Card. Van Thuan, per tredici
anni rinchiuso in isolamento, ci spiega l’Eucarestia in tempi difficili
In tempi gravosi di isolamento e di ristrettezze, ci
fa molto bene rileggere gli scritti e la testimonianza di fede di un martire
eroico dei nostri tempi: il Cardinale François Xavier Nguyen Van Thuan,
vietnamita, che per tredici anni fu rinchiuso in un carcere di isolamento dal
regime comunista a causa della sua fede cristiana. La sua vita in carcere
equivale ad un vero e proprio assassinio, in odio alla fede. Eppure Van Thuan
non ha mai mancato di portare testimonianza al Vangelo, nemmeno nelle situazioni
più difficili.
Non potendo tenere con sè la Sacra Bibbia e tantomeno
i Messali, (testi proibiti dalle autorità comuniste), il Cardinale riscrisse a
memoria 300 frasi del Vangelo ed il breviario in piccoli fogli di carta
essiccati; ogni giorno il Cardinale celebrava Messa con tre gocce di vino e una
di acqua in una mano, e consacrava l’Eucarestia con il pane fatto in piccoli
biscotti che riusciva anche, attraverso una ingegnosa rete, a far distribuire
ai carcerati che nascondevano i pezzetti di Eucaristia nei pacchetti vuoti di
sigarette… Il Cardinale conservava i frammenti consacrati residui in un suo
pacchetto, che fungeva da tabernacolo, pisside, teca per la comunione ai malati
e addirittura da ostensorio, davanti al quale gruppetti di detenuti si radunavano
per l’adorazione. Grazie a quella Eucaristia, distribuita alla meno peggio in
tempi di prigionia, furono numerosissime le conversioni dei prigionieri, che
non avevano più speranza e che ritrovarono nel Sacramento la Presenza del Dio
vivente.
Ciò non significa che dobbiamo abituarci alle
ristrettezze, ma significa che NON DOBBIAMO PRIVARCI DELLA SANTISSIMA
EUCARISTIA anche se vissuta in condizioni di emergenza, perchè con la Grazia
del Santissimo Sacramento potremo lottare spiritualmente e con Lui uscire dal
tunnel della prigionia della paura.
La vita del Cardinale Van Thuan fu una vita di mille
croci, veniva da una famiglia di martiri. Quando i Viet Cong conquistarono la
capitale Saigon perse lo zio (che era il presidente del Vietnam) e il cugino.
La famiglia del Cardinal Van Thuan era dunque una famiglia di alto livello. E
lui stesso parlava correntemente sette lingue, aveva una educazione superiore
che aveva affinato a Roma, dove aveva studiato diritto canonico.
Fu imprigionato nel 1975, quando i Vietcong entrarono
a Saigon. Di fatto scomparve, tanto che gli amici credettero che fosse morto.
Ma in realtà, faceva apostolato, anche dietro le sbarre. Le autorità lo temono,
perché parla di amore e perdono e rischia di “contaminare” le guardie; arrivano
al punto di sostituire il picchetto ogni due settimane, ma alla fine devono
arrendersi, perché quest’uomo, disarmato e impotente, con la sua sola presenza
e con la sua testimonianza, risulta estremamente contagioso.
