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martedì 14 novembre 2023

La “rivolta delle tessitrici”: anche i grandi marchi della industria della moda dovrebbero fare la loro parte

 

ASIA/BANGLADESH - La “rivolta delle tessitrici”: anche i grandi marchi della industria della moda dovrebbero fare la loro parte
 
Dacca (Agenzia Fides) - Già dieci anni fa, nel 2014, un documentario del quotidiano inglese “Guardian", dal titolo "The shirt on your back" spiegava con parole e immagini il costo umano di una maglietta di cotone, fabbricata in Bangladesh, ripercorrendo a ritroso tutta la filiera della cosiddetta "fast fashion industry", l'industria di abbigliamento basata sul consumo, cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni nei paesi occidentali. L'indagine, mostrando i costi umani e ambientali del sistema, denunciava le condizioni disumane dei lavoratori, soprattutto donne, ultimi tasselli della filiera di produzione dei giganti dell’industria tessile globale. Si era all'indomani della tragedia che portò questo fenomeno sotto la lente di ingrandimento delle cronache globali: il 24 aprile 2013 il Rana Plaza, edificio commerciale di otto piani, crollò a Savar, un quartiere della metropoli Dacca, capitale del Bangladesh. Nel più grave incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile nelle storia del paese, furono 1.138 morti, sepolti sotto il cedimento strutturale di un edificio - già dichiarato inagibile – che ospitava alcune fabbriche e laboratori tessili di aziende cui era stata appaltata, a costi irrisori, la manifattura dei capi d’abbigliamento dalle grandi multinazionali del settore.
La tragedia catalizzò l’attenzione dei media internazionali, con la richiesta di un accordo per garantire i diritti fondamentali dei lavoratori, ma solo pochi mesi fa, nel decimo anniversario dell'incidente, migliaia di lavoratori e lavoratici bangladesi hanno manifestato per la giustizia, notando l'impunità per i responsabili: "Sono passati dieci anni e tuttavia i proprietari della fabbrica di abbigliamento e il proprietario dell'edificio non sono stati puniti per l'omicidio di 1.138 lavoratori", hanno detto i familiari delle vittime, ricordando il caso eclatante di Sohel Rana, il proprietario del Rana Plaza, che aveva costretto gli operai a lavorare nonostante le crepe nell'edificio. L’uomo, una delle 38 persone incriminate per omicidio, è ancora sotto processo, mentre nessun addebito è giunto ai grandi colossi dell'industria tessile, i "committenti" del lavoro che sfrutta mano d'opera basso costo , senza minime garanzie di sicurezza.
In seguito al disastro, furono istituiti due organismi di vigilanza per migliorare gli standard del lavoro e vi fu una revisione dei salari dei quattro milioni di lavoratori del paese, per lo più donne, impegnate nel settore tessile in Bangladesh, uno degli asset principali dell'industria nazionale, che costituisce circa l’85% delle esportazioni del paese.
Oggi la questione torna prepotentemente a galla: la precarietà del settore tessile del Bangladesh ha spinto nelle ultime settimane milioni di lavoratori a scioperi e proteste per ottenere un salario dignitoso, ma la rivendicazione ha incontrato l'opposizione dei datori di lavoro e del governo. Le manifestazioni sono iniziate pacificamente alla fine di ottobre per chiedere un aumento del salario minimo e, con il passare dei giorni, a causa della mancanza di progressi, sono diventate violente. Negli scontri con la polizia quattro lavoratori hanno perso la vita e quasi un centinaio di persone sono state arrestate, mentre l'attività industriale resta rallentata: 123 fabbriche sono state danneggiate da atti vandalici e oltre 100 hanno sospeso la produzione , ha informato la polizia. La protesta è stata definita “la rivolta delle tessitrici”, perché la stragrande maggioranza delle lavoratrici del settore è donna.
Al centro della protesta vi è la richiesta di aumentare il salario minimo a 23.000 taka (circa 209 dollari Usa), mentre l'ammontare attuale resta congelato a 8.000 taka (quasi 73 dollari Usa) dal 2018. Secondo i lavoratori, l’aumento si impone per fronteggiare l’inflazione nel paese asiatico e garantire un salario dignitoso. Il governo ha annunciato la settimana scorsa che avrebbe aumentato lo stipendio medio a 12.500 taka (circa 112 dollari), ma i lavoratori hanno respinto la misura e hanno deciso di continuare con la protesta.
Faruque Hasan, presidente della "Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Association", l’associazione dei proprietari delle aziende, ha rimarcato che "molte fabbriche chiuderebbero e i lavoratori perderanno il lavoro se le richieste dei lavoratori verranno soddisfatte”, per un costo del lavoro che diverrebbe insostenibile. Dal canto loro, i leader sindacali, insistendo sul fatto che il settore non smette di crescere, notano che i proprietari utilizzano i profitti per espandere le loro attività, aprendo nuovi stabilimenti, e non per migliorare le condizioni salariali e di sicurezza dei lavoratori, come ha rimarcato Joly Talukder, segretario generale del "Garment Workers Union Center" in Bangladesh.
Secondo alcuni economisti e osservatori indipendenti, c'è ancora spazio per aumentare i salari dei lavoratori ed evitare la chiusura delle fabbriche, trovando una via di mezzo tra le rivendicazioni di entrambe le parti, ma è necessario che della questione si facciano carico anche le multinazionali dell'abbigliamento che commissionano i prodotti. "Esiste la possibilità di aumentare i salari. Secondo nostre stime, il salario potrebbe essere di 17.568 taka (158 dollari USA). Se i grandi marchi o gli acquirenti sono disposti a sopportare un aumento del 6 o 7% del costo della merce che acquistano dalle aziende locali, questa può essere una via praticabile. Non dovrebbe essere sempre responsabilità solo dei proprietari delle fabbriche”, ha spiegato Khondaker Golam Moazzem, direttore del think-tank indipendente "Center for Policy Dialogue" (CPD).
Nella nazione del subcontinente indiano si contano oltre 3.500 fabbriche di abbigliamento che contribuiscono all’85% dei 55 miliardi di dollari dell'export annuale nazionale, impiegando oltre 4 milioni di lavoratori e lavoratrici.

sabato 28 agosto 2021

Agenzia Fides 28 agosto 2021

VATICANO - Il Gesuita Jeyaraj: “Seguire una via di pace partendo dalla giustizia e colmando le disuguaglianze”
 
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - “L’importanza della fraternità si coglie innanzi tutto a partire dall’ascolto del grido di coloro che patiscono le conseguenze della sua mancanza, cioè dei poveri, dei bisognosi delle vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza. Percorrere la strada della fratellanza richiede di misurarsi con domande tutt’altro che banali che quel grido suscita, e che già percorrono il nostro travagliato mondo”. Così si è espresso padre Xavier Jeyaraj SJ, direttore del Segretariato per la Giustizia sociale e l’Ecologia della Compagnia del Gesù, nel corso di un webinar dal titolo “Accesso ai diritti e rispetto della dignità umana”, co-organizzata dall'Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, antenna italiana del “Forum Mondiale delle Città e dei Territori di Pace”, presentato in Vaticano il 31 luglio scorso (vedi Fides 31/07/2021).
Partendo dalle encicliche "Laudato si'" e "Fratelli tutti” di Papa Francesco, padre Xavier Jeyaraj , nella sua relazione, individua alcuni punti cruciali per promuovere politiche pubbliche, programmi e iniziative di cittadinanza che aiutino a costruire una reale educazione alla pace, alla dignità umana, allo sviluppo autentico e inclusivo. Secondo il Gesuita, “la cultura dell’incontro esige di mettere al centro di ogni azione politica, sociale ed economica la persona umana: per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale - sottolinea - è essenziale rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza”. In società che spesso non esitano a ignorare o emarginare alcune categorie di persone, bisogna essere in grado “di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Il ‘sogno’ - precisa p. Xavier – non va inteso non nel senso dell’evasione che fa perdere il contatto con la realtà, o dell’utopia consolatoria rispetto a una dura realtà, ma in quello che Papa Francesco indica come una visione capace di orientare, di indicare la direzione di marcia, di motivare al cambiamento”.
Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo: “Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza - osserva p. Jeyaraj - un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata nei suoi diritti fondamentali. La dignità della persona è dunque il vero valore non negoziabile: come dice il Papa, prendersi cura del mondo significa prendersi cura di noi stessi, ed è ora necessario costituire un ‘noi’ universale”.
In questa prospettiva il discernimento e il dialogo sono “la radice a cui fare riferimento per comprendere il significato di questa insistenza sulla necessità di costruire un popolo” - nota p. Xavier. Questa esprime un anelito che si consolida profondamente nella fede cattolica. “Con la firma del Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana - spiega il religioso - questo diventa vero persino nella concretezza della formulazione del testo: quanto abbiamo in comune riusciamo anche a esprimerlo con parole, in cui tutti possiamo riconoscerci. Questo - conclude - è il modo migliore per incamminarsi concretamente verso una via di pace nella costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune”.
(ES) (Agenzia Fides 28/8/2021)
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AFRICA/SUDAFRICA - Il Vescovo Sipuka: economia inclusiva e istruzione, antidoto alla violenza
 
