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martedì 14 settembre 2021

La testimonianza cristiana nasce dal trionfo della Croce, e non segue le vie dei “trionfalismi” mondani

 




EUROPA/SLOVACCHIA - Il Papa: la testimonianza cristiana nasce dal trionfo della Croce, e non segue le vie dei “trionfalismi” mondani
 
Prešov (Agenzia Fides) – La missione della Chiesa non persegue le vie mondane del “trionfalismo” e dell’affermazione di sé. Ogni autentica testimonianza cristiana prende vita dal misterioso trionfo della Croce di Cristo e lo attesta, configurando anche le sue forme e le sue movenze all’ «amore umile» di Cristo «che è fecondo nella quotidianità e fa nuove tutte le cose dal di dentro, come seme caduto in terra, che muore e produce frutto». Così Papa Francesco, nella solennità liturgica della Esaltazione della Santa Croce, è tornato a indicare il vincolo che unisce inseparabilmente la croce di Cristo e il cammino della Chiesa nella storia. Lo ha fatto nell’omelia pronunciata durante la Divina Liturgia Bizantina di San Giovanni Crisostomo, da lui presieduta nella città di Prešov, nel piazzale del Mestská športová hala, la mattina del terzo giorno della sua visita apostolica in terra slovacca.
Il mistero della croce di Cristo – ha rimarcato il Vescovo di Roma - suggerisce e configura per sempre le movenze stesse con cui i cristiani sono presenti e operano nel mondo, testimoniando ai loro compagni di cammino la salvezza di Cristo annunciata nel Vangelo. La modalità inaudita con cui il Mistero stesso ha scelto di rivelarsi rimane per sempre sorgente della testimonianza cristiana, che proprio per questo è imparagonabile rispetto a ogni forma di propaganda culturale, politica o religiosa.
Agli occhi della sapienza del mondo – ha ricordato il Papa all’inizio della sua omelia, citando san Paolo – la croce di Cristo è «scandalo» e «stoltezza», simbolo di fallimento. Essa era «strumento di morte, eppure da lì è venuta la vita. Era ciò che nessuno voleva guardare, eppure ci ha rivelato la bellezza dell’amore di Dio. Per questo il santo Popolo di Dio la venera e la Liturgia la celebra nella festa odierna».
A volte – ha riconosciuto il Papa – anche tra chi si dice cristiano affiora la tentazione di «non accettare che Dio ci salvi lasciando che si scateni su di sé il male del mondo». Una tentazione che sembra prevalere in chi aspira «a un cristianesimo trionfalistico, che abbia rilevanza e importanza, che riceva gloria e onore. Ma un cristianesimo senza croce è mondano, e diventa sterile». Chi invece per grazia riconosce «in Cristo crocifisso la gloria di Dio», attesta con il dinamismo dell’incarnazione, che traspare in qualche modo dalle movenze stesse in cui prende forma la testimonianza cristiana.
Il mistero della croce - ha riconosciuto Papa Francesco – può essere accolto solo nella gratitudine – commossa fino alle lacrime – di chi riceve un dono immeritato e inimmaginabile. Fare discorsi sulla croce «Non serve, se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non gli apriamo il cuore, se non ci lasciamo stupire dalle sue piaghe aperte per noi, se il cuore non si gonfia di commozione e non piangiamo davanti al Dio ferito d’amore per noi». Per questo – ha rimarcato il Papa – la croce non può mai essere ridotta a «un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale».
Per questo la testimonianza che nasce dalla contemplazione del crocifisso, e ha il suo vertice nel martirio – ha suggerito il Papa – non ha mai i connotati di una prestazione supponente e “trionfalista”, ma si configura e si assimila ai tratti propri della croce. «Se si immerge lo sguardo in Gesù» ha detto il Papa «il suo volto comincia a riflettersi sul nostro: i suoi lineamenti diventano i nostri, l’amore di Cristo ci conquista e ci trasforma. Penso ai martiri, che hanno testimoniato in questa nazione l’amore di Cristo in tempi molto difficili, quando tutto consigliava di tacere, di mettersi al riparo, di non professare la fede. Ma non potevano non testimoniare. Una testimonianza compiuta per amore di Colui che avevano lungamente contemplato. Tanto da somigliargli, anche nella morte».
Nei nostri tempi, anche nei luoghi in cui i cristiani non affrontano persecuzioni – ha fatto notare Papa Francesco - la testimonianza «può essere inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità». Il segno distintivo di ogni autentica testimonianza non è la trasformazione della croce in «una bandiera», ma la vita vissuta «secondo il Vangelo, quello delle Beatitudini». Il testimone della Croce – ha proseguito il Successore di Pietro «non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente», «non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto». I connotati propri della testimonianza cristiana, conformati alla Croce di cristo, risultano di altra natura rispetto a quelli di ogni tipo di “propaganda”, visto che «il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile». Per questo la testimonianza che si trasmette per osmosi, da persona a persona, è la via con cui la salvezza di Cristo può raggiungere e toccare i cuori degli uomini e delle donne del tempo presente. «I testimoni - ha detto il Papa nella parte conclusiva della sua omelia - generano altri testimoni, perché sono donatori di vita. È così che si diffonde la fede: non con la potenza del mondo, ma con la sapienza della croce; non con le strutture, ma con la testimonianza» (GV) (Agenzia Fides 14/9/2021)

