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venerdì 20 settembre 2024

Card. Van Thuan, per tredici anni rinchiuso in isolamento, ci spiega l’Eucarestia in tempi difficili

 

 

Card. Van Thuan, per tredici anni rinchiuso in isolamento, ci spiega l’Eucarestia in tempi difficili

In tempi gravosi di isolamento e di ristrettezze, ci fa molto bene rileggere gli scritti e la testimonianza di fede di un martire eroico dei nostri tempi: il Cardinale François Xavier Nguyen Van Thuan, vietnamita, che per tredici anni fu rinchiuso in un carcere di isolamento dal regime comunista a causa della sua fede cristiana. La sua vita in carcere equivale ad un vero e proprio assassinio, in odio alla fede. Eppure Van Thuan non ha mai mancato di portare testimonianza al Vangelo, nemmeno nelle situazioni più difficili.

Non potendo tenere con sè la Sacra Bibbia e tantomeno i Messali, (testi proibiti dalle autorità comuniste), il Cardinale riscrisse a memoria 300 frasi del Vangelo ed il breviario in piccoli fogli di carta essiccati; ogni giorno il Cardinale celebrava Messa con tre gocce di vino e una di acqua in una mano, e consacrava l’Eucarestia con il pane fatto in piccoli biscotti che riusciva anche, attraverso una ingegnosa rete, a far distribuire ai carcerati che nascondevano i pezzetti di Eucaristia nei pacchetti vuoti di sigarette… Il Cardinale conservava i frammenti consacrati residui in un suo pacchetto, che fungeva da tabernacolo, pisside, teca per la comunione ai malati e addirittura da ostensorio, davanti al quale gruppetti di detenuti si radunavano per l’adorazione. Grazie a quella Eucaristia, distribuita alla meno peggio in tempi di prigionia, furono numerosissime le conversioni dei prigionieri, che non avevano più speranza e che ritrovarono nel Sacramento la Presenza del Dio vivente.

 

Ciò non significa che dobbiamo abituarci alle ristrettezze, ma significa che NON DOBBIAMO PRIVARCI DELLA SANTISSIMA EUCARISTIA anche se vissuta in condizioni di emergenza, perchè con la Grazia del Santissimo Sacramento potremo lottare spiritualmente e con Lui uscire dal tunnel della prigionia della paura.

 

La vita del Cardinale Van Thuan fu una vita di mille croci, veniva da una famiglia di martiri. Quando i Viet Cong conquistarono la capitale Saigon perse lo zio (che era il presidente del Vietnam) e il cugino. La famiglia del Cardinal Van Thuan era dunque una famiglia di alto livello. E lui stesso parlava correntemente sette lingue, aveva una educazione superiore che aveva affinato a Roma, dove aveva studiato diritto canonico.

 

Fu imprigionato nel 1975, quando i Vietcong entrarono a Saigon. Di fatto scomparve, tanto che gli amici credettero che fosse morto. Ma in realtà, faceva apostolato, anche dietro le sbarre. Le autorità lo temono, perché parla di amore e perdono e rischia di “contaminare” le guardie; arrivano al punto di sostituire il picchetto ogni due settimane, ma alla fine devono arrendersi, perché quest’uomo, disarmato e impotente, con la sua sola presenza e con la sua testimonianza, risulta estremamente contagioso.

 

Il suo racconto fà comprendere, al di là delle disquisizioni meramente teologiche, la portata di ciò che accade nell’ Eucarestia e con l’Eucarestia e di come il Signore GESU’ voglia essere sempre Presente nel Pane spezzato e nel Vino, consacrati dal Sacerdote, anche se con accorgimenti dettati dalle necessità:

 