Johannesburg (Agenzia Fides) - “Dopo le violenze scoppiate a luglio, abbiamo suggerito al governo di adottare delle misure per la riconciliazione, chiedendo a chi ha rubato e saccheggiato i negozi di riportare entro breve la merce sottratta per ottenere una amnistia. Il governo ha dato l’ok e alcune persone stanno rispondendo”. Lo afferma Mons. Sithembele Sipuka, Vescovo di Mthatha, Sudafrica, e Presidente della SACBC (Southern African Catholic Bishops' Conference, che raccoglie i Vescovi di Sudafrica, Botswana ed eSwatini) in una intervista rilasciata all’Agenzia Fides. Più di 300 persone sono morte e circa 3.000 negozi sono stati saccheggiati quando a luglio sono scoppiate proteste e violenze, innescate dalla detenzione dell'ex presidente Jacob Zuma ma in seguito guidate dalla rabbia per la povertà e la disuguaglianza.
Dice il Vescovo, che ha illustrato la questione anche all'Assemblea plenaria della Southern African Catholic Bishops’ Conference (vedi Fides 6/8/2021): “La situazione è tornata alla calma, ma ora ci si chiede come sia stato possibile che migliaia di cittadini prendessero d’assalto negozi, locali, case senza che ci sia stato un intervento immediato per fermarli”. Il Sudafrica, dopo giorni di scontri che in varie città hanno lasciato segni di saccheggio e devastazione, fa i conti con le profonde divisioni che la attraversano, specie dopo l’arresto dell’ex presidente Jacob Zuma, accusato di corruzione nel periodo del suo mandato e incarcerato lo scorso 7 luglio. Zuma, condannato a 15 mesi di reclusione per essersi sempre rifiutato di venire giudicato per i crimini di cui è sospettato, ha ancora molti seguaci nel Paese, alcuni dei quali hanno scelto la rivolta.
“La violenza non è solo risposta all’incarcerazione dell’ex presidente – riprende Mons. Sipuka -. Dietro a simili avvenimenti ci sono doversi motivi: in prims una polarizzazione politica tra quanti continuano a supportare Zuma e quelli che invece si professano dalla parte della legge e vogliono che la giustizia faccia il suo corso. Tutto ciò ha una conseguenza diretta sulla società perché organismi istituzionali come l’esercito o la polizia, dipendono da ministeri alla cui guida ci sono esponenti di fazioni diverse. Le profonde divisioni nel partito al governo hanno portato a separazioni nei servizi segreti, nella polizia e nell’esercito, generando una sostanziale inazione perché chi pensa ai propri interessi non mette il Paese al primo posto. Una seconda ragione che pesa è la povertà della popolazione, ridotta in alcune fasce alla fame. Migliaia di persone facilmente utilizzabili da chi vuole fomentare la violenza. C’è un terzo elemento poi, che è la criminalità: i criminali utilizzano queste opportunità per allargare il raggio di azione e creare caos.”.
La Chiesa cattolica, che ha emanato un accorato appello a firma della SACBC (affiancato da un documento della South African Council of Churches - SACC -, ndr) richiama alla pace e, nel contempo, sviscera le radici del conflitto. Spiega Mons. Sithembele Sipuka: “La violenza è sempre da condannare e se ci sono differenze nel partito, nella politica o nella società, l’unica via è sedersi e dialogare. Mai strumentalizzare i poveri per servire i propri interessi, prima di tutto viene il bene del Paese. Il nostro messaggio ai più poveri è ‘non permettete che vi usino’. Sono loro le prime vittime: il pane in molti luoghi non si può acquistare a prezzi equi perché i negozi sono stati devastati”. Prosegue il Vescovo: “Crediamo poi che un punto fondamentale sia la collaborazione tra imprese, mondo del lavoro e governo. Bisogna viaggiare verso una economia che includa e che riduca la povertà, dato l’alto numero di disoccupati. L’istruzione è di scarsa qualità e i giovani escono dai percorsi formativi senza che possano essere produttivi da subito. Il nostro sguardo va anche alle zone più rurali del Paese: il governo si deve occupare di favorire lo sviluppo perché le popolazioni che vi abitano possano guadagnarsi la vita dignitosamente e perché sono zone fondamentali per offrire un contributo notevole all’economia”.
Il Vescovo conclude auspicando che “la voce Consiglio delle Chiese sia ascoltata, come avvenuto, ad esempio, per la consulenza su come affrontare la pandemia. In alcuni casi le nostre proposte sono divenute azioni, come per i sussidi per chi ha perso il lavoro per il Covid”.
(LA) (Agenzia Fides 28/8/2021)
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ASIA/MEDIO ORIENTE - Vescovi armeni cattolici convocati a Roma dal 20 settembre per eleggere il nuovo Patriarca
 
Aleppo (Agenzia Fides) – I vescovi armeni cattolici, provenienti dalle diocesi sparse in Medio Oriente e nei Paesi di maggior concentrazione della diaspora armena, si riuniranno a Roma, a partire dal prossimo 20 settembre, per eleggere il loro nuovo Patriarca. Lo conferma all’Agenzia Fides l’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati, attuale Amministratore della Chiesa patriarcale di Cilicia degli armeni. “Il Santo Sinodo elettivo svoltosi a partire dallo scorso 22 giugno presso il Convento libanese di Nostra Madre di Bzommar” ricorda l’Arcivescovo Marayati “non è andato a buon fine. In quindici giorni, nessun candidato ha ottenuto i due terzi dei voti dei dodici vescovi partecipanti al Sinodo, soglia richiesta per essere eletto successore del Patriarca Krikor Bedros XXI Ghabroyan, scomparso lo scorso 25 maggio (nella foto, durante la concelebrazione eucaristica con Papa Francesco, ndr). A quel punto, secondo quanto è stabilito dal Codice dei Canoni delle Chiese orientali, le sessioni del Sinodo elettivo sono state interrotte, e la questione è stata rimessa al Papa. Ora ci ritroveremo il prossimo 20 settembre, presso il Pontificio Collegio armeno di Roma, per due giorni di ritiro spirituale. Poi, a partire dal 22 settembre, inizierà l’assemblea sinodale per eleggere il nuovo Patriarca, che si svolgerà sotto la presidenza del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali”.
Riguardo alle procedure di elezione dei Patriarchi, il canone 72 del Codice dei Canoni delle Chiese orientali, al primo comma, stabilisce che “è eletto colui che ha riportato due terzi dei voti, a meno che per diritto particolare non sia stabilito che, dopo un conveniente numero di scrutini, almeno tre, sia sufficiente la parte assolutamente maggiore dei voti (eventualità attualmente non contemplata nel diritto particolare della Chiesa armena cattolica, ndr) e l’elezione sia portata a termine a norma del canone 183, §§3 e 4”. Il secondo comma del medesimo canone 72 chiarisce che “Se l’elezione non si porta a termine entro quindici giorni, da computare dall’apertura del Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale, la cosa viene devoluta al Romano Pontefice”.
Se anche il Sinodo elettivo della Chiesa patriarcale armena cattolica dovesse registrare una nuova situazione di stallo, l’esito positivo dell’assemblea elettorale sarà comunque garantito dal ricorso a alcune deroghe, che dopo un certo numero di votazioni avvenute senza esito consentiranno di eleggere Patriarca il candidato che raggiunge la maggioranza assoluta (la metà più uno) dei voti espressi. Se l’impasse elettorale dovesse perpetuarsi, sarà eletto Patriarca il candidato che ottiene la maggioranza relativa dei consensi. Se infine i voti dei vescovi votanti dovessero concentrarsi in maniera assolutamente paritaria intorno a due candidati, diverrà Patriarca il vescovo più anziano per ordinazione sacerdotale. (GV) (Agenzia Fides 28/8/2021).
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ASIA/BANGLADESH - I cattolici piantano un milione di alberi nello spirito della Laudato Si'
 