venerdì 6 gennaio 2017

Omelia del Papa nella Messa dell'Epifania 2017

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Venerdì, 6 gennaio 2017



«Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2).
Con queste parole i magi, venuti da terre lontane, ci fanno conoscere il motivo della loro lunga traversata: adorare il re neonato. Vedere e adorare: due azioni che risaltano nel racconto evangelico: abbiamo visto una stella e vogliamo adorare.
Questi uomini hanno visto una stella che li ha messi in movimento. La scoperta di qualcosa di inconsueto che è accaduto nel cielo ha scatenato una serie innumerevole di avvenimenti. Non era una stella che brillò in modo esclusivo per loro né avevano un DNA speciale per scoprirla. Come ha ben riconosciuto un padre della Chiesa, i magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino (cfr San Giovanni Crisostomo). Avevano il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità.
I magi, in tal modo, esprimono il ritratto dell’uomo credente, dell’uomo che ha nostalgia di Dio; di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste. Riflettono l’immagine di tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore.
La santa nostalgia di Dio scaturisce nel cuore credente perché sa che il Vangelo non è un avvenimento del passato ma del presente. La santa nostalgia di Dio ci permette di tenere gli occhi aperti davanti a tutti i tentativi di ridurre e di impoverire la vita. La santa nostalgia di Dio è la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura. Questa nostalgia è quella che mantiene viva la speranza della comunità credente che, di settimana in settimana, implora dicendo: «Vieni, Signore Gesù!».
Fu proprio questa nostalgia a spingere l’anziano Simeone ad andare tutti i giorni al tempio, sapendo con certezza che la sua vita non sarebbe terminata senza poter tenere in braccio il Salvatore. Fu questa nostalgia a spingere il figlio prodigo a uscire da un atteggiamento distruttivo e a cercare le braccia di suo padre. Fu questa nostalgia che il pastore sentì nel suo cuore quando lasciò le novantanove pecore per cercare quella che si era smarrita, e fu anche ciò che sperimentò Maria Maddalena la mattina della domenica per andare di corsa al sepolcro e incontrare il suo Maestro risorto. La nostalgia di Dio ci tira fuori dai nostri recinti deterministici, quelli che ci inducono a pensare che nulla può cambiare. La nostalgia di Dio è l’atteggiamento che rompe i noiosi conformismi e spinge ad impegnarsi per quel cambiamento a cui aneliamo e di cui abbiamo bisogno. La nostalgia di Dio ha le sue radici nel passato ma non si ferma lì: va in cerca del futuro. Il credente “nostalgioso”, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il Signore. Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare.
Come atteggiamento contrapposto, nel palazzo di Erode (che distava pochissimi chilometri da Betlemme), non si erano resi conto di ciò che stava succedendo. Mentre i magi camminavano, Gerusalemme dormiva. Dormiva in combutta con un Erode che, invece di essere in ricerca, pure dormiva. Dormiva sotto l’anestesia di una coscienza cauterizzata. E rimase sconcertato. Ebbe paura. E’ lo sconcerto che, davanti alla novità che rivoluziona la storia, si chiude in sé stesso, nei suoi risultati, nelle sue conoscenze, nei suoi successi. Lo sconcerto di chi sta seduto sulla ricchezza senza riuscire a vedere oltre. Uno sconcerto che nasce nel cuore di chi vuole controllare tutto e tutti. E’ lo sconcerto di chi è immerso nella cultura del vincere a tutti i costi; in quella cultura dove c’è spazio solo per i “vincitori” e a qualunque prezzo. Uno sconcerto che nasce dalla paura e dal timore davanti a ciò che ci interroga e mette a rischio le nostre sicurezze e verità, i nostri modi di attaccarci al mondo e alla vita. E così Erode ebbe paura, e quella paura lo condusse a cercare sicurezza nel crimine: «Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde» (San Quodvultdeus, Sermo 2 sul simboloPL 40, 655). Uccidi i bambini nel corpo, perché a te la paura uccide il cuore.
Vogliamo adorare. Quegli uomini vennero dall’Oriente per adorare, e vennero a farlo nel luogo proprio di un re: il Palazzo. E questo è importante: lì essi giunsero con la loro ricerca: era il luogo idoneo, perché è proprio di un Re nascere in un palazzo, e avere la sua corte e i suoi sudditi. E’ segno di potere, di successo, di vita riuscita. E ci si può attendere che il re sia venerato, temuto e adulato, sì; ma non necessariamente amato. Questi sono gli schemi mondani, i piccoli idoli a cui rendiamo culto: il culto del potere, dell’apparenza e della superiorità. Idoli che promettono solo tristezza, schiavitù, paura.
E fu proprio lì dove incominciò il cammino più lungo che dovettero fare quegli uomini venuti da lontano. Lì cominciò l’audacia più difficile e complicata. Scoprire che ciò che cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale. Lì non vedevano la stella che li conduceva a scoprire un Dio che vuole essere amato, e ciò è possibile solamente sotto il segno della libertà e non della tirannia; scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona. Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce. Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo. Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati, gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia. Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!
Erode non può adorare perché non ha voluto né potuto cambiare il suo sguardo. Non ha voluto smettere di rendere culto a sé stesso credendo che tutto cominciava e finiva con lui. Non ha potuto adorare perché il suo scopo era che adorassero lui. Nemmeno i sacerdoti hanno potuto adorare perché sapevano molto, conoscevano le profezie, ma non erano disposti né a camminare né a cambiare.
I magi sentirono nostalgia, non volevano più le solite cose. Erano abituati, assuefatti e stanchi degli Erode del loro tempo. Ma lì, a Betlemme, c’era una promessa di novità, una promessa di gratuità. Lì stava accadendo qualcosa di nuovo. I magi poterono adorare perché ebbero il coraggio di camminare e prostrandosi davanti al piccolo, prostrandosi davanti al povero, prostrandosi davanti all’indifeso, prostrandosi davanti all’insolito e sconosciuto Bambino di Betlemme, lì scoprirono la Gloria di Dio.


Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

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