Il suo racconto fà comprendere, al di là delle
disquisizioni meramente teologiche, la portata di ciò che accade nell’
Eucarestia e con l’Eucarestia e di come il Signore GESU’ voglia essere sempre
Presente nel Pane spezzato e nel Vino, consacrati dal Sacerdote, anche se con
accorgimenti dettati dalle necessità:
“Quando fui arrestato, non mi lasciarono niente in
mano, ma mi permisero di scrivere a casa per richiedere vestiti o medicine. Io
chiesi che mi inviassero del vino come medicina per lo stomaco. L’indomani, il
direttore della prigione mi chiamò per domandarmi se soffrissi di mal di
stomaco, se avessi bisogno di medicina e, alle mie risposte affermative, mi
diede un piccolo flacone di vino con l’etichetta: “medicina contro il male di
stomaco”. Quello fu uno dei giorni più belli della mia vita! Così, ho potuto
celebrare ogni giorno la Messa con tre gocce di vino e una goccia di acqua nel
palmo della mano e con un po’ di ostia che mi davano contro l’umidità e che
conservavo per la celebrazione. Poi, quando ero con altre persone di fede cattolica,
venivo rifornito di vino e di pane dai familiari che andavano a trovarli. Sia
pure in modi diversi, ho potuto celebrare quasi sempre la Messa, da solo o con
altri. Lo facevo dopo le 21,30, perché a quell’ora non c’era più luce e potevo
organizzarmi affinché sei cattolici fossero insieme. Tutto il gruppo dormiva su
un letto comune, testa contro testa, piedi fuori, venticinque per parte. Ognuno
aveva a disposizione cinquanta centimetri, eravamo come sardine…
Quando celebravo e davo la comunione, sciacquavamo la
carta dei pacchetti di sigarette dei prigionieri e, con il riso, la incollavamo
per farne un sacchetto dove mettervi il Santissimo.
Ogni venerdì, era prevista una sessione di
indottrinamento sul marxismo e tutti i prigionieri dovevano parteciparvi.
Seguiva, poi, una breve pausa durante la quale i cinque cattolici portavano il
Santissimo ad altri gruppi. Anch’io lo portavo in un sacchettino nella mia
tasca e la Presenza di Gesù mi aiutava ad essere coraggioso, generoso, gentile
e a testimoniare la fede e l’amore agli altri.
La Presenza di Gesù operava meraviglie perché anche
tra i cattolici alcuni erano meno fervidi, meno praticanti… Vi erano ministri,
colonnelli, generali e, in prigione, ciascuno ogni sera faceva un’ora santa,
un’ora di adorazione e di preghiera a Gesù nell’Eucaristia. Così, nella
solitudine, nella fame, una fame terribile, era possibile sopravvivere. In tale
modo siamo stati testimoni nella prigione. Il seme era andato sotto terra. Come
germoglierebbe? Non lo sapevamo. Ma piano, piano, uno dopo l’altro, i buddisti,
quelli di altre religioni che sono talvolta fondamentalisti, e molto ostili ai
cattolici, esprimevano il desiderio di diventare cattolici. Allora, insieme,
nei momenti liberi, si faceva catechismo e ho battezzato e sono diventato
padrino.
La Presenza dell’Eucaristia ha cambiato la prigione,
la prigione che è luogo di vendetta, di tristezza, di odio era diventata luogo
di amicizia, di riconciliazione e scuola di catechismo. Il Governo, senza
saperlo, aveva preparato una scuola di catechismo!
La Presenza dell’Eucaristia è fortissima, la Presenza
di Gesù è irresistibile. L’ho visto io stesso e tutti i miei compagni di
prigione lo hanno constatato”.
François Xavier Van Thuân nacque a Phủ Cam in Vietnam,
il 17 aprile 1928, da una famiglia cattolica. Entrato adolescente in Seminario,
venne ordinato sacerdote nel 1953 e proseguì gli studi a Roma. Una volta
tornato in patria, divenne docente in Seminario, poi vicario generale della
diocesi di Huê e, nel 1967, vescovo titolare della diocesi di Nha Trang. Il 15
agosto 1975, poco dopo essere stato nominato da papa Paolo VI arcivescovo
coadiutore di Saigon, venne convocato con un pretesto dalle autorità comuniste
e accusato di essere una spia al servizio del Vaticano e delle potenze
straniere. Iniziò cosi il suo travagliato percorso, durato tredici anni, tra
domicili coatti, celle d’isolamento, campi di prigionia e torture di ogni
sorta, costantemente illuminato da un’incrollabile speranza. Il 21 novembre
1988 venne finalmente liberato: espulso dal Paese, riparò a Roma, dove papa
Giovanni Paolo II lo nominò Presidente della Commissione Giustizia e Pace della
Santa Sede. Fu voluto dallo stesso Pontefice come predicatore degli Esercizi
spirituali per la Curia Romana nella Quaresima del 2000 e venne creato
cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001. Proprio mentre si preparava alla
cerimonia, ricevette gli esiti di alcuni esami: aveva un cancro molto raro, che
lo portò alla morte il 16 settembre 2002. La sua causa di beatificazione,
ottenuto il nulla osta l’8 marzo 2010, si è svolta nel Vicariato di Roma dal 22
ottobre 2010 al 5 luglio 2013 ed è stata convalidata il 22 novembre dello
stesso anno. Il 4 maggio 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione
del decreto con cui è stato dichiarato Venerabile. I suoi resti mortali
riposano dall’8 giugno 2012 nella chiesa di Santa Maria della Scala a Roma.
Il cardinale Van Thuan: uomo di speranza, testimone della Croce
Manca solo il miracolo per la
beatificazione del porporato vietnamita, scomparso il 16 settembre 2002 a Roma,
mentre era presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, dopo 13 anni
nelle carceri comuniste del suo Paese. Il postulatore: “Ha evangelizzato anche
in prigione, aveva uno sguardo d’amore verso chiunque gli stesse accanto”. Il
cardinale è stato ricordato questa mattina con una Messa alle 9.30, nella
Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma
Alessandro Di
Bussolo – Città del Vaticano
Un uomo che anche
dalla Croce e dalla solitudine del carcere “ha sempre saputo trasmettere
speranza al fratello” e sapeva che anche lì il Signore “lo chiamava ad essere
testimone della fede”, così “ha evangelizzato, ha fatto amicizia, ha cantato,
ha insegnato, ha cercato sempre di essere fedele alla chiamata ad essere
sacerdote”. Così descrive il cardinale Francois-Xavier Nguyen Van Thuan,
scomparso il 16 settembre di 18 anni fa, il postulatore della causa di
beatificazione Waldery Hilgeman.
16/09/2020
Crepaldi: il cardinale Van Thuan, "una grande storia cristiana"
Tredici anni in
carcere, senza un giudizio
Il cardinale
vietnamita, morto a 74 anni a Roma, quando era da 4 presidente del Pontificio
Consiglio “Giustizia e Pace”, ha passato 13 anni della sua vita nelle carceri
del regime comunista, dal 1975 al 1988. Dopo essere stato per otto anni vescovo
di Nhatrang, nel Vietnam centrale, il 23 aprile 1975, pochi giorni prima della
caduta di Saigon, allora capitale del Vietnam del Sud, Paolo VI lo promuove
arcivescovo coadiutore della stessa Saigon. Conclusa vittoriosamente la guerra,
i comunisti del Vietnam del Nord, entrando a Saigon, dichiarano la nomina di
Van Thuan “frutto di un complotto tra i Vaticano e gli imperialisti, per
organizzare la lotta contro il regime comunista”, racconterà lo stesso
arcivescovo nel libro “Cinque pani e due pesci”. E tre mesi dopo, il 15 agosto,
lo arrestano.
Francois-Xavier
Nguyen Van Thuan giovane vescovo di Nhatrang
L' amore verso i
suoi persecutori, la messa dietro le sbarre
In prigione,
realizza, con l’aiuto dei suoi carcerieri, la croce pettorale che porterà fino
alla morte, simbolo dell’amicizia nata con loro: dei pezzetti di legno e una
catenella di ferro. Appena arrestato, si fa mandare, con vestiti e dentifricio,
una bottiglietta di vino per la messa con l’etichetta “medicina per lo stomaco”
e alcune ostie nascoste in una fiaccola per l’umidità. In un’intervista del
2000, dopo aver predicato gli esercizi spirituali a san Giovanni Paolo II e
alla curia, ci raccontò così un dialogo coi i suoi carcerieri. “Loro mi
domandano spesso: ‘Lei ci ama?’. Io rispondo ‘Io vi amo’. ‘Ma siamo suoi
nemici, l’abbiamo messa in prigione, per più di 10 anni, e senza giudizio, e
lei ci ama?’, ‘Io vi amo’. ‘Ma perché?’. ‘Perché Gesù me lo ha insegnato, e se
io, come cristiano, non vi amo, non sono degno di portare il nome di
cristiano’. E loro mi hanno detto: ‘E’ molto bello, ma è molto difficile da
capire’. Ma questa è la risposta: l’amore cristiano può vincere tutto”.
L'arcivescovo
Van Thuan in carcere, mentre scrive uno dei suoi primi libri
Celebrazione il 18
settembre a Santa Maria in Trastevere
Il cardinale Van
Thuan, dichiarato venerabile da Papa Francesco il 4 maggio 2017, dopo che la
fase diocesana della causa di beatificazione si era chiusa nel luglio 2013, è
stato ricordato questa mattina alle 9.30, nella Basilica di Santa Maria in
Trastevere, in una celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Kevin
Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, mentre a
pronunciare l’omelia è stato il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero
per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Ad animare la Messa il coro
della Comunità vietnamita di Roma.
Con san
Giovanni Paolo II, che lo nominò presidente del Pontificio Consiglio
"Giustizia e Pace"
Hilgeman: un uomo
felice, uno sguardo d'amore verso tutti
Abbiamo chiesto al
postulatore della causa, l'avvocato Waldery Hilgeman, di parlarci
del porporato vietnamita, della sua testimonianza, e dello stato della causa di
beatificazione.
R. – Il cardinale
Van Thuan era un uomo solare, una persona felice, realizzata e contenta della
sua vocazione. Una persona sempre disponibile, nella semplicità, ad avere uno
sguardo verso chiunque gli stesse accanto.
Forgiato dalla
prova del carcere, è diventato testimone di speranza…
R. – La speranza è
una delle virtù che più si addice al cardinale Van Thuan. È un termine
ricorrente nei suoi scritti e nei suoi discorsi, e certamente la speranza per
lui nasce da un profondo amore verso la Croce. Non puoi esserci speranza per un
cristiano se non ancorata Cristo, appunto la Croce.
Lo scatto Van Thuan
lo fa in carcere, quando decide di non vivere aspettando la fine della
detenzione, ma di vivere il presente…
R. Fin
dall’infanzia, Van Thuan è stato educato alla speranza cristiana. Certamente
col passare degli anni e la crescita, prende una consapevolezza diversa, una
maturità diversa. E’ evidente che nel periodo che lui ha trascorso in carcere,
nella solitudine, è arrivato ad un colloquio più profondo con Dio e quindi ad
una maturazione diversa.
Il
cardinale Van Thuan il giorno nel quale ricevette la berretta cardinalizia
Oggi qual è la
testimonianza che porta il cardinale con la sua vita, e il col quale ha
affrontato le sofferenze?
R. – Se penso all’esperienza
che tutti abbiamo vissuto recentemente per via del coronavirus, penso che il
cardinale Van Thuan abbia tanto da darci. Penso a Papa Francesco lì, in quella
piazza vuota, con quel crocifisso sotto la pioggia… Van Thuan è una persona che
dalla Croce, dalla solitudine, ha sempre saputo trasmettere la speranza al
fratello. Lui stesso disse che non dobbiamo avere solo ed esclusivamente nella
fede ma dobbiamo avere speranza anche nelle altre persone, nel senso che queste
persone possono essere convertite da Dio e così cambiare il cuore e cambiare in
bene. In un certo qual modo questo si allaccia anche al tema centrale del
magistero di Papa Francesco, che nell’enciclica “Laudato si’” sulla cura della
casa comune, ci invita un'ecologia integrale. Siamo tutti interconnessi, quindi
noi fratelli non possiamo vivere senza l'altro. E Van Thuan era convinto di
questo: per lui la speranza era anche il fratello, era essere trasmettere la
fede al fratello, era essere con il fratello.
Fratelli erano
anche i suoi carcerieri, ai quali diceva: “Vi amo perché Gesù me lo ha
insegnato”. E così li ha convertiti…
R.- Van Thuan amava
tutti. Non faceva distinzione tra persecutori e amici: erano tutti i figli di
Dio che era chiamato ad amare. E l'ha fatto senza esitazione.
Il
cardinale Van Thuan mostra la croce pettorale realizzata in prigione, con
l'aiuto di alcuni carcerieri
Era quindi un uomo,
mite, attento all’altro, riflessivo. Però prima di finire in carcere, come
vescovo, chi lo conosceva lo descriveva come una persona molto dinamica…
R.- Lo era. In
qualsiasi posto nel quale si trovava, era lì che Dio lo chiamava per essere
testimone della fede, per essere apostolo, quindi non ha potuto smettere di
esserlo neanche nelle condizioni di massima limitazione della sua libertà come
appunto il contesto della prigione. Anche lì, lui continuò la sua opera di
sacerdote e di vescovo. Ha evangelizzato, ha fatto amicizia, ha cantato, ha
insegnato, ha cercato sempre di essere fedele alla chiamata che aveva ricevuto
da Dio ad essere sacerdote.
Davanti a tutte
queste evidenze, che cosa manca per poterlo chiamare beato?
R. – Mancherebbe un
miracolo. Noi riceviamo presso l'ufficio della postulazione diverse
segnalazioni, che vengono tutte prese in considerazione, approfondite e passate
anche ad esperti per pareri tecnici. Quindi tecnicamente mancherebbe il
miracolo così come richiesto dalla Chiesa con le sue specifiche
caratteristiche.
C’è stato un caso a
Buenos Aires...
R. – I casi sono
tanti, vanno da un continente all'altro. Purtroppo ad oggi non sono ancora
stati segnalati casi che rispettino i criteri richiesti dalla Chiesa per essere
riconosciuti come miracoli. Ma certamente sono segni che il cardinale intercede
per i nostri bisogni.
Ultimo aggiornamento ore 10.00
del 18.09.2020
François-Xavier Nguyên Van
Thuán
Come scriveva una
volta un filosofo, i pensieri si pagano con il coraggio. E con cosa si paga la
libertà? Talvolta, purtroppo, la libertà – di scegliere il proprio futuro, di
decidere da che parte stare o per chi offrire la propria vita – si paga con la perdita
della libertà stessa: emarginazione, solitudine, sofferenza, perfino con il
carcere. Ed è proprio la prigione il luogo della storia che ti voglio
raccontare, una storia di libertà malgrado tutto. Siamo a Saigon, in Vietnam,
nel 1975. Un uomo, in mezzo a due poliziotti, viene trasportato in macchina
dalla città fino a Nha Trang, a quattrocentocinquanta chilometri di distanza.
Viene trattato come un oppositore politico dal regime comunista. Ancora non può
sapere che cosa lo attende: sarà detenuto per 13 anni, 9 dei quali in
isolamento.
Chi è quest’uomo,
da solo nella sua cella? Un pericoloso criminale? Un terrorista? No, un
sacerdote cattolico, François-Xavier Nguyên Van Thuán. Nato nel 1928 da una
famiglia cattolica vietnamita,François-Xavier avverte la chiamata al sacerdozio
ed entra in seminario durante l’adolescenza. Nel 1953 viene ordinato sacerdote
e trascorre un periodo di studio a Roma. Una volta tornato in patria, svolge
diversi incarichi e infine viene ordinato vescovo di Nha Trang nel 1967. Nell’agosto
del 1975 papa Paolo VI lo nomina arcivescovo coadiutore di Saigon ma qualcosa
sta per deviare bruscamente il corso della sua vita. Convocato dalle autorità
comuniste, l’arcivescovo Van Thuán viene accusato di essere una spia del
Vaticano. Accusa pretenziosa e anacronistica, dettata solo dalla sua condizione
di vescovo cattolico. In una delle numerose pagine che scriverà dalla
prigionia, Van Thuán rievoca la tristezza, la paura, la tensione e
l’umiliazione per l’ingiusta carcerazione, dovuta solamente alla sua fedeltà
alla Chiesa e al libero esercizio della sua funzione di pastore.
Il carcere è una
delle esperienze più dure che un essere umano possa affrontare: la privazione
della libertà tocca la profondità della persona. A maggior ragione, la reclusione
per motivi ingiusti, per odio ideologico, può condurre la vittima a uno stato
di disperazione e angoscia irresistibili. Anche Van Thuán sperimenta lo
sconforto dovuto alla sua ingiusta detenzione e cerca una strada per affrontare
il tempo, lungo e indefinito, in cui non potrà godere della sua libertà. Ma
durante la prigionia, sorretto solamente dalla fede in quel Dio per cui, pur di
non rinnegarlo, ha accettato di soffrire, Van Thuán matura una precisa
consapevolezza:
Sono in prigione,
se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante
volte nella vita mi si presenteranno simili occasioni? No, afferro le occasioni
che si presentano ogni giorno,
per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario.
Privato della
libertà di movimento e di azione, cioè di una libertà “esteriore”, Van Thuan
scopre intatta dentro di sé una libertà interiore che lo porta a «vivere il
momento presente, colmandolo di amore». Ispirandosi alla figura di san Paolo,
anche lui prigioniero in carcere, Van Thuán decide di fare l’unica cosa che
ancora gli è consentita: scrivere al suo popolo. Nascono così alcuni libri
profondamente toccanti, testimonianza di un amore appassionato per la vita, per
la libertà e per la propria fede. Riesce a celebrare la santa Messa di
nascosto, in condizioni estreme. Può consacrare una briciola di pane e poche
gocce di vino tenute nel palmo della mano, che diventa il suo calice, recitando
le preghiere liturgiche a memoria. Fa amicizia con i suoi carcerieri e parla
loro di Dio, al punto che le autorità carcerarie si vedono costrette a cambiare
spesso le guardie incaricate della sua custodia. Van Thuán ha compreso che
nella vita che gli è dato vivere può essere libero, anche se obbligato da altri
all’immobilità e alla reclusione.
Cambierà più volte
prigione, passando da un luogo a un altro. Infine nel 1988 viene scarcerato.
Ecco come racconta questo evento:
Un giorno di
pioggia, mentre sto preparando il mio pranzo, sento squillare il telefono delle
guardie. «Forse questa telefonata è per me! È vero, oggi è il 21 novembre,
festa della Presentazione di Maria al Tempio! ».
Cinque minuti dopo, arriva la mia guardia: - Signor Thuán, lei ha mangiato?
- Non ancora, sto preparando.
- Dopo mangiato, si vesta bene e vada a vedere il capo.
- Chi è il capo?
- Non lo so, ma mi hanno detto di avvisarla. Buona fortuna!
Un'automobile mi ha condotto in un palazzo, dove ho incontrato il Ministro
dell'Interno, cioè della Polizia. Dopo i saluti di cortesia, mi ha domandato:
- Lei ha un desiderio da esprimere?
- Sì, voglio la libertà.
- Quando?
- Oggi.
E rimasto molto sorpreso. Spiego:
- Eccellenza, sono stato in prigione abbastanza a lungo; sotto tre pontificati,
quello di Paolo VI, di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. E inoltre,
sotto quattro Segretari generali del Partito comunista sovietico: Breznev,
Andropov, Cernenko, Gorbaciov!
Lui si mette a ridere, e fa segno con la testa: - E vero, è vero!
E voltandosi verso il suo segretario, dice: - Fate il necessario per esaudire
il suo desiderio.
Di solito, i capi hanno bisogno di tempo per sbrigare almeno le formalità. Ma
in quel momento ho pensato:
- Oggi è la festa della Madonna, la Presentazione. Maria mi libera. Grazie a
te, Maria.
Una volta
rilasciato, Van Thuán torna a Roma e nel 1998 viene nominato Presidente del
Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, promosso nella Santa Sede da papa
Giovanni Paolo II. Lo stesso pontefice lo nominerà cardinale nel 2001. Morirà
l’anno successivo, all’età di 74 anni. Testimone coraggioso della fedeltà alle
proprie idee, Van Thuán è riuscito a vivere da uomo libero anche nell’oscurità
di una cella, pur senza sapere per quanto tempo sarebbe rimasto in prigione.
Leggiamo ancora dai suoi scritti:
La linea retta è
fatta di milioni di piccoli punti uniti uno all'altro. Anche la mia vita è
fatta di milioni di secondi e di minuti uniti uno all'altro. Dispongo
perfettamente ogni singolo punto e la linea sarà retta. Vivo con perfezione
ogni minuto e la vita sarà santa. Il cammino della speranza è lastricato di piccoli
passi di speranza. Una vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza.
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