“Quando fui arrestato, non mi lasciarono niente in mano, ma mi permisero di scrivere a casa per richiedere vestiti o medicine. Io chiesi che mi inviassero del vino come medicina per lo stomaco. L’indomani, il direttore della prigione mi chiamò per domandarmi se soffrissi di mal di stomaco, se avessi bisogno di medicina e, alle mie risposte affermative, mi diede un piccolo flacone di vino con l’etichetta: “medicina contro il male di stomaco”. Quello fu uno dei giorni più belli della mia vita! Così, ho potuto celebrare ogni giorno la Messa con tre gocce di vino e una goccia di acqua nel palmo della mano e con un po’ di ostia che mi davano contro l’umidità e che conservavo per la celebrazione. Poi, quando ero con altre persone di fede cattolica, venivo rifornito di vino e di pane dai familiari che andavano a trovarli. Sia pure in modi diversi, ho potuto celebrare quasi sempre la Messa, da solo o con altri. Lo facevo dopo le 21,30, perché a quell’ora non c’era più luce e potevo organizzarmi affinché sei cattolici fossero insieme. Tutto il gruppo dormiva su un letto comune, testa contro testa, piedi fuori, venticinque per parte. Ognuno aveva a disposizione cinquanta centimetri, eravamo come sardine…

 

Quando celebravo e davo la comunione, sciacquavamo la carta dei pacchetti di sigarette dei prigionieri e, con il riso, la incollavamo per farne un sacchetto dove mettervi il Santissimo.

 

Ogni venerdì, era prevista una sessione di indottrinamento sul marxismo e tutti i prigionieri dovevano parteciparvi. Seguiva, poi, una breve pausa durante la quale i cinque cattolici portavano il Santissimo ad altri gruppi. Anch’io lo portavo in un sacchettino nella mia tasca e la Presenza di Gesù mi aiutava ad essere coraggioso, generoso, gentile e a testimoniare la fede e l’amore agli altri.

 

La Presenza di Gesù operava meraviglie perché anche tra i cattolici alcuni erano meno fervidi, meno praticanti… Vi erano ministri, colonnelli, generali e, in prigione, ciascuno ogni sera faceva un’ora santa, un’ora di adorazione e di preghiera a Gesù nell’Eucaristia. Così, nella solitudine, nella fame, una fame terribile, era possibile sopravvivere. In tale modo siamo stati testimoni nella prigione. Il seme era andato sotto terra. Come germoglierebbe? Non lo sapevamo. Ma piano, piano, uno dopo l’altro, i buddisti, quelli di altre religioni che sono talvolta fondamentalisti, e molto ostili ai cattolici, esprimevano il desiderio di diventare cattolici. Allora, insieme, nei momenti liberi, si faceva catechismo e ho battezzato e sono diventato padrino.

 

La Presenza dell’Eucaristia ha cambiato la prigione, la prigione che è luogo di vendetta, di tristezza, di odio era diventata luogo di amicizia, di riconciliazione e scuola di catechismo. Il Governo, senza saperlo, aveva preparato una scuola di catechismo!

 

La Presenza dell’Eucaristia è fortissima, la Presenza di Gesù è irresistibile. L’ho visto io stesso e tutti i miei compagni di prigione lo hanno constatato”.

 

François Xavier Van Thuân nacque a Phủ Cam in Vietnam, il 17 aprile 1928, da una famiglia cattolica. Entrato adolescente in Seminario, venne ordinato sacerdote nel 1953 e proseguì gli studi a Roma. Una volta tornato in patria, divenne docente in Seminario, poi vicario generale della diocesi di Huê e, nel 1967, vescovo titolare della diocesi di Nha Trang. Il 15 agosto 1975, poco dopo essere stato nominato da papa Paolo VI arcivescovo coadiutore di Saigon, venne convocato con un pretesto dalle autorità comuniste e accusato di essere una spia al servizio del Vaticano e delle potenze straniere. Iniziò cosi il suo travagliato percorso, durato tredici anni, tra domicili coatti, celle d’isolamento, campi di prigionia e torture di ogni sorta, costantemente illuminato da un’incrollabile speranza. Il 21 novembre 1988 venne finalmente liberato: espulso dal Paese, riparò a Roma, dove papa Giovanni Paolo II lo nominò Presidente della Commissione Giustizia e Pace della Santa Sede. Fu voluto dallo stesso Pontefice come predicatore degli Esercizi spirituali per la Curia Romana nella Quaresima del 2000 e venne creato cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001. Proprio mentre si preparava alla cerimonia, ricevette gli esiti di alcuni esami: aveva un cancro molto raro, che lo portò alla morte il 16 settembre 2002. La sua causa di beatificazione, ottenuto il nulla osta l’8 marzo 2010, si è svolta nel Vicariato di Roma dal 22 ottobre 2010 al 5 luglio 2013 ed è stata convalidata il 22 novembre dello stesso anno. Il 4 maggio 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui è stato dichiarato Venerabile. I suoi resti mortali riposano dall’8 giugno 2012 nella chiesa di Santa Maria della Scala a Roma.