Dacca (Agenzia Fides) – Piantare circa un milione di alberi in occasione dell'Anno Laudato Si', nel centenario della nascita del "Padre della Nazione", lo Sheikh Mujibur Rahman, e nell'anno in cui il Bangladesh celebra i 50 anni dell'indipendenza. E' l'obiettivo raggiunto dalla piccola Chiesa cattolica bangladese, che, nella nazione di oltre 165 milioni di persone, rappresenta solo 400.000 fedeli. Il programma di piantumazione è stato avviato il 14 agosto 2020 in un impegno collettivo promosso dal Cardinale Patrick D'Rozario e da tutti i Vescovi cattolici del Bangladesh. In occasione dell'Anno Laudato si', tutte gli enti e comunità cattoliche si sono dati da fare: 400.000 alberi sono stati piantati da gruppi e parrocchie delle varie diocesi cattoliche; 360mila da Caritas Bangladesh; 215mila da Christian Cooperative Credit Union Ltd; 10.000 alberi sono stati affidati dalla Bangladesh Christian Association, per un totale di 931.000 alberi.
Padre Jyoti Francis Costa, Segretario Generale aggiunto della Conferenza Episcopale del Bangladesh, ha dichiarato all'Agenzia Fides: "Il Santo Padre ha chiamato i fedeli a prendersi cura della terra, e i fedeli cattolici di questo Paese hanno risposto piantando alberi perché gli alberi possono rendere il mondo più verde e produrre ossigeno". E ha aggiunto: "Tutti i Vescovi sovrintendono alla campagna di piantumazione degli alberi nelle diverse diocesi, che entro quest'anno sarà completata".
Anche Caritas Bangladesh sta lavorando nella stessa direzione. Sebastian Rozario, Direttore Esecutivo di Caritas, ha dichiarato all'Agenzia Fides di aver piantato alberi nelle loro aree di lavoro che coprono 49 distretti. "Stiamo consegnando altri alberi a quanti beneficiano del nostro sostegno, e si stanno piantando gli alberi aggiuntivi. La maggior parte degli alberi è già stata piantata; il resto degli alberi lo pianteremo entro quest'anno". Rozario ritiene che questa iniziativa sia una pietra miliare per la Chiesa cattolica. "Oltre a distribuire alberi ai beneficiari, tutti e 6.000 i volontari della Caritas hanno piantato un albero con il loro impegno personale", ha spiegato.
La cooperativa cristiana "Credit Union Ltd", organizzazione cooperativa fondata a Dacca dal sacerdote della Santa Croce padre Charles J. Young, sta facendo la stessa campagna. Pankaj Gilbert Costa, presidente dell'organizzazione ha confermato l'impegno a piantare 215mila alberi.
Nirmol Rozario, presidente della Bangladesh Christian Association, ha informato che la sua organizzazione ho distribuito 10.000 alberi da frutti e piante ad amici persone che se ne prenderanno cura. Il giovane Sujon Haldar ha ricevuto una piantina di mango dalla Bangladesh Christian Association e l'ha piantata nel giardino della sua abitazione: "Questi alberi in futuro mi forniranno ombra, frutti e legno. Gli alberi sono amici per sempre", dice, apprezzando l'iniziativa della Chiesa cattolica.
(FC-PA) (Agenzia Fides 28/08/2021)
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AMERICA - Nasce la piattaforma “MigraSegura” per offrire informazioni utili e sicure ai migranti venezuelani in Brasile ed Ecuador
 
Brasilia (Agenzia Fides) – E’ nata la piattaforma digitale “MigraSegura”, rivolta ai migranti, soprattutto venezuelani, che vi potranno trovare informazioni sicure e affidabili sui servizi di base e sulle politiche migratorie di Brasile e Ecuador. Frutto della collaborazione tra Caritas Ecuador e Caritas Brasile, con il sostegno della fondazione “JuntosEsMejor Challenge”, dell’USAID e della Banca Interamericana dello Sviluppo, con il supporto del Catholic Relief Services (CRS), la piattaforma è stata lanciata ufficiale il 26 agosto attraverso il sito web www.facebook.com/migrasegura.
Come spiega la nota pervenuta all’Agenzia Fides, l'obiettivo è di fornire informazioni tempestive ai migranti venezuelani, che possono essere vittime delle reti di tratta di persone e di gruppi criminali, per mancanza di una guida che li orienti. Infatti, "l'entità della crisi venezuelana, in cui si stima che più di 5 milioni e mezzo di persone abbiano lasciato il proprio Paese, richiede di mettere al servizio dei rifugiati e dei migranti venezuelani informazioni che hanno lo scopo di salvare vite umane, oltre a contribuire al processo decisionale con informazioni veritiere, in modo che possano avere un transito migratorio sicuro".
Questo progetto è iniziato alla fine del 2020. Per la sua realizzazione è stato condotto uno studio interpellando un campione di 807 rappresentanti di famiglie venezuelane (400 in Ecuador e 407 in Brasile), e 15 informatori-chiave (6 donne e 9 uomini) in rappresentanza di organizzazioni che hanno una vasta esperienza di lavoro con questa popolazione. La raccolta dei dati è stata effettuata in 8 città del Brasile e 6 città dell'Ecuador. Lo studio ha rivelato che circa il 66% delle persone che hanno lasciato il Venezuela per il Brasile e l'Ecuador, non hanno informazioni sui paesi ospitanti. Le ragioni principali per cui le famiglie lasciano il Venezuela sono la carenza di cibo nel paese (75%), la mancanza di occupazione (70%) e l’accesso limitato ai servizi sanitari e alle medicine (58%). I motivi per cui hanno scelto come paese di destinazione il Brasile e l’Ecuador sono principalmente le prospettive di lavoro più vantaggiose (68%), una maggiore situazione di sicurezza (47%) e migliori prospettive educative per i bambini e i giovani (39%).
(SL) (Agenzia Fides 28/08/2021)

sabato 13 febbraio 2021

Agenzia Fides 13 febbraio 2021

 

AFRICA/KENYA - I missionari Orionini: “Un nuovo progetto per aiutare i Masai”
 
Kandisi (Agenzia Fides) - “L’obiettivo del progetto è quello di avviare una coltivazione di ‘fagioli gialli’ in territorio masai: l’idea nasce soprattutto dalla necessità di creare nuove entrate per il Centro e, al tempo stesso, di condividere le buone pratiche agricole che abbiamo acquisito in questi anni”. Così riferisce all’Agenzia Fides padre Jeremiah Muchembe, sacerdote dei Figli della Divina Provvidenza, di origini keniote, parlando del nuovo progetto agricolo che i religiosi Orionini della comunità di Kandisi stanno realizzando in collaborazione con gli indigeni Masai, che vivonosugli altopiani al confine fra Kenya e Tanzania.
La realizzazione di queste progetti è possibile grazie al contributo di alcuni benefattori che sostengono le iniziative dei padri Orionini, che in questa parte del Kenya hanno in cura una parrocchia che accoglie molti abitanti di villaggi dell’etnia Masai. A Kandisi l’Opera Don Orione segue un Centro diurno e una scuola di sviluppo per bambini e giovani disabili con un centro di orticultura: “La sfida legata a questa iniziativa - spiega p. Muchembe - non è soltanto quella di adoperare delle tecniche di lavorazione che rispettino l’ambiente, senza l’utilizzo di pesticidi chimici, ma anche quella di abbattere i pregiudizi nei confronti di una delle più antiche popolazioni africane, come quella Masai, che rischia di essere ormai bistrattata perché continua a mantenere antiche usanze e a praticare uno stile di vita indigeno”.
"È importante sensibilizzare il governo affinché finanzi progetti di questo tipo, perché hanno una profonda valenza culturale” - osserva il missionario. "Da diversi anni - racconta - attuiamo progetti di orticoltura che coinvolgono direttamente alcuni ragazzi disabili che frequentano la struttura. Questi hanno così l’opportunità di studiare, di diplomarsi e di fare un praticantato di 2 anni nel settore agricolo. Al termine del percorso formativo - prosegue p. Jeremiah - vengono assunti nella fattoria del Centro che vende i propri prodotti a diversi supermercati e alla comunità locale. Così facendo - conclude - i ragazzi diventano indipendenti, inserendosi socialmente nella comunità”.
In Kenya la Chiesa gestisce 2.805 strutture sanitarie e assistenziali, di cui 86 centri per anziani, invalidi e disabili.
(ES) (Agenzia Fides 13/2/2021)
LINK
Guarda la video intervista a padre Jeremiah Muchembe sul canale Youtube dell'Agenzia Fides -> https://www.youtube.com/watch?v=TQKVdf4Jxzs
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AFRICA/COSTA D’AVORIO - Al via al progetto GRAIL per la cura dei bambini affetti da HIV / AIDS
 

Abidjan (Agenzia Fides) - Abidjan (Agenzia Fides) -La cura dei bambini affetti da HIV / AIDS diventerà presto una realtà in Costa d'Avorio attraverso il progetto GRAIL (Galvanizing Religious Actors for better Identification and Linkage to pediatric HIV).
Questo progetto, che mira a migliorare la diagnosi e la cura dei bambini sieropositivi attraverso il rafforzamento dell'impegno dei leader religiosi, è stato ideato e realizzato dal 2017 da Caritas Internationalis e testato con successo in Congo e Nigeria.
Il 9 febbraio, il progetto è stato lanciato in Costa d’Avorio presso il CERAP (Centro di ricerca e azione per la pace) presso Abidjan Cocody, alla presenza dei rappresentati dei partner che ne fanno parte: Organizzazione mondiale della sanità, UNAIDS, PNLS, programma nazionale per la lotta contro l'HIV /AIDS del Ministero della Salute e Igiene pubblica, UNICEF.
Prima di questa cerimonia di inaugurazione si è celebrata una messa per affidare l’iniziativa al Signore. Nell'omelia Sua Ecc. Mons. Bruno Essoh Yédo, Vescovo di Bondoukou, Presidente della Commissione Episcopale per lo sviluppo umano integrale e Presidente della Caritas Costa d'Avorio, ha accolto con favore la realizzazione del progetto che aiuterà i bambini 0-14 anni con HIV che necessitano con urgenza di cure per accrescere le loro speranze di vita.
"Secondo le stime dell'UNAIDS 2018, solo il 40% dei bambini che hanno bisogno di cure vi ha accesso" ha lamentato il Vescovo di Bondoukou.
Mons. Bruno ha anche sottolineato l'impegno della Chiesa per la salute. "Se la Chiesa cattolica ha più di 21.000 centri sanitari e più di 16.000 programmi per anziani e persone che vivono con malattie croniche e invalidi, questo indica l'importanza che attribuisce ai più deboli" da qui il suo coinvolgimento nel GRAIL.
La realizzazione del progetto GRAIL in Costa d'Avorio è stata caratterizzata da un seminario di formazione di due giorni per guide religiose sugli aspetti teologici e scientifici della malattia da HIV / AIDS per una più ampia diffusione di messaggi di prevenzione in un'ottica di riduzione della stigmatizzazione sociale. Un approccio molto apprezzato da tutti i partner.
La fase pilota del progetto GRAIL in Costa d'Avorio sarà attivata nelle diocesi di Abidjan, Yopougon, Katiola, Korhogo e Grand-Bassam. (S.S.) (Agenzia Fides 13/2/2021)
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ASIA/BANGLADESH - Le minoranze religiose: in Parlamento si recitino versetti sacri di tutte le fedi
 
Dhaka (Agenzia Fides) - Leggere versetti dai libri sacri di tutte le religioni prima dell'inizio della sessione parlamentare: è la richiesta sollevata dal "Bangladesh Hindu Buddhist Christian Unity Council" (BHUCUC), Consiglio interreligioso che riunisce in Bangladesh leader delle comunità religiose minoritarie, nel paese a larga maggioranza islamica.
Come appreso da Fides, il leader indù Rana Dasgupta, Segretario generale del BHBCUC, ha dichiarato: "Crediamo che nell'interesse dell'uguaglianza, della giustizia e della democrazia, la speranza di tutte le comunità religiose in Bangladesh sia di porre fine a ogni discriminazione religiosa nell'Assemblea nazionale del Bangladesh. In tal caso, a partire dall'anno del Giubileo d'oro dell'indipendenza (1971-2021), all'inizio della sessione parlamentare e in ogni giorno lavorativo, si dovrebbe prendere l'iniziativa di leggere le sacre scritture di tutte le religioni". Già dal 1973 al 1975, ricorda il Consiglio, la lettura delle Sacre Scritture di tutte le religioni ha avuto luogo in sessioni parlamentari. Ora è pratica è leggere versetti sacri solo dal Corano. Dasgupta ha fatto appello al presidente e al governo affinché si prenda l'iniziativa di pregare secondo i diversi riti religiosi dei parlamentari presenti: vi sono infatti nella Assemblea nazionale 19 membri dei parlamenti provenienti da comunità religiose minoritarie.
Il leader cristiano Nirmol Rozario, presidente del BHBCUC, concordando con la richiesta di Dasgupta, afferma : “Desideriamo un paese laico e rispettoso di tutti i cittadini, di ogni fede religiosa. Durante la guerra di indipendenza, persone di tutte le fedi hanno combattuto per un paese indipendente e tanti di loro furono tra le vittime della guerra . Oggi tutti noi abbiamo il diritto di praticare la nostra religione". "Chiediamo e umilmente al presidente del parlamento e al primo ministro Shekh Hasina di iniziare la recita dei libri sacri di tutte le regioni prima dell'inizio di ogni sessione in Parlamento", ha detto Rozario.
Il leader religioso buddista Bhikkhu Sunanda Priya ha detto che il governo mostrerà di dare spazio ai gruppi religiosi minoritari, "l'immagine del Bangladesh sarà più luminosa".
Su 160 milioni di abitanti, in Bangladesh l' 89,5% circa della popolazione professa la fede musulmana, l'9,6% è indù e il restante 0,9% include cristiani (tra questi i cattolici sono 400.00), buddisti e sikh.
(FC) Agenzia Fides (13/2/2021)
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ASIA/KAZAKHSTAN - Il Vescovo di Karaganda: “Il beato Bukowiński, radice profonda della Chiesa kazaka e della sua fioritura vocazionale”
 
Karaganda (Agenzia Fides) - “Nel cammino della storia, la Chiesa è continuamente rigenerata e portata avanti dai santi e dalla loro testimonianza. Il Beato Wladyslaw Bukowiński è stato una radice attiva e profonda della fioritura della Chiesa viva di Karaganda e del Kazakistan. Io l’ho veramente conosciuto e incontrato, non di persona ovviamente, ma attraverso il seme, il fiore e il frutto, che Dio ha generato attraverso di lui soprattutto qui, a Karaganda, nei tempi difficili e dolorosi delle persecuzioni staliniane. Questo Beato, quindi, testimonia alla Chiesa del Kazakistan che è possibile diventare santi, cioè realizzare in pienezza la propria umanità, anche in condizioni estremamente difficili e dolorose. Oggi accogliamo la testimonianza della sua fede nei lager sovietici e impariamo da lui come essere testimoni di Gesù nell’immane lager della globalizzazione, che stritola l'uomo e che vuole ridurre la sua vita a un benessere e a una felicità puramente terreni”. E’ quanto afferma all’Agenzia Fides, Mons. Adelio Dell’Oro, Vescovo di Karaganda, parlando della vita di Beato Władysław Bukowiński, sacerdote diocesano che, fra i tormenti dei gulag sovietici, ha portato avanti la sua missione evangelizzatrice e coltivato il seme della nascente presenza cattolica in Kazakistan.
Arrestato tre volte per la sua attività di apostolato, il Beato Bukowiński ha trascorso nei lager 13 anni, 5 mesi e 10 giorni. Alla morte di Stalin, fu trasferito al confino a Karaganda dove lavorava come custode presso un cantiere edile, dedicandosi di notte all’apostolato clandestino. È stato il primo sacerdote cattolico ad esservi giunto e a restarvi stabilmente dopo la II guerra mondiale.
“Grazie alla presenza e alla testimonianza di quest'uomo di Dio, a Karaganda nacque, dalla fine degli anni Cinquanta, una comunità cattolica, costretta a nascondersi sotto terra, ma comunque vivacissima e intraprendente: questa prima Chiesa clandestina ha rappresentato la speranza che ha sorretto migliaia di deportati, in gran parte polacchi dell’Ucraina e tedeschi. Per il disegno di Dio e per la Sua grazia, la testimonianza di molti uomini, nonostante le feroci persecuzioni, ha reso Karaganda il centro del cattolicesimo ai tempi del regime sovietico”, racconta Mons. Dell’Oro.
Ancora oggi, la parrocchia di San Giuseppe a Karaganda è espressione della vivacità e della fede di quei cattolici e racchiude in sé un’eredità unica non solo in Kazakhstan, ma anche nell’intero territorio dell’ex Unione Sovietica: è, infatti, una delle prime chiese ufficialmente registrate durante il regime comunista, nel 1977. “In quell’anno - spiega Mons. Dell’Oro - furono gettate le fondamenta della futura Chiesa cattolica con la partecipazione attiva dei fedeli: alla costruzione del tempio, infatti, parteciparono tutti, dal più piccolo al più grande, compresi invalidi e ammalati”.
Dall’eredità spirituale di padre Bukowiński, rileva, sono nate più di 16 vocazioni al sacerdozio, tra cui quelle di due vescovi - Joseph Werth, Vescovo a Novosibirsk, e Nikolay Messmer, ora defunto, vescovo in Kirghizistan - e 28 vocazioni femminili alla vita consacrata in 7 diverse congregazioni e comunità: “Inoltre, quando sono tornati nella loro patria storica, centinaia di ex parrocchiani locali hanno portato nuova linfa alla vita della Chiesa in Germania, Polonia e in altri paesi. Come nei primi secoli, proprio le sofferenze e il sangue versato da questi cattolici hanno moltiplicato il numero dei cristiani, dando vita a questa Chiesa”, aggiunge il vescovo di Karaganda.
Oggi la città di Karaganda conta 4 chiese cattoliche, un seminario internazionale e un convento di clausura delle suore carmelitane. A giugno scorso, inoltre, Papa Francesco ha elevato la chiesa di San Giuseppe a Basilica minore. La diocesi di Karaganda comprende due regioni e occupa un territorio grande due volte e mezzo l’italia. Le circa 20 parrocchie sono separate tra loro da enormi distanze: le più lontane sono a 1700 km una dall’altra. In totale, nell’intero territorio del Kazakhstan si contano 4 diocesi cattoliche, per un totale di 70 parrocchie. I sacerdoti presenti nella nazione sono 91, tra i quali 61 diocesani e 30 religiosi. I cattolici rappresentano una piccola minoranza: secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero degli Esteri kazako, degli oltre 17 milioni di abitanti del Paese, circa il 26% è costituito da cristiani, e l’1% di questi è di fede cattolica.
(LF-PA) (Agenzia Fides 13/2/2021)
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ASIA - Povertà e rischi di una “generazione perduta” a causa della pandemia
 
Singapore (Agenzia Fides) - Quanto conta la pandemia di Covid-19 nel futuro a breve termine dell’Asia? Quali sono i suoi effetti sulla povertà, una piaga che non riguarda solo il continente asiatico ma che in Asia, in passato, ha raggiunto punte estreme? Come si comportano gli Stati per dare una risposta all’allargarsi della povertà?
Secondo la World Bank, “lo shock da Covid-19 non solo mantiene le persone in povertà, ma crea anche una classe di nuovi poveri". Nell’autunno dell’anno scorso la Banca internazionale nata a Bretton Woods negli anni Quaranta pubblicava una stima secondo la quale, nel corso del 2020, il numero di persone che vivono in povertà nella regione Asia Pacifico sarebbe aumentato sino a 38 milioni, “tra i quali 33 milioni che altrimenti sarebbero sfuggiti alla povertà e altri 5 milioni spinti nella povertà” (considerando una soglia di $ 5,50 al giorno). Un nuovo rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sostiene che , nel mondo, più di 250 milioni di persone hanno perso il lavoro durante la pandemia: la crisi – rileva il direttore generale dell’Ilo Guy Ryder – c minaccia di produrre una "generazione perduta". Già prima del rapporto presentato nelle scorse settimane, l’ILO aveva per esempio stimato nell’ordine dei milioni i lavoratori dell’area Asia-Pacifico che, prima della pandemia avevano redditi stabili garantiti dal settore del turismo ma che, in seguito al Covid, si sono trovati a rischio di scivolare in una povertà da loro lontana.
La pandemia non sembra aver risparmiato nessun settore (il tessile, ad esempio, molto diffuso in Asia, il commercio al dettaglio, il lavoro informale) ma, nello stesso tempo, un rapporto del “Boao Forum for Asia”, organizzazione non profit con sede a Pechino e presieduta dall’ex segretario dell’Onu Ban Ki Moon, ha analizzato l’andamento delle politiche di riduzione della povertà in Asia, mettendo in luce alcuni risultati positivi.
L’Asia Poverty Reduction Report 2020 infatti prova a riassumere gli ultimi sviluppi, i risultati e le esperienze nella riduzione della povertà in Asia. Secondo il rapporto, la pandemia a è diventata l'elemento più diretto che colpisce la povertà del continente e a causa dello shock da Covid-19 e la disuguaglianza di reddito è aumentata più rapidamente rispetto all'era pre-pandemica. Visto inoltre che l'Asia sta attraversando rapide trasformazioni economiche e sociali, “la regione ha molto da migliorare nelle infrastrutture, nei servizi pubblici e nella capacità di gestione delle emergenze” mentre “i gruppi svantaggiati sono particolarmente vulnerabili all'impatto negativo degli incidenti che riguardano la sicurezza pubblica”. Il rapporto prevede che quasi la metà della popolazione che avrà a che fare con questa nuova ondata di povertà nel mondo si concentrerà nell'Asia meridionale. L'Asia in generale però rimane il maggior attore della riduzione della povertà globale.
“Grazie alla sua straordinaria crescita, la trasformazione economica e sociale dell'Asia ha anche cambiato radicalmente il panorama dell'economia globale e della gestione della povertà. Nel 2019, i tassi di incidenza della povertà dei Paesi in via di sviluppo in Asia – scrive il rapporto - erano scesi al di sotto del 3%. Se misurato da indicatori di povertà del reddito, il tasso di incidenza della povertà estrema in Asia è solo dell'1,85%. La regione sta entrando in una fase critica caratterizzata dall'eliminazione della povertà estrema e dall'apertura di una nuova era contrassegnata dalla riduzione della povertà relativa”. L'Asia comunque – conclude l’indagine - “dovrebbe guadagnare terreno nel raggiungimento del primo obiettivo dell'Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile che è proprio: Sconfiggere la povertà”.
(MG-PA) (Agenzia Fides 13/02/2021)
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ASIA/LIBANO - Patriarca maronita: nel ‘Grande Digiuno' di Quaresima, chiediamo al Signore di “spazzar via” la pandemia con la forza della Resurrezione
 

Bkerké (Agenzia Fides) – Fin dall’antichità, la pratica del digiuno è servita a “esprimere pentimento” e invocare “misericordia divina durante tempi segnati da tribolazioni come malattie, epidemie, ingiustizie, persecuzioni e guerre”. Anche le circostanze del presente, così duramente segnato dagli effetti della pandemia, “spinge tutti noi a espiare i nostri peccati e i mali del mondo, e invocare Dio affinchè abbia pietà di noi e di tutta l'umanità, dicendo: ‘Vieni presto, o Signore, in nostro aiuto’ ”. E’ questo l’invito rivolto dal Patriarca maronita Bechara Boutros Rai a tutti i battezzati della Chiesa maronita, nella lettera-memorandum appena diffusa per riproporre le pratiche penitenziali da osservare nel tempo di Quaresima.
Nella cadenza dei tempi liturgici seguita dalla Chiesa maronita, il “Grande Digiuno” (la Quaresima) inizia quest’anno il 15 febbraio, Lunedì delle Ceneri. “I peccati” si legge nel messaggio patriarcale “si sono moltiplicati nel mondo senza alcun pentimento. Il male si va diffondendo, proprio come la pandemia da Covid-19, che dilaga in tutto il globo terrestre”, provocando la morte di un numero impressionante di persone in ogni parte del mondo.
Nel suo messaggio, il Patriarca Bechara Rai ricorda le vicende narrate nella Bibbia, in cui la pratica penitenziale del digiuno è sempre collegata a esperienze di liberazione dal giogo dell’oppressione, da pericoli o da piaghe che fanno soffrire il popolo. Il digiuno – aggiunge il cardinale libanese – “non ha di per sé un valore magico”, e raggiunge il cuore di Dio solo se esprime fede sincera e si accompagna alla preghiera sincera e alla carità verso chi è nel bisogno. “Con l'elemosina” si legge nel testo patriarcale “ripristiniamo il rapporto con i nostri fratelli e sorelle più bisognosi, restituendo loro ciò che è loro dovuto, perché ‘i beni della terra sono preparati da Dio per tutti gli uomini’ ”. Con la preghiera, riconosciamo le nostre miserie, invochiamo da Dio “il suo perdono e la sua misericordia” e chiediamo che Lui, con la sua grazia, “sostenga le nostre buone intenzioni”. La consuetudine ecclesiale – ha aggiunto il Patriarca maronita - prevede che con ciò che risparmiamo digiunando, aiutiamo i nostri fratelli e sorelle con i loro bisogni”. A questo riguardo, il Patriarca ha ringraziato “tutti coloro che prendono iniziative individuali o collettive, quelli che partecipano alle campagne promossa da Caritas-Libano, dalla Croce Rossa e da altre organizzazioni e associazioni caritative, e anche dalle parrocchie e dalle fondazioni”. Tra le indicazioni pratiche suggerite, il Patriarca ha ricordato anche la prassi di astenersi dal cibo dalla mezzanotte a mezzogiorno di tutti i giorni della Quaresima, ad eccezione dei sabati, delle domeniche e di altri giorni di festa solenne, come l’Annunciazione del Signore (25 marzo) e la festa di San Giuseppe (19 marzo). “Chiediamo a Dio, per intercessione di nostra Madre, la Vergine Maria” scrive il Patriarca maronita a conclusione della sua lettera “di accettare il nostro digiuno e di guarire coloro che sono affetti dall'epidemia da Covid-19, spazzando via questa pandemia con la forza della sua risurrezione e l'abbondanza della sua misericordia”. (GV) (Agenzia Fides 13/2/2021).
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AMERICA/BOLIVIA - Ad un anno da "Querida Amazonia" resta valido l'appello a sognare un'Amazzonia dove si promuovano i diritti dei più poveri
 
La Paz (Agenzia Fides) – Ad un anno dall'Esortazione Apostolica post-sinodale "Querida Amazonia", resta ancora valido l'appello a sognare un'Amazzonia dove si promuovano i diritti dei più poveri, dei popoli autoctoni, degli ultimi (vedi Fides 12/07/2020). Uno spazio dove viene preservata la loro ricchezza culturale, dove viene preservata la bellezza naturale e dove le comunità cristiane incarnate danno alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici.
"L'Amazzonia è un insostituibile dono di Dio, considerato che è uno dei principali responsabili della regolazione del clima nel mondo; i suoi biosistemi sono una dispensa globale di acqua, cibo ed energia. Nelle condizioni attuali, con così tanti attacchi su questo territorio, si sta prendendo una rotta irreversibile. Molte informazioni scientifiche avvertono costantemente che l'equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell'Amazzonia", si legge nella pubblicazione inviata a Fides dalla REPAM.
"Querida Amazonia", continua a chiedere l'impegno di ciascuno di noi di "amazzonizarci"; termine usato per condividere con l'intera Chiesa boliviana e con l'intero pianeta i valori di una regione che ha molto da condividere, soprattutto gli insegnamenti della convivenza senza distruzione, in un rapporto reciproco che rappresenta la tanto sognata "ecologia integrale".
(CE) (Agenzia Fides 13/02/2021)

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AMERICA/CUBA - il Ministro degli esteri celebra il V Anniversario dell'incontro tra Papa e il Patriarca di Mosca
 
L'Avana (Agenzia Fides) – "Ricordiamo il quinto Anniversario dello storico incontro all'Avana tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill. Cuba è lieta di aver ospitato questo epocale incontro", con queste parole, condivise su Twitter, il ministro cubano dei rapporti Esteri, Bruno Rodríguez, ha sottolineato la ricorrenza dell'incontro tra il Vescovo di Roma e il Primate dell'Ortodossia russa, enfatizzando l'importanza di quell'avvenimento. Il Cancelliere cubano ha definito l'evento "storico e epocale", e ha detto che la "Isla" è lieta di averlo ospitato.

Il Patriarca Kirill e Papa Francesco si sono riuniti sull'isola il 12 febbraio 2016. Si è trattato del primo incontro tra un Vescovo di Roma e un Patriarca di Mosca (Vedi Fides 12/02/2016).
In quell'occasione, il Papa e il Patriarca hanno firmato una dichiarazione congiunta, nella quale hanno espresso la volontà di collaborare e di fare tutto il necessario per superare le divisioni storiche ereditate.
“I cristiani di qui" riferì allora all'Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, commentando l'incontro tra il Papa e il Patriarca "si sono accorti che le loro sofferenze non cadono nel nulla: l'incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill lo percepiscono come il frutto della croce che stanno vivendo. La sofferenza di tutti i cristiani del Medio Oriente porta il frutto dell'unità, e ne potrà portare anche altri. Questo per noi è una grande consolazione e ci aiuta a andare avanti, anche se dobbiamo ancora soffrire” .(CE) (Agenzia Fides 13/02/2021)

giovedì 3 dicembre 2020

Agenzia Fides 3 dicembre 2020

 

VATICANO - Festa di San Francesco Saverio: “Moltissimi non si fanno cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani”
 
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - La Chiesa e il mondo missionario festeggiano oggi, 3 dicembre, San Francesco Saverio (Javier 1506 – isola di Sancian 1552), tra i primi discepoli di Sant’Ignazio di Loyola, che fece parte del nucleo di fondazione della Compagnia di Gesù. Vissuto appena 46 anni e 8 mesi, compì in poco più di 10 anni un lavoro missionario incredibile, portando il Vangelo a contatto con le grandi culture orientali, adattandolo all'indole delle varie popolazioni. Nei suoi viaggi missionari toccò l'India e il Giappone, morì mentre si accingeva a diffondere il messaggio di Cristo in Cina.
Per il suo ardore missionario nel 1748 venne dichiarato Patrono dell’Oriente, nel 1904 della Pontificia Opera della Propagazione della Fede e nel 1927 di tutte le missioni, insieme a Santa Teresa di Gesù Bambino. Numerosi sono gli istituti missionari, maschili e femminili, che lo hanno scelto come modello di vita e di apostolato, come anche i seminari, gli istituti e le associazioni a lui intitolate.
Francesco Saverio è detto anche “il San Paolo delle Indie”, in quanto la sua opera missionaria fu decisiva per lo sviluppo del cristianesimo in Asia meridionale. Nella prima Lettera ai Corinzi l’Apostolo Paolo affermava “Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere, guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1Cor 9,16). Francesco Saverio ha fatto suo l’anelito di Paolo, e lo stesso grido è risuonato con vigore dalla bocca del Papa Giovanni Paolo II, all’inizio della sua Enciclica Redemptoris Missio. Dopo duemila anni di cristianesimo è ancora quel grido che Papa Francesco oggi rilancia con rinnovata attualità ed urgenza, nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, chiamando tutti i battezzati a prendere coscienza di essere “discepoli missionari”.
Nel suo breve ma intenso decennio di impegno missionario, San Francesco Saverio non si risparmiò, come racconta nelle sue Lettere a sant'Ignazio: “Talmente grande è la moltitudine dei convertiti che sovente le braccia mi dolgono tanto hanno battezzato e non ho più voce e forza di ripetere il Credo e i comandamenti nella loro lingua”. Nonostante questi risultati, che si potrebbero ritenere umanamente positivi e gratificanti, il suo cruccio era che “Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani”. Anche qui possiamo leggere un riverbero dell’Apostolo Paolo: “Ma come potranno invocare il Signore, se non hanno creduto? E come potranno credere in lui, se non ne hanno sentito parlare? E come ne sentiranno parlare, se nessuno lo annunzia? E chi lo annunzierà, se nessuno è inviato a questo scopo?” (Rm 10,14-15).
In questi giorni di dicembre dell’anno 1927, sotto la protezione di San Francesco Saverio, venivano pubblicati i primi dispacci della neonata “Agenzia Fides”, voluta dal Consiglio Superiore Generale della Pontificia Opera della Propagazione della Fede, che si poneva a servizio della missione attraverso l’informazione, perché il popolo di Dio potesse conoscere la situazione delle missioni e gli argomenti religiosi e sociali delle missioni stesse.
Più di trent’anni dopo, il Concilio Vaticano II riconosceva il contributo dei mezzi di comunicazione sociale “a estendere e a consolidare il Regno di Dio” (Inter mirifica, 2). “Perché tutti e singoli i fedeli conoscano adeguatamente la condizione attuale della Chiesa nel mondo e giunga loro la voce delle moltitudini che gridano: «Aiutateci», bisogna offrir loro dei ragguagli di carattere missionario con l'ausilio anche dei mezzi di comunicazione sociale: sentiranno così come cosa propria l'attività missionaria, apriranno il cuore di fronte alle necessità tanto vaste e profonde degli uomini e potranno venir loro in aiuto. È necessario altresì coordinare queste notizie e cooperare con gli organismi nazionali e internazionali” (Ad Gentes, 36). In occasione dei 50 anni dell’Agenzia Fides, il 3 dicembre 1977, l’allora Prefetto di Propaganda Fide, il Card. Agnelo Rossi, rilevava: “La Fides è stata senza dubbio l’organo di stampa che ha reso il più vasto e qualificato servizio missionario di informazione e di animazione per tutta la Chiesa”.
Ai nostri giorni un impressionante volume di informazioni rimbalza senza sosta da una parte all’altra dei cinque continenti, e tutte vengono bruciate rapidamente. I rischi sono tanti, come la progressiva incapacità di approfondimento di temi e situazioni, aspetto particolarmente rilevante per il mondo missionario, o la realtà di tanti popoli tagliati fuori dal circuito informativo per motivi che a noi appaiono quasi banali, come la mancanza di energia elettrica. Nel panorama delle sfide poste oggi al mondo dei media, e in particolare a quelli che si dedicano alla causa dell’annuncio del Vangelo e non alla vendita di prodotti commerciali, l’Agenzia Fides intende continuare a raccontare la vita delle missioni e di quanti annunciano Gesù Cristo, perché non manchino i missionari e il sostegno alle missioni, nella consapevolezza che “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. (EG1). (SL) (Agenzia Fides 3/12/2020)
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EUROPA/SPAGNA - Avviati i rimpatri dalle isole Canarie di chi non ha diritto alla protezione internazionale
 
Ceuta (Agenzia Fides) –"Sono ripresi i rimpatri dei marocchini dalle Isole Canarie" hanno assicurato ieri, 2 dicembre, al giornale El Espanol, fonti della polizia, senza specificare il numero dei rimpatriati. Si confermano così le informazioni fornite dall'Esecutivo delle Canarie, soddisfatto delle migliaia di posti stabili che il Governo sta installando nelle isole: "soprattutto, perché i posti sono stabili, ma non chi li occupa, ora i rientri sono stati riavviati e vengono incentivati con i paesi di origine e di transito".
In altre parole Marocco, Mauritania e Senegal stanno accettando il ritorno di "coloro che non hanno diritto alla protezione internazionale” usando le parole dello stesso ministro Fernando Grande-Marlaska. Secondo la stampa spagnola, fonti del suo dipartimento non hanno voluto fornire dettagli su quanti rimpatriati ci sono stati o da quando queste operazioni sono state effettuate. Ma le fonti dell'Esecutivo delle Canarie parlano di "circa mille" in "poco più di una settimana".
Il processo sembra sia stato attivato da quando la Conferenza episcopale spagnola (CEE) ha pubblicato un documento, con data 20 novembre, con cui denunciava la terribile situazione dei migranti nelle Isole Canarie e invitava il Governo della Spagna e dell'Unione Europea a non eludere il problema e ad agire in merito. La nota, che raccoglie la lettera pastorale congiunta dei Vescovi delle Canarie e di Tenerife, avvertiva le autorità europee e spagnole che "non si possono creare ghetti isolani per eludere il problema migratorio", aggiungendo che il problema "non è solo nelle Isole Canarie, ma in tutta la Spagna, in Europa e nel mondo”.
Secondo le testimonianze pervenute a Fides, alle Canarie non si rispetta nessun protocollo anti Covid-19. Tutto quello che si fa è spostare qualcuno se risulta positivo.
Da quando è stata decretata la pandemia in Spagna, l'arrivo dei migranti è aumentato senza controllo. Nel 2020 sono sbarcate alle Canarie 16.760 persone. La Spagna non è riuscita a fare un solo rimpatrio attraverso i confini di Ceuta e Melilla, chiusi dal 13 marzo dal Marocco, che ha denunciato problemi sanitari a causa della pandemia di Covid-19.
(CE) (Agenzia Fides 03/12/2020)
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AFRICA/NIGERIA - Rilasciato il sacerdote rapito lo scorso 22 novembre
 
Abuja (Agenzia Fides) - “Ringraziamo Dio perché il nostro fratello p. Matthew Dajo è stato rilasciato sano e salvo, oggi mercoledì 2 dicembre”. Così Sua Ecc. Mons. Ignatius Ayau Kaigama, Arcivescovo di Abuja ha annunciato ieri la liberazione di p. Matthew Dajo, il sacerdote cattolico rapito domenica 22 novembre (vedi Fides 30/11/2020). “Ringraziamo tutti coloro che hanno pregato per la sua liberazione” continua nel suo messaggio Mons. Kaigama. “Ringraziamo anche la famiglia di p. Dajo e tutti coloro che hanno collaborato ad assicurare il suo rilascio. Preghiamo affinché migliori la sicurezza nel Paese” conclude l’Arcivescovo di Abuja.
P. Matthew Dajo, è stato aggredito e rapito da uomini armati domenica 22 novembre nel suo domicilio nella parrocchia di Sant'Antonio, a Yangoji, ad Abuja. Secondo quanto ha appreso l’Agenzia Fides dall’Arcidiocesi di Abuja, la settimana scorsa la polizia era riuscita a circoscrivere l’area dove i rapitori erano nascosti con l’ostaggio, ma ha preferito attendere per non compromettere la vita del sacerdote. (L.M.) (Agenzia 3/12/2020)
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AFRICA/ETIOPIA - Corridoio umanitario per il Tigray, ma c'è il rischio di "deportazione di massa" dei profughi eritrei
 
Addis Abeba (Agenzia Fides) - Il governo etiope ha firmato un accordo con le Nazioni Unite per consentire la creazione di un corridoio umanitario "senza ostacoli", almeno per le aree sotto il controllo del governo federale, che permetta l’arrivo in Tigray di cibo, medicinali e altri aiuti essenziali. Dal 3 novembre, giorno in cui sono iniziati i combattimenti, la regione settentrionale dell’Etiopia è rimasta isolata. Le scorte alimentari e di carburanti si sono progressivamente esaurite. Per settimane le Nazioni Unite e altri hanno chiesto, senza successo, l’accesso alla regione per aiutare i sei milioni di abitanti. "Stiamo lavorando per assicurarci che l'assistenza sia fornita in tutta la regione e a ogni singola persona che ne abbia bisogno" - ha annunciato Saviano Abreu, un portavoce delle Nazioni Unite . "Chiediamo che tutte le parti in conflitto garantiscano che gli aiuti al Tigray arrivino a destinazione e siano distribuiti secondo i principi di umanità, imparzialità, indipendenza e neutralità" ha aggiunto.
La situazione umanitaria è grave. Si stima che più di un milione di persone nel Tigray siano sfollate, di cui oltre 45.000 sono fuggite nel vicino Sudan. La condizione peggiore è quella dei quasi 100.000 rifugiati eritrei i cui campi vicino al confine del Tigray erano sul fronte dei combattimenti. Alcuni rifugiati sarebbero stati uccisi o rapiti e sarebbero state perpetrate gravi violazioni delle norme internazionali.
"Scontri armati a parte - spiega all'Agenzia Fides p. Mussie Zerai, sacerdote eritreo impegnato nel sostegno ai rifugiati eritrei - nei campi profughi si profilano due minacce: il rischio di deportazione forzata in Eritrea e difficoltà di sussistenza enormi a causa della brusca interruzione di tutte le forme di assistenza e rifornimento anche dei beni più indispensabili".
La minaccia di deportazione riguarda in particolare il campo di Shimelba, quello più settentrionale e più vicino alla frontiera con l’Eritrea. Circolano da giorni notizie che circa seimila profughi sarebbero stati bloccati all’interno o nei dintorni del centro di accoglienza e rimpatriati in stato d’arresto da parte di reparti militari eritrei entrati in territorio tigrino, come alleati dell’esercito federale etiopico. "In sostanza, una vera e propria deportazione di massa - sostiene abba Mussie -, le cui vittime rischiano di diventare dei “desaparecidos” introvabili, perché tutti i registri dell’Unhcr sarebbero stati distrutti, in modo da non lasciare traccia degli ospiti del campo o comunque da rendere estremamente difficili le ricerche. L’Etiopia è tenuta a garantire l’incolumità e la libertà di quelle persone. Nessuno può ignorare, infatti, che tutti i profughi vengono considerati dal regime di Asmara 'traditori' e 'disertori': costringerli a tornare in Eritrea significa esporli a una vera e propria rappresaglia, fatta di galera e di morte. Ovvero, alla rivalsa e alla vendetta di quella dittatura che ogni rifugiato ha messo sotto accusa di fronte al mondo intero con la sua stessa fuga".
L’assistenza è un problema di crescente gravità che riguarda tutti i campi profughi. Fino alla guerra, assistenza e rifornimenti sufficienti per la vita quotidiana delle migliaia di profughi sono stati assicurati dal governo del Tigray e da aiuti umanitari internazionali. Dall’inizio del conflitto le forniture e i servizi si sono rapidamente ridotti fino a esaurirsi.
"Chiediamo con forza – conclude abba Mussie - interventi urgenti a tutte le principali istituzioni internazionali (in particolare a Nazioni Unite, Unione Africana, Unione Europea oltre allo stesso governo di Addis Abeba) con tre obiettivi prioritari: verificare la fondatezza della notizia dei rimpatri forzati in Eritrea di migliaia di profughi e, in caso ci siano state effettivamente delle deportazioni, intervenire con la massima rapidità e risolutezza; organizzare canali umanitari che consentano il trasferimento verso altri Stati delle migliaia di profughi che si sono trovati loro malgrado coinvolti nella guerra; riaprire subito le frontiere del Tigray agli aiuti umanitari".
(EC) (Agenzia Fides 3/12/2020)
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ASIA/INDONESIA - Messaggio ecumenico dei Vescovi: Dio cammina con noi in mezzo alla pandemia e alla sofferenza
 
Giacarta (Agenzia Fides) - "I cristiani sono chiamati a restare saldi nella fede in mezzo a tutte le lotte e le difficoltà della vita, poiché Dio porta luce nell'oscurità e dà speranza in mezzo alla disperazione": è quanto affermano i Vescovi cattolici e protestanti dell'Indonesia nel loro comune messaggio natalizio. Con l'inizio del periodo di Avvento, la Conferenza episcopale cattolica dell'Indonesia (KWI) e la Conferenza delle Chiese protestanti unite indonesiane (PGI), hanno scelto di elaborare e diffondere una riflessione congiunta per tutti i battezzati dell'Indonesia. In pieno spirito ecumenico, i Vescovi invitano tutti i cristiani in Indonesia a riflettere sul passo del Vangelo di Matteo "E lo chiameranno Emmanuele" (Mt 1,23).
Il messaggio, diffuso il 1° dicembre, rileva che l'umanità in tutto il mondo sperimenta il tremendo orrore della pandemia Covid-19. I leader cristiani riconoscono che questa pandemia ha distrutto molti aspetti della vita umana: molte famiglie sono nel dolore e nel lutto, perché hanno perso i loro cari; molte persone hanno perso il lavoro, gli studenti costretti a studiare online da casa, perdendo così opportunità di vita sociale.
I fedeli - nota il testo - sono a disagio perché non possono recarsi in chiesa per pregare e ricevere i sacramenti. Inoltre, rilevano i Vescovi, anche il numero dei crimini è aumentato. La situazione generale, in Indonesia, ha generato una ripresa delle spinte identitarie, rifiorite nella società, che provocano incitamento all'odio, intolleranza, radicalismo e divisione tra i gruppi sociali.
In questa cornice, si nota che "l'umanità è fragile fisicamente e psicologicamente". “Siamo facilmente intrappolati nei pesanti fardelli della vita, fragili per l'avidità che ci porta a corruzione e ingiustizia. Il virus conferma che gli uomini, indipendentemente da status sociale, religioni e istruzione, hanno bisogno l'uno dell'altro". In questa tempesta "la fede in Dio è come fonte di aiuto", affermano i Vescovi:
“Come cristiani, abbiamo sofferto come gli altri, ma possiamo vivere la nostra sofferenza in pace e nella fiducia che Dio cammina con noi, per affrontare insieme la sofferenza. Dