’Arcivescovo aveva detto: “Se ora abbiamo la possibilità di una democrazia, anche con i suoi problemi, è perché Voi avete seminato quel seme di speranza per il Paese. Siete la forza che dobbiamo avere per continuare quel cammino di speranza che avete iniziato in una domenica come oggi. Facciamo ogni sforzo per essere semi di speranza ed essere un miracolo per il nostro popolo".
(CE) (Agenzia Fides 24/09/2021)
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AMERICA/COLOMBIA - La centralità del kerygma nell'azione evangelizzatrice della Chiesa: nell’Ottobre missionario inizia un corso on line
 
Bogotà (Agenzia Fides) - Con l'obiettivo di continuare nel modo migliore l’impegno di evangelizzazione in questi tempi di pandemia e post-pandemia, il Centro per l'Animazione Missionaria della Conferenza Episcopale della Colombia (CEC), ha organizzato un programma di formazione per evidenziare la centralità del kerygma cristiano in tutta l'azione evangelizzatrice della Chiesa. Come spiega nella nota pervenuta all’Agenzia Fides, Padre Ramiro Antonio López, direttore del Dipartimento di Animazione Missionaria della CEC, si tratta di 7 incontri virtuali che saranno offerti gratuitamente, attraverso la piattaforma Zoom, ogni martedì dal 5 ottobre al 16 novembre, alle ore 19.
"Il Kerigma è il contenuto fondamentale dell'evangelizzazione, è il primo annuncio che riceviamo - afferma il sacerdote -. Abbiamo visto la necessità di presentare questo Kerygma con una sfumatura missionaria, cioè molto testimoniale, esperienziale, con un linguaggio vicino che possa raggiungere tutto il popolo di Dio. Questo corso sarà focalizzato con una tinta molto marcata per la missione, per questo vogliamo iniziarlo nel mese di ottobre, dedicato alle missioni".
L'invito a partecipare è rivolto a laici, religiosi, religiose e anche sacerdoti che vogliono approfondire questo tema e che desiderano prepararsi meglio per continuare il cammino dell’ evangelizzazione. I temi fondamentali degli incontri sono: introduzione al Kerygma; l'amore di Dio; Dio ha mandato suo Figlio per salvarci; colui che crede sarà salvato; convertirsi e credere al Vangelo; i figli di Dio nascono solo dallo Spirito. (SL) (Agenzia Fides 24/09/2021)

venerdì 17 settembre 2021

 


Nel 2020 sono stati 227 gli attivisti ambientali assassinati, mai così tanti

di Gaetano Vallini

Óscar Eyraud Adams, esponente della comunità indigena messicana Kumiai,  si  opponeva alle industrie estrattive che contribuiscono alla scarsità d’acqua nella Baja California. Óscar,  ucciso lo scorso 25 settembre, è uno dei 227 attivisti ambientali assassinati nel 2020. Una cifra spaventosa, con una media di 4 morti a settimana,  la più alta da quando, nel 2012, la ong Global Witness ha iniziato la tragica conta. L’anno precedente le vittime erano state 212. E il rapporto annuale, presentato nei giorni scorsi, conferma come lo sfruttamento irresponsabile e l’avidità alla base della crisi climatica siano anche i moventi delle violenze nei confronti dei difensori dell’ambiente: è infatti divenuto sempre più evidente il legame tra l’intensificarsi dei cambiamenti del clima e gli attacchi mortali.

Gli omicidi, si legge nel rapporto, avvengono in un più ampio contesto di minacce, che vanno dalle intimidazioni alla sorveglianza, dalle campagne di criminalizzazione alle violenze sessuali. E le cifre sono quasi certamente sottostimate, visto che molti attacchi non vengono denunciati. Si tratta dunque di un fenomeno sempre più allarmante, che però non suscita particolare indignazione, soprattutto nei paesi industrializzati. Global Witness sottolinea infatti che, al pari degli impatti della stessa crisi climatica, la gravità delle violenze contro gli attivisti ambientali non viene percepita in modo uniforme nel mondo. Come a dire che certe problematiche, nonostante segnali allarmanti, appaiono ancora lontane.

Per il secondo anno consecutivo è la Colombia il Paese con il numero più alto di uccisioni, ben 65. Gli omicidi sono avvenuti in un clima di diffusi attacchi ai difensori dei diritti umani e ai leader delle comunità, e questo nonostante le speranze accese dall’accordo di pace del 2016. Le popolazioni indigene sono state particolarmente colpite e la pandemia di covid ha peggiorato la situazione: con i lockdown il governo ha tagliato le misure di protezione e le vittime sono state spesso colpite direttamente nelle loro case.

Al secondo posto di questa tragica classifica c’è il Messico, dove sono stati accertati 30 morti, con un aumento del 67% rispetto al 2019. Il disboscamento è stato collegato a quasi un terzo degli assassinii.  Un legame rivelatosi  particolarmente evidente in Brasile (26 vittime) e in Perú (6), dove quasi tre quarti degli attacchi registrati hanno avuto luogo nella regione amazzonica dei due Paesi. E a conferma del fatto che l’America Latina resta il posto più pericoloso per i difensori della terra, a quelli già citati vanno aggiunti i 17 assassinii in Honduras, i 13 in Guatemala, i 12 in Nicaragua e la vittima registrata in Argentina.

Ventinove sono invece state le vittime nelle Filippine, dove si è registrato un progressivo deterioramento della situazione relativa ai diritti umani. L’opposizione alle industrie dannose è spesso oggetto di violente repressioni da parte della polizia e dei militari. In particolare oltre la metà dei raid è stato direttamente collegato alle mobilitazioni contro la realizzazione di miniere, dighe e programmi di disboscamento. Nel più grave degli attacchi nove indigeni Tumandok sono stati uccisi e altri 17 arrestati sull’isola di Panay: si opponevano alla costruzione di una mega-diga sul fiume Jalaur. Il rapporto segnala come dall’elezione di Duterte alla presidenza, nel 2016, sono stati 166 gli attivisti uccisi, un numero scioccante anche per un Paese  già considerato pericoloso per i difensori della terra e dell’ambiente

Global Witness ha documentato 18 uccisioni in Africa; nel 2019 erano state sette.  Quindici omicidi sono stati compiuti nella Repubblica Democratica del Congo,  due  in Sudafrica e uno in Uganda. Più di un terzo degli attacchi è stato collegato allo sfruttamento delle risorse e alla costruzione di dighe idroelettriche e altre infrastrutture.

A livello globale, 28 degli uccisi erano guardiaparchi. Un terzo degli attacchi mortali ha preso di mira gli indigeni, quasi la metà dei quali piccoli agricoltori. Molte delle vittime erano impegnate nella protezione dei fiumi, delle aree costiere e gli oceani, ma la maggioranza di loro, il 71%, era attiva nella difesa delle foreste.

Come negli anni precedenti, nel 2020 nove vittime su dieci erano uomini. Ma le donne che agiscono e parlano in difesa dell’ambiente hanno dovuto affrontare forme di violenza specifiche di genere, compresa quella sessuale. Le donne, si sottolinea, hanno spesso una doppia sfida: la lotta pubblica per proteggere la loro terra e la quella meno visibile per difendere il  diritto di parola all’interno delle loro comunità e famiglie. Inoltre in molte parti del  mondo  sono ancora escluse dalla proprietà della terra e dalle  discussioni sull’uso delle risorse naturali.

Il Sud del pianeta sta  soffrendo le conseguenze più immediate del riscaldamento globale, quindi non sorprende che tutti i 227 omicidi di difensori registrati, tranne uno (in Canada), hanno avuto luogo proprio nei paesi più poveri. Il rapporto rileva inoltre il numero sproporzionato di attacchi contro le comunità indigene, oltre un terzo del totale, anche se costituiscono appena il 5% della popolazione mondiale.

«Molte aziende — si legge sul sito Global Witness — si impegnano in un modello economico estrattivo che dà la priorità al profitto rispetto ai diritti umani e all’ambiente. Questo potere aziendale incontrollabile è la forza sottostante che non solo ha portato la crisi climatica sull’orlo del baratro, ma che ha continuato a perpetuare l’uccisione dei difensori». In sostanza, in troppi paesi ricchi di risorse naturali e di biodiversità molte aziende operano nella quasi totale impunità. E ciò è particolarmente evidente laddove ci sono governi fin troppo disponibili a chiudere un occhio e a non adempiere al loro mandato fondamentale di sostenere e proteggere i diritti umani.

«Un giorno speriamo di segnalare la fine della violenza — ha affermato Chris Madden, di Global Witness — ma finché i governi non prenderanno sul serio la protezione dei difensori e le aziende non inizieranno a mettere le persone e il pianeta prima del profitto, sia il crollo climatico che le uccisioni continueranno». E continueranno perché, nonostante le violenze,  la lotta dei popoli più minacciati non si fermerà.

«La gente a volte mi chiede cosa farò, se resterò qui e manterrò viva la lotta di mia madre. Sono troppo orgogliosa di lei per lasciarla morire. Conosco i pericoli, tutti noi conosciamo i pericoli. Ma ho deciso di restare. Mi unirò alla lotta», ha detto Malungelo Xhakaza, figlia dell’attivista sudafricana assassinata Fikile Ntshangase,  che si batteva contro l’espansione di una miniera di carbone a cielo aperto vicino a Hluhluwe — Imfolozi Park, la più antica riserva naturale dell’Africa. Dovrebbe darci speranza sapere che, nonostante i rischi, ci sono persone coraggiose pronte a lottare per la loro terra e per il nostro pianeta. Loro sono “l’ultima linea di difesa”, come sottolineato dal titolo del rapporto, o la prima: dipende dai punti di vista. Ma non dovrebbero essere lasciate sole. Perché se nell’immediato in gioco c’è la sopravvivenza delle loro comunità, in un futuro drammaticamente sempre più vicino in ballo c’è la sopravvivenza di tutti.

©L’Osservatore Romano del 17 settembre 2021

mercoledì 11 agosto 2021

Agenzia Fides 11 agosto 2021

 

AFRICA/CIAD - Il Presidente di transizione invita i gruppi ribelli al “Dialogo nazionale inclusivo"
 
N’Djamena (Agenzia Fides) – Il Presidente di transizione del Ciad ha rivolto un appello ai gruppi ribelli a prendere parte a un "Dialogo nazionale inclusivo", prima dello svolgimento delle elezioni presidenziali e legislative.
Si tratta di un passo importante da parte di Mahamat Idriss Deby, capo del Consiglio militare di transizione (CMT), perché in precedenti dichiarazioni aveva affermato che il governo non avrebbe negoziato con i ribelli.
"Il dialogo franco e sincero che tutti auspichiamo sarà aperto, in modo specifico, ai movimenti politico-militari", ha detto Deby in un discorso sottolineando che “calcoli politici e battaglie di retroguardia che hanno già causato troppi danni al nostro Paese devono essere banditi per sempre".
La giunta si è precedentemente rifiutata di negoziare con i gruppi ribelli, in particolare i combattenti del Fronte per il cambiamento e la concordia in Ciad (FACT), che ad aprile si sono spostati a sud dalle basi in Libia e hanno raggiunto i 300 km dalla capitale N'Djamena.
Deby ha affermato che i gruppi armati hanno "un obbligo patriottico di riconsiderare le loro posizioni" e di aiutare il consiglio di transizione a costruire l'unità nazionale.
Deby ha preso il potere ad aprile dopo che suo padre, l'ex Presidente, è stato ucciso mentre visitava le truppe che combattevano un'insurrezione nel nord. La difficile fase di transizione che vive il Paese è stata al centro delle riflessione della riunione a luglio del Comitato Permanente della Conferenza Episcopale del Ciad (CET). Al termine della riunione i Vescovi hanno auspicato il sostegno al processo di transizione in Ciad da parte dei partner stranieri e l'istituzione di un comitato ad hoc incaricato di nominare i membri del futuro Consiglio nazionale di transizione (CNT). La CET ha auspicato un’accelerazione del dialogo nazionale inclusivo di riconciliazione che dovrebbe riunire tutti gli attori della vita socio-politica del Ciad e l’istituzione di un CNT incaricato di realizzare le necessarie riforme istituzionali per lo sviluppo di un progetto di Costituzione più consensuale, che però tarda a prendere forma. (L.M.) (Agenzia Fides 11/8/2021)
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AFRICA/GHANA- 14 leader religiosi di 4 Paesi africani firmano la dichiarazione contro la schiavitù moderna
 
Accra (Agenzia Fides) – “La tratta di esseri umani è un crimine particolarmente atroce. Questo perché comporta lo sfruttamento e l'abuso di esseri umani a scopo di lucro”, ha affermato don Lazarus Anondee, Segretario generale della Conferenza dei vescovi cattolici del Ghana, nel corso della cerimonia della firma della “Dichiarazione congiunta dei leader religiosi contro la schiavitù moderna” da parte di 14 leader di quattro Paesi africani.
La firma della Dichiarazione è stata ospitata dal Global Freedom Network, il braccio religioso del gruppo internazionale per i diritti umani Walk Free che si dedica ad accelerare la fine di un crimine che colpisce più di 40 milioni di persone nel mondo.
È l'ottava firma dal 2014, quando Papa Francesco e il Grande Ayatollah Mohammad Taqi al-Modarresi si sono uniti ad altri leader di molte delle grandi religioni del mondo nel dichiarare che la schiavitù moderna deve essere sradicata.
La schiavitù moderna è un termine generico che include la tratta di esseri umani, la servitù domestica, le peggiori forme di lavoro minorile e il matrimonio forzato e infantile.
Lo sceicco Armiyawo Shaibu, portavoce del capo nazionale Imam del Ghana, ha affermato che tutte le religioni hanno denunciato questi crimini. "Come leader religiosi, avete una posizione molto speciale nella società ghanese", ha detto lo sceicco Shaibu. “Potete vedere cambiamenti nelle persone che verrebbero ignorati da altri. Quindi siete in una posizione unica per identificare le vittime e metterle in contatto con professionisti che le aiutino a sfuggire dalle mani dei loro aguzzini".
La co-fondatrice di Walk Free Grace Forrest, che si trovava nella capitale del Ghana Accra per la firma, ha affermato che i leader religiosi sono fondamentali nella lotta per porre fine alla schiavitù moderna. "I leader religiosi sono in una posizione unica per osservare e affrontare i casi di schiavitù moderna nelle loro comunità. Questo è particolarmente vero in Africa, dove la fede è radicata nelle comunità e dove c’è una forte incidenza della schiavitù moderna”.
La dichiarazione è stata sottoscritta dai leader religiosi del Ghana, della Repubblica Democratica del Congo, della Nigeria e della Costa d'Avorio-
Sia il National Interfaith Council of South Africa (NICSA) che l'Inter-Religious Council of Kenya (IRCK), che non hanno potuto aderire a causa del COVID-19, hanno affermato che le loro organizzazioni hanno approvato la dichiarazione e sperono di potere al più presto aggiungere le loro firme. (L.M.) (Agenzia Fides 11/8/2021)
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AMERICA/COLOMBIA - Mons. Lascarro Tapia chiede allo Stato di proteggere le comunità che fuggono dalla violenza
 
Magangué (Agenzia Fides) - Il vescovo di Magangué, Mons. Ariel Lascarro Tapia, ha denunciato le violenze nel sud del dipartimento di Bolivar provocate dagli scontri tra gruppi armati per il controllo dell'area.
Gli scontri hanno provocato diverse morti e lo sfollamento di almeno 900 persone nei capoluoghi comunali, cioè nei comuni di Santa del Sur e Montecristo, senza dimenticare il clima di ansia e angoscia che si percepisce tra gli abitanti di queste località. Finora non è stato possibile stabilire il numero esatto di sfollati perché con il passare del tempo arrivano sempre più famiglie in fuga dalla violenza.
Data la grave situazione, il presule ha rivolto un appello urgente al governo nazionale e alle autorità perché pensino a questo territorio che da più di 50 anni è sconvolto da conflitti e per l'invio urgente di aiuti alle cui famiglie sfollate.
Nel video inviato a Fides, monsignor Lascarro ribadisce l'urgenza di trovare una soluzione al conflitto che permetta il ritorno delle famiglie sfollate nei loro territori di origine e che garantisca il rispetto dei loro diritti fondamentali, in particolare il diritto alla vita e a un lavoro dignitoso.
Il vescovo ha ribadito il deciso accompagnamento delle comunità colpite dalle violenze, incoraggiandole in particolare a non abbandonare i propri territori e a perseverare nella rivendicazione dei diritti riconosciuti dalla Costituzione nazionale e che lo Stato deve garantire nella pratica.

Queste famiglie fuggono dagli scontri tra la il Gruppo Armato Organizzato Estructura 37 (GAO E-37), l'Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e il clan del Golfo che cercano di controllare questo territorio dove vi sono diverse miniere ed è attraversato dalle rotte che consentono il trasporto della pasta di coca.
L'orografia del territorio fa sì che una famiglia debba camminare dalle 10 alle 15 ore per raggiungere una miniera, sfruttata dai gruppi armati. Negli ultimi giorni sono già stati commessi 10 omicidi mirati, il più eclatante dei quali è quello di Edwin Emiro Acosta Ochoa, riconosciuto capo della comunità mineraria, assassinato nel comune di Tiquisio.
Le famiglie sfollate provengono dalla catena montuosa di San Lucas e dai comuni che appartengono alla catena mineraria formata dalle miniere di Piojó, Repollo, Chocó e Mina Central.

(CE) (Agenzia Fides 11/08/2021)
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AMERICA/BRASILE - I popoli indigeni denunciano il presidente Bolsonaro
 
Brasilia (Agenzia Fides) - Per la prima volta nella storia, i popoli indigeni si rivolgono direttamente al tribunale dell'Aia, con i propri avvocati indigeni, per combattere per i loro diritti.
Il Raggruppamento dei Popoli Indigeni del Brasile (Apib) ha presentato il 9 agosto (data nella quale si celebra la Giornata internazionale dei popoli indigeni) una dichiarazione alla Corte Penale Internazionale per denunciare il governo Bolsonaro per genocidio. L'organizzazione chiede che il procuratore del tribunale dell'Aia esamini i crimini commessi contro le popolazioni indigene dal presidente Jair Bolsonaro, dall'inizio del suo mandato, gennaio 2019, con un attenzione particolare al periodo della pandemia Covid-19.
Sulla base dei precedenti della Corte penale internazionale, l'Apib chiede un'indagine per crimini contro l'umanità (art. 7. b, h. k Statuto di Roma – sterminio, persecuzione e altri atti disumani) e genocidio (art. 6. B e c del Statuto di Roma – procurato gravi danni fisici e psichici e creato deliberatamente condizioni volte alla distruzione delle popolazioni indigene).
"L'Apib chiede un'inchiesta per crimini contro l'umanità e genocidio." Il fascicolo depositato è composto da denunce di leader e organizzazioni indigene, documenti ufficiali, ricerche accademiche e note tecniche, che dimostrano la pianificazione e l'esecuzione di una politica anti-indigena esplicita, sistematica e intenzionale guidata da Bolsonaro.
"Crediamo che vi siano atti in corso in Brasile che costituiscono crimini contro l'umanità, genocidio ed ecocidio. Data l'incapacità dell'attuale sistema giudiziario brasiliano di indagare, perseguire e giudicare queste condotte, denunciamo questi atti alla comunità internazionale, mobilitando la Corte penale internazionale", sottolinea Eloy Terena, coordinatore legale di Apib, si legge nella inviata a Fides dal Consiglio Missionario Indigeno (CIMI).
Per Apib, gli attacchi ai territori e alle popolazioni indigene sono stati incoraggiati da Bolsonaro più volte durante il suo mandato. I fatti che testimoniano il progetto anti-indigeno del governo federale vanno dall'esplicito rifiuto di delimitare nuove terre, a leggi, decreti e ordinanze che cercano di legalizzare attività invasive, provocando conflitti.
"Apib continuerà a lottare per il diritto dei popoli indigeni ad esistere nella loro diversità. Siamo popoli indigeni e non ci arrenderemo allo sterminio", sottolinea Eloy, che è uno degli otto avvocati indigeni che hanno firmato la dichiarazione.

Nella storia recente del Brasile sono stati denunciati diversi episodi di violenza contro i popoli indigeni, come riportato dal rapporto elaborato dal Consiglio Missionario Indigeno (CIMI) nel 2020 (Vedi Fides 1/10/2020).

(CE) (Agenzia Fides 11/08/2021)

lunedì 7 giugno 2021

Fides News 6 giugno 2021

 

AFRICA - “Non dimentichiamo suor Gloria ancora in mano ai rapitori in Mali”: appello di padre Gigi Maccalli ex ostaggio
 
Crema (Agenzia Fides) – “Da quando sono tornato libero, non cesso di pregare e di invitare tutti a mantenere vivo il ricordo e la preghiera per gli altri ostaggi prigionieri nel Sahel.” Lo scrive all’Agenzia Fides padre Gigi Maccalli, sacerdote della Società per le Missioni Africane (SMA), che era stato rapito in Niger il 17 settembre 2018 e liberato il 9 ottobre 2020. “Tra di loro – prosegue il missionario - mi è caro ricordare oggi, 7 giugno 2021, suor Gloria Cecilia Narvaez Agoti, rapita in Mali il 7 febbraio 2017. In questo giorno in cui si assommano ben 4 anni e mezzo di cattività per lei, alzo il mio accorato appello: non dimentichiamola!”
Padre Maccalli racconta di come abbia raccolto personalmente la testimonianza di Sophie Pétronin (vedi Agenzia Fides 15/10/2020) e di Edith Blais che hanno condiviso con suor Gloria la sorte di ostaggio prima di essere liberate. “Entrambe mi attestavano la loro preoccupazione nel saperla sola a gestire la dura prova del sequestro.”
“Faccio appello all’attenzione dell’opinione pubblica e chiedo a tutti i cristiani di pregare per la sua liberazione, memore e riconoscente per la preghiera incessante con cui avete pregato numerosi per la mia liberazione. P. Gigi Maccalli, ex ostaggio”.
Suor Gloria, religiosa di nazionalità colombiana della Congregazione delle Suore Francescane di Maria Immacolata, è stata rapita la notte del 7 febbraio 2017 quando un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella parrocchia di Karangasso a Koutiala. Dopo aver sequestrato la suora dal centro missionario sono fuggiti con l’ambulanza del centro medico della missione per andare a riprendere le moto con le quali erano arrivati.
(GM/AP) (Agenzia Fides 7/6/2021)
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AFRICA/BURKINA FASO - “Chi ha compiuto il massacro vuole affermare il controllo su un’area di collegamento strategica” dicono fonti di Fides
 
Ouagadougou (Agenzia Fides) – “Il Paese è sotto choc. È dal 2015 che non accadeva un massacro del genere” dicono all’Agenzia Fides fonti della Nunziatura Apostolica da Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, dove nella notta tra il 4 e il 5 giugno almeno 160 persone sono state massacrate nel villaggio di Solhan, nel nord-est del Paese.
“Al momento le notizie sono ancora frammentarie” dicono le fonti di Fides. “Non sappiamo il numero esatto delle vittime, si parla di 160 morti ma potrebbero essere di più, né quale sia il gruppo che ha commesso il massacro”.
“In attesa di informazioni più accurate possiamo fare alcune considerazioni" continuano le fonti di Fides. "Da una prima valutazione le autorità del Paese sembrano ritenere che chi ha perpetrato il massacro abbia voluto affermare la sua capacità di controllare il territorio. L’esercito infatti ha organizzato dei gruppi di autodifesa dei villaggi dell’area. Con queste massacri i terroristi sembra che abbiano voluto rispondere a queste iniziative di difesa. In ogni caso questa area è strategica perché collega il Mali e il Niger, attraverso il Burkina Faso”.
Solhan è un piccolo comune situato a una quindicina di chilometri da Sebba, capoluogo della provincia di Yagha che ha registrato negli ultimi anni numerosi attacchi attribuiti a jihadisti legati ad Al-Qaeda e allo Stato Islamico. Al massacro di Solhan se ne è aggiunto subito un altro, commesso nella serata del 4 giugno in un villaggio della stessa regione, Tadaryat, con un bilancio di almeno 14 morti. Il 17 e il 18 maggio, 15 civili e un soldato sono stati uccisi in due assalti a un villaggio e a una pattuglia nel nord-est del Paese.
Lo Stato ha decretato un lutto nazionale di 72 ore da domenica 7 giugno mentre la Conferenza Episcopale ha invitato le parrocchie a tenere un momento di preghiera per le vittime al termine delle celebrazioni per il Corpus Domini.
Anche Papa Francesco ha ricordato i massacri di civili in Burkina Faso. Dopo l’Angelus di domenica 6 giugno, il Santo Padre ha detto: “Desidero assicurare la mia preghiera per le vittime della strage compiuta la notte tra venerdì e sabato in una cittadina del Burkina Faso. Sono vicino ai familiari e all’intero popolo Burkinabé, che sta soffrendo molto a causa di questi ripetuti attacchi. L’Africa ha bisogno di pace e non di violenza!”. (L.M.) (Agenzia Fides 7/6/2021)
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ASIA/MYANMAR - Bombardata un'altra chiesa cattolica nello stato Kayah: non confermata la notizia del massacro a Yangon
 
Demoso (Agenzia Fides) - Nella città di Demoso, nello Stato di Kayah, in Myanmar orientale, la chiesa cattolica di Nostra Signora della Pace della parrocchia di Dongankha, nella diocesi di Loikaw, è stata intenzionalmente attaccata dall'esercito birmano e gravemente danneggiata. E' la sesta struttura cattolica interessata da attacchi o raid dell'esercito. Secondo quanto riferisce all'Agenzia Fides un prete della diocesi, p. Paul Tinreh, non sono stati segnalati feriti o vittime, e la chiesa rientra tra gli edifici attaccati nella zona: diverse abitazioni sono state danneggiate o bruciate da bombardamenti indiscriminati di artiglieria compiuti ieri, 6 giugno, fin dalle prime ore del mattino.
La Chiesa locale da settimane ha messo a disposizione le proprie strutture a benefici degli sfollati che fuggono dai bombardamenti: accanto al complesso della chiesa, sorge una casa di riposo gestita dalla Suore della Riparazione dove, insieme con le religiose più anziane, si sono rifugiate circa 150 persone vulnerabili del villaggio di Dongankha, tra donne, anziani e bambini. "Con loro soggiorna anche il parroco ma in realtà, non sono al sicuro. Da quando lo stato Kayah è divenuto zona di guerra, nessun luogo è sicuro", nota a Fides p. Francis Soe Naing, altro sacerdote locale.
"Abbiamo lanciato ai militari un appello a non attaccare le chiese perché molte persone, soprattutto quelle vulnerabili, si stanno rifugiando in esse. Ma l'appello è caduto nel vuoto . Uno dei motivi per cui stanno attaccando la Chiesa cattolica è che, collaborando con molti donatori, la Chiesa cattolica ha preso iniziative di soccorso per più di un terzo della popolazione totale dello Stato di Kayah (oltre 300.000 persone) che è stata sfollata con la forza a causa degli attacchi indiscriminati del regime militare", aggiunge in un messaggio pervenuto all'Agenzia Fides il Gesuita p. Wilbert Mireh SJ. "Un'altra ragione è che attaccano le chiese è perché non hanno più un briciolo di umanità o di cuore", rileva.
Nella parrocchia di Dongankha, intorno alla chiesa colpita ieri, vivono circa 800 famiglie cattoliche, per una popolazione cattolica è di circa 4.600 persone , assistite pastoralmente da 3 sacerdoti, 2 fratelli religiosi, 4 suore, 1 catechista e 15 volontari assistenti pastorali.
Secondo informazioni diffuse dalla Chiesa locale, è la sesta volta in due settimane che chiese o istituti cattolici in Myanmar sono colpiti o interessati da violenze dell'esercito. Nei giorni scorsi sono state interessate da attacchi: la chiesa del Sacro Cuore di Gesù nel villaggio di South Kayanthayar, colpita da artiglieria che ha distrutto la parte sinistra della chiesa, facendo 4 morti e molti feriti; la Cattedrale del Sacro Cuore di Gesù, nella diocesi di Phekhon; la Chiesa cattolica di San Giuseppe, parrocchia di Demoso; la Chiesa di Nostra Signora di Lourdes, nella parrocchia di Domyalay, chiesa di nuova costruzione e non ancora inaugurata; va aggiunto, poi, il raid nel Seminario Maggiore Intermedio (dove si trovano 1.300 profughi) con l'uccisione di un volontario.
In un altro scenario, i mass-media hanno parlato di "massacro" nel villaggio di Hla Swe, nella parte occidentale di Yangon. La notizia, secondo fonti di Fides, è notevolmente gonfiata dato che la situazione resta quella che si registra da settimane. Infatti, nota la fonte di Fides, 3 persone sono state uccise dai militari e circa 10 persone sono state arrestate, mentre oltre mille sono fuggite, in azioni militari che però non configurano una carneficina. Secondo un prete locale la gente della zona si nasconde nelle aree rurali e in altri villaggi ma, a causa di posti di blocco costruiti dai militari, non è possibile far pervenire aiuti umanitari. Nell'area vis sono 4 piccoli villaggi cattolici ma nessuna chiesa è stata attaccata.
(PA-JZ) (Agenzia Fides 7/6/2021)
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ASIA/LIBANO - “Siamo un popolo che non muore”. Il Patriarca maronita Raï rinnova la consacrazione del Libano al Cuore immacolato di Maria
 
Harissa (Agenzia Fides) - Il Cardinale libanese Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei maroniti, ha rinnovato l’atto di consacrazione del Libano e di tutto il Medio Oriente al Cuore Immacolato della Vergine Maria, durante la celebrazione della liturgia eucaristica da lui presieduta ieri, domenica 6 giugno, presso il Santuario di Nostra Signora del Libano, a Harissa. Alla celebrazione liturgica ha preso parte anche l’Arcivescovo Joseph Spiteri, Nunzio apostolico in Libano, insieme a un numero contingentato di fedeli provenienti da diverse regioni del Paese, nel rispetto delle misure di sicurezza sanitaria imposte dalla pandemia.
Ancora una volta, durante l’omelia, il Patriarca ha usato i toni della denuncia per deplorare il modus operandi della classe politica libanese. “In questi giorni difficili” ha affermato tra le altre cose il porporato libanese “i funzionari stanno cercando di salvare se stessi e i loro interessi”, e non si preoccupano di un popolo stanco di vivere umiliazioni “davanti a banche e cassieri, davanti a distributori di benzina e forni, di fronte a farmacie e ospedali”.
Riferendosi allo scenario devastante della crisi libanese, il Cardinale si è chiesto se lo stallo istituzionale che impedisce di formare un nuovo governo non nasconda in realtà l'intenzione di rinviare e di fatto sabotare le elezioni parlamentari e quelle presidenziali in agenda tra maggio e ottobre del 2022, o addirittura il disegno di provocare il collasso del sistema-Paese, proprio in concomitanza con il centenario dell’indipendenza nazionale. “Noi siamo un popolo che non muore” ha aggiunto il Primate della Chiesa maronita “e non permetteremo quindi che questo programma venga completato”.
Il Patriarca Béchara Boutros Raï consacrò per la prima volta il Libano e tutto il Medio Oriente al Cuore Immacolato di Maria il 16 giugno 2013 (vedi Fides 17/6/2013). In occasione di quel primo atto solenne di consacrazione, celebrato anche allora presso il Santuario mariano di Harissa, il Patriarca maronita pregò affinché tutti i popoli della regione fossero liberati “dai peccati che portano a divisioni, aggressioni e violenza”. Quella volta, tutt'intorno alla Basilica si è raccolta una moltitudine di fedeli per implorare che il Paese dei Cedri non fosse travolto dal contagio di conflitti settari che stavano dilaniando la vicina Siria. Allora, durante l’omelia, il cardinale libanese aveva associato i musulmani all'atto di consacrazione, ricordando che il Libano è l'unico Paese dove la Solennità dell'Annunciazione, il 25 marzo, viene celebrata insieme da cristiani e musulmani come festa nazionale.
Mercoledì prossimo, 9 giugno, prenderà il via il Sinodo annuale dei Vescovi della Chiesa maronita. La prima parte della riunione sinodale, da mercoledì 9 a sabato 13 giugno, avrà la forma di ritiro spirituale, con meditazioni guidate da padre Fadi Tabet, rettore del Santuario di Harissa. (GV) (Agenzia Fides 7/6/2021)
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AMERICA/COLOMBIA - Visita della Commissione Interamericana per i Diritti Umani, mentre i negoziati tra governo e manifestanti sono bloccati
 
Cali (Agenzia Fides) - “La pandemia globale, che ci ha reso tutti figli dello stesso bisogno, e lo sciopero nazionale che colpendo la mobilità e la distribuzione, ha fatto sentire a tutti la scarsità, la fame e l'assoluta necessità, cosa significa il sostentamento vitale per ogni persona…”: con queste parole, l’Arcivescovo di Cali, Mons. Darío de Jesús Monsalve Mejía, ha voluto proporre una forte riflessione nella giornata in cui la Chiesa celebra la solennità del Corpo e Sangue del Signore. “È la festa del Corpus Domini – ha sottolineato -. Senza le grandi processioni del passato, ancora limitate dalla pandemia e dallo sciopero nazionale, la celebriamo nelle nostre chiese, magari in qualche piazza. Ma, soprattutto, come solennità che, al di là del nome popolare di ‘Corpus’, ci pone dinanzi al sacrificio di Cristo, ‘corpo donato per tutti, sangue versato per molti e per tutti’. Corpo e Sangue, separati, significa una vittima, una vita ferita o uccisa, vite torturate, massacrate”.
Quindi l’Arcivescovo ha proseguito: “Quest'anno la Parola ci centra sul ‘Sangue di Cristo’, in contrasto con il sangue dei tori nei riti dell'alleanza, e il sangue dell'agnello pasquale, in ricordo della liberazione del popolo dall'oppressione dei faraoni in Egitto...Nell’ultima Pasqua di Gesù, diventata la prima messa del cristianesimo, non c'è agnello da macellare e da mangiare, perché Gesù stesso è l'Agnello Immolato: diventa pane per essere mangiato da tutti, diventa vino, in modo che ‘tutti ne bevano’.” L’Arcivescovo ha quindi collegato la festa con la vita dei colombiani: “la violenza malvagia e perversa, con cui alcuni si sono infiltrati nella protesta pacifica, e hanno fatto scontrare cittadini armati contro cittadini senza armi, ci fa vedere scorrere il sangue umano non nelle vene, ma per le strade e per i territori.”
Ecco perché nella sua riflessione ha esortato tutti a “bere dal calice del sangue di Cristo, che significa purificare l'anima, ricevere il perdono da Dio e a giurare di non uccidere”. Ha concluso chiedendo di decretare uno stop totale alla violenza e di accogliere la grazia del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo.
La Colombia continua a vivere la tensione del “paro", lo sciopero generale per protestare contro il governo. I negoziati tra il governo colombiano e il Comitato Nazionale del Paro si sono bloccati ieri, a Bogotà, dopo oltre un mese di proteste in cui sono morte più di 40 persone (vedi Fides 24/05/2021). La stampa internazionale informa che una delegazione della Commissione Interamericana per i Diritti Umani (IACHR) è arrivata sempre ieri, domenica 6 giugno, nel Paese per valutare la situazione che sta attraversando, scossa dalle proteste sociali dallo scorso 28 aprile. Dall'8 al 10 giugno la Commissione effettuerà la sua visita ufficiale in Colombia per valutare la situazione dei diritti umani nel Paese.
(CE) (Agenzia Fides 7/06/2021)
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AMERICA/CILE - I Vescovi di Antofagasta denunciano la detenzione, la vessazione e la deportazione dei migranti venezuelani
 
Antofagasta (Agenzia Fides) – "Come Vescovi della Chiesa cattolica nel Norte Grande, chiediamo il rispetto dello Stato di diritto che deve governare tutte le azioni degli organismi statali, a maggior ragione quando si tratta di misure che incidono sulla libertà di circolazione delle persone che abitano il territorio nazionale. Una procedura conforme alla legge non è un'opzione in uno Stato democratico come la Repubblica del Cile, indipendentemente dal fatto che le persone coinvolte siano cittadini di altri paesi”.
La richiesta è contenuta nella dichiarazione che i Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Antofagasta hanno pubblicato il pomeriggio di sabato 5 giugno 2021, esprimendo “rifiuto e preoccupazione per i diversi episodi di detenzione, deportazione e vessazione che la popolazione migrante del Norte Grande ha subito da parte dall'Amministrazione Statale”.
Il testo, pervenuto all’Agenzia Fides, è firmato dai Vescovi Ignacio Ducasse Medina, Arcivescovo di Antofagasta; Moisés Atisha Contreras, Vescovo di San Marcos de Arica; Guillermo Vera Soto, Vescovo di Iquique e Óscar Blanco Martínez, Vescovo di San Juan Bautista de Calama. I Presuli ricordano che dal mese di febbraio hanno assistito “con grande rammarico, a situazioni di detenzione e deportazione subite dai migranti, principalmente di nazionalità venezuelana”. Con particolare allarme hanno poi sentito l'annuncio del Governo che 15 voli di espulsione saranno effettuati nel corso del 2021, il primo dei quali si è realizzato il 25 aprile dalla città di Iquique. “Purtroppo tale operazione è stata replicata questo venerdì e sabato, fissando la deportazione per domenica 6 giugno, trasferendo i detenuti da Santiago e da altre località a Iquique, per essere infine portati in Venezuela”.
I Vescovi denunciano: "abbiamo appreso che gli attuali processi di detenzione e deportazione hanno registrato importanti vizi di legalità", ricordando che la Cassazione “ha più volte dichiarato l'illegittimità degli atti amministrativi che espellono i migranti e il modo in cui questa è stata effettuata”.
Nella loro dichiarazione i Vescovi inoltre sottolineano che le deportazioni vengono effettuate entro il termine fissato dalla nuova legge sulle migrazioni e gli stranieri, perchè i
migranti che sono entrati clandestinamente nel paese possano lasciarlo volontariamente. "Espellere le persone in questo scenario significa trasformare il contenuto dell'articolo 8 transitorio in lettera morta. Tanto più che i confini terrestri del paese sono chiusi e le condizioni per lasciare il Cile per altre destinazioni rimangono estremamente difficili e costose a causa della pandemia”.
Infine esprimono la loro particolare preoccupazione per il fatto che la maggior parte delle persone colpite da queste politiche migratorie sono cittadini venezuelani, "che per la maggior parte hanno lasciato il loro paese d'origine in condizioni praticamente forzate, diventando persone che richiedono una protezione speciale da parte delle organizzazioni internazionali e certamente del nostro Paese", quindi sollecitano la ricerca di strade percorribili e umanitarie che consentano che il Cile e il resto dei paesi della regione “assumano la realtà che vive il nostro subcontinente”. (SL) (Agenzia Fides 07/06/2021)

lunedì 24 maggio 2021

Vatican News 23 maggio 2021

 


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Vatican News

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