Il cardinale Van Thuan: uomo di speranza, testimone della Croce

Manca solo il miracolo per la beatificazione del porporato vietnamita, scomparso il 16 settembre 2002 a Roma, mentre era presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, dopo 13 anni nelle carceri comuniste del suo Paese. Il postulatore: “Ha evangelizzato anche in prigione, aveva uno sguardo d’amore verso chiunque gli stesse accanto”. Il cardinale è stato ricordato questa mattina con una Messa alle 9.30, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Un uomo che anche dalla Croce e dalla solitudine del carcere “ha sempre saputo trasmettere speranza al fratello” e sapeva che anche lì il Signore “lo chiamava ad essere testimone della fede”, così “ha evangelizzato, ha fatto amicizia, ha cantato, ha insegnato, ha cercato sempre di essere fedele alla chiamata ad essere sacerdote”. Così descrive il cardinale Francois-Xavier Nguyen Van Thuan, scomparso il 16 settembre di 18 anni fa, il postulatore della causa di beatificazione Waldery Hilgeman.

 

16/09/2020

Crepaldi: il cardinale Van Thuan, "una grande storia cristiana"

Tredici anni in carcere, senza un giudizio

Il cardinale vietnamita, morto a 74 anni a Roma, quando era da 4 presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, ha passato 13 anni della sua vita nelle carceri del regime comunista, dal 1975 al 1988. Dopo essere stato per otto anni vescovo di Nhatrang, nel Vietnam centrale, il 23 aprile 1975, pochi giorni prima della caduta di Saigon, allora capitale del Vietnam del Sud, Paolo VI lo promuove arcivescovo coadiutore della stessa Saigon. Conclusa vittoriosamente la guerra, i comunisti del Vietnam del Nord, entrando a Saigon, dichiarano la nomina di Van Thuan “frutto di un complotto tra i Vaticano e gli imperialisti, per organizzare la lotta contro il regime comunista”, racconterà lo stesso arcivescovo nel libro “Cinque pani e due pesci”. E tre mesi dopo, il 15 agosto, lo arrestano.

 

Francois-Xavier Nguyen Van Thuan giovane vescovo di Nhatrang

L' amore verso i suoi persecutori, la messa dietro le sbarre

In prigione, realizza, con l’aiuto dei suoi carcerieri, la croce pettorale che porterà fino alla morte, simbolo dell’amicizia nata con loro: dei pezzetti di legno e una catenella di ferro. Appena arrestato, si fa mandare, con vestiti e dentifricio, una bottiglietta di vino per la messa con l’etichetta “medicina per lo stomaco” e alcune ostie nascoste in una fiaccola per l’umidità. In un’intervista del 2000, dopo aver predicato gli esercizi spirituali a san Giovanni Paolo II e alla curia, ci raccontò così un dialogo coi i suoi carcerieri. “Loro mi domandano spesso: ‘Lei ci ama?’. Io rispondo ‘Io vi amo’. ‘Ma siamo suoi nemici, l’abbiamo messa in prigione, per più di 10 anni, e senza giudizio, e lei ci ama?’, ‘Io vi amo’. ‘Ma perché?’. ‘Perché Gesù me lo ha insegnato, e se io, come cristiano, non vi amo, non sono degno di portare il nome di cristiano’. E loro mi hanno detto: ‘E’ molto bello, ma è molto difficile da capire’. Ma questa è la risposta: l’amore cristiano può vincere tutto”.

 

L'arcivescovo Van Thuan in carcere, mentre scrive uno dei suoi primi libri

Celebrazione il 18 settembre a Santa Maria in Trastevere

Il cardinale Van Thuan, dichiarato venerabile da Papa Francesco il 4 maggio 2017, dopo che la fase diocesana della causa di beatificazione si era chiusa nel luglio 2013, è stato ricordato questa mattina alle 9.30, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, in una celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, mentre a pronunciare l’omelia è stato il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Ad animare la Messa il coro della Comunità vietnamita di Roma.

 

Con san Giovanni Paolo II, che lo nominò presidente del Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace"

Hilgeman: un uomo felice, uno sguardo d'amore verso tutti

Abbiamo chiesto al postulatore della causa, l'avvocato Waldery Hilgeman, di parlarci del porporato vietnamita, della sua testimonianza, e dello stato della causa di beatificazione.

R. – Il cardinale Van Thuan era un uomo solare, una persona felice, realizzata e contenta della sua vocazione. Una persona sempre disponibile, nella semplicità, ad avere uno sguardo verso chiunque gli stesse accanto.

Forgiato dalla prova del carcere, è diventato testimone di speranza…

R. – La speranza è una delle virtù che più si addice al cardinale Van Thuan. È un termine ricorrente nei suoi scritti e nei suoi discorsi, e certamente la speranza per lui nasce da un profondo amore verso la Croce. Non puoi esserci speranza per un cristiano se non ancorata Cristo, appunto la Croce.

Lo scatto Van Thuan lo fa in carcere, quando decide di non vivere aspettando la fine della detenzione, ma di vivere il presente…

R. Fin dall’infanzia, Van Thuan è stato educato alla speranza cristiana. Certamente col passare degli anni e la crescita, prende una consapevolezza diversa, una maturità diversa. E’ evidente che nel periodo che lui ha trascorso in carcere, nella solitudine, è arrivato ad un colloquio più profondo con Dio e quindi ad una maturazione diversa.

 

Il cardinale Van Thuan il giorno nel quale ricevette la berretta cardinalizia

Oggi qual è la testimonianza che porta il cardinale con la sua vita, e il col quale ha affrontato le sofferenze?

R. – Se penso all’esperienza che tutti abbiamo vissuto recentemente per via del coronavirus, penso che il cardinale Van Thuan abbia tanto da darci. Penso a Papa Francesco lì, in quella piazza vuota, con quel crocifisso sotto la pioggia… Van Thuan è una persona che dalla Croce, dalla solitudine, ha sempre saputo trasmettere la speranza al fratello. Lui stesso disse che non dobbiamo avere solo ed esclusivamente nella fede ma dobbiamo avere speranza anche nelle altre persone, nel senso che queste persone possono essere convertite da Dio e così cambiare il cuore e cambiare in bene. In un certo qual modo questo si allaccia anche al tema centrale del magistero di Papa Francesco, che nell’enciclica “Laudato si’” sulla cura della casa comune, ci invita un'ecologia integrale. Siamo tutti interconnessi, quindi noi fratelli non possiamo vivere senza l'altro. E Van Thuan era convinto di questo: per lui la speranza era anche il fratello, era essere trasmettere la fede al fratello, era essere con il fratello.

Fratelli erano anche i suoi carcerieri, ai quali diceva: “Vi amo perché Gesù me lo ha insegnato”. E così li ha convertiti…

R.- Van Thuan amava tutti. Non faceva distinzione tra persecutori e amici: erano tutti i figli di Dio che era chiamato ad amare. E l'ha fatto senza esitazione.

 

Il cardinale Van Thuan mostra la croce pettorale realizzata in prigione, con l'aiuto di alcuni carcerieri

Era quindi un uomo, mite, attento all’altro, riflessivo. Però prima di finire in carcere, come vescovo, chi lo conosceva lo descriveva come una persona molto dinamica…

R.- Lo era. In qualsiasi posto nel quale si trovava, era lì che Dio lo chiamava per essere testimone della fede, per essere apostolo, quindi non ha potuto smettere di esserlo neanche nelle condizioni di massima limitazione della sua libertà come appunto il contesto della prigione. Anche lì, lui continuò la sua opera di sacerdote e di vescovo. Ha evangelizzato, ha fatto amicizia, ha cantato, ha insegnato, ha cercato sempre di essere fedele alla chiamata che aveva ricevuto da Dio ad essere sacerdote.

Davanti a tutte queste evidenze, che cosa manca per poterlo chiamare beato?

R. – Mancherebbe un miracolo. Noi riceviamo presso l'ufficio della postulazione diverse segnalazioni, che vengono tutte prese in considerazione, approfondite e passate anche ad esperti per pareri tecnici. Quindi tecnicamente mancherebbe il miracolo così come richiesto dalla Chiesa con le sue specifiche caratteristiche.

C’è stato un caso a Buenos Aires...

R. – I casi sono tanti, vanno da un continente all'altro. Purtroppo ad oggi non sono ancora stati segnalati casi che rispettino i criteri richiesti dalla Chiesa per essere riconosciuti come miracoli. Ma certamente sono segni che il cardinale intercede per i nostri bisogni. 

Ultimo aggiornamento ore 10.00 del 18.09.2020

François-Xavier Nguyên Van Thuán

Come scriveva una volta un filosofo, i pensieri si pagano con il coraggio. E con cosa si paga la libertà? Talvolta, purtroppo, la libertà – di scegliere il proprio futuro, di decidere da che parte stare o per chi offrire la propria vita – si paga con la perdita della libertà stessa: emarginazione, solitudine, sofferenza, perfino con il carcere. Ed è proprio la prigione il luogo della storia che ti voglio raccontare, una storia di libertà malgrado tutto. Siamo a Saigon, in Vietnam, nel 1975. Un uomo, in mezzo a due poliziotti, viene trasportato in macchina dalla città fino a Nha Trang, a quattrocentocinquanta chilometri di distanza. Viene trattato come un oppositore politico dal regime comunista. Ancora non può sapere che cosa lo attende: sarà detenuto per 13 anni, 9 dei quali in isolamento.

Chi è quest’uomo, da solo nella sua cella? Un pericoloso criminale? Un terrorista? No, un sacerdote cattolico, François-Xavier Nguyên Van Thuán. Nato nel 1928 da una famiglia cattolica vietnamita,François-Xavier avverte la chiamata al sacerdozio ed entra in seminario durante l’adolescenza. Nel 1953 viene ordinato sacerdote e trascorre un periodo di studio a Roma. Una volta tornato in patria, svolge diversi incarichi e infine viene ordinato vescovo di Nha Trang nel 1967. Nell’agosto del 1975 papa Paolo VI lo nomina arcivescovo coadiutore di Saigon ma qualcosa sta per deviare bruscamente il corso della sua vita. Convocato dalle autorità comuniste, l’arcivescovo Van Thuán viene accusato di essere una spia del Vaticano. Accusa pretenziosa e anacronistica, dettata solo dalla sua condizione di vescovo cattolico. In una delle numerose pagine che scriverà dalla prigionia, Van Thuán rievoca la tristezza, la paura, la tensione e l’umiliazione per l’ingiusta carcerazione, dovuta solamente alla sua fedeltà alla Chiesa e al libero esercizio della sua funzione di pastore.

Il carcere è una delle esperienze più dure che un essere umano possa affrontare: la privazione della libertà tocca la profondità della persona. A maggior ragione, la reclusione per motivi ingiusti, per odio ideologico, può condurre la vittima a uno stato di disperazione e angoscia irresistibili. Anche Van Thuán sperimenta lo sconforto dovuto alla sua ingiusta detenzione e cerca una strada per affrontare il tempo, lungo e indefinito, in cui non potrà godere della sua libertà. Ma durante la prigionia, sorretto solamente dalla fede in quel Dio per cui, pur di non rinnegarlo, ha accettato di soffrire, Van Thuán matura una precisa consapevolezza:

Sono in prigione, se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte nella vita mi si presenteranno simili occasioni? No, afferro le occasioni che si presentano ogni giorno,
per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario
 

Privato della libertà di movimento e di azione, cioè di una libertà “esteriore”, Van Thuan scopre intatta dentro di sé una libertà interiore che lo porta a «vivere il momento presente, colmandolo di amore». Ispirandosi alla figura di san Paolo, anche lui prigioniero in carcere, Van Thuán decide di fare l’unica cosa che ancora gli è consentita: scrivere al suo popolo. Nascono così alcuni libri profondamente toccanti, testimonianza di un amore appassionato per la vita, per la libertà e per la propria fede. Riesce a celebrare la santa Messa di nascosto, in condizioni estreme. Può consacrare una briciola di pane e poche gocce di vino tenute nel palmo della mano, che diventa il suo calice, recitando le preghiere liturgiche a memoria. Fa amicizia con i suoi carcerieri e parla loro di Dio, al punto che le autorità carcerarie si vedono costrette a cambiare spesso le guardie incaricate della sua custodia. Van Thuán ha compreso che nella vita che gli è dato vivere può essere libero, anche se obbligato da altri all’immobilità e alla reclusione.

 

Cambierà più volte prigione, passando da un luogo a un altro. Infine nel 1988 viene scarcerato. Ecco come racconta questo evento:

Un giorno di pioggia, mentre sto preparando il mio pranzo, sento squillare il telefono delle guardie. «Forse questa telefonata è per me! È vero, oggi è il 21 novembre, festa della Presentazione di Maria al Tempio! ».
Cinque minuti dopo, arriva la mia guardia: - Signor Thuán, lei ha mangiato?
- Non ancora, sto preparando.
- Dopo mangiato, si vesta bene e vada a vedere il capo.
- Chi è il capo?
- Non lo so, ma mi hanno detto di avvisarla. Buona fortuna!
Un'automobile mi ha condotto in un palazzo, dove ho incontrato il Ministro dell'Interno, cioè della Polizia. Dopo i saluti di cortesia, mi ha domandato:
- Lei ha un desiderio da esprimere?
- Sì, voglio la libertà.
- Quando?
- Oggi.
E rimasto molto sorpreso. Spiego:
- Eccellenza, sono stato in prigione abbastanza a lungo; sotto tre pontificati, quello di Paolo VI, di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. E inoltre, sotto quattro Segretari generali del Partito comunista sovietico: Breznev, Andropov, Cernenko, Gorbaciov!
Lui si mette a ridere, e fa segno con la testa: - E vero, è vero!
E voltandosi verso il suo segretario, dice: - Fate il necessario per esaudire il suo desiderio.
Di solito, i capi hanno bisogno di tempo per sbrigare almeno le formalità. Ma in quel momento ho pensato:
- Oggi è la festa della Madonna, la Presentazione. Maria mi libera. Grazie a te, Maria
.

Una volta rilasciato, Van Thuán torna a Roma e nel 1998 viene nominato Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, promosso nella Santa Sede da papa Giovanni Paolo II. Lo stesso pontefice lo nominerà cardinale nel 2001. Morirà l’anno successivo, all’età di 74 anni. Testimone coraggioso della fedeltà alle proprie idee, Van Thuán è riuscito a vivere da uomo libero anche nell’oscurità di una cella, pur senza sapere per quanto tempo sarebbe rimasto in prigione. Leggiamo ancora dai suoi scritti:

La linea retta è fatta di milioni di piccoli punti uniti uno all'altro. Anche la mia vita è fatta di milioni di secondi e di minuti uniti uno all'altro. Dispongo perfettamente ogni singolo punto e la linea sarà retta. Vivo con perfezione ogni minuto e la vita sarà santa. Il cammino della speranza è lastricato di piccoli passi di speranza. Una vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza.

 

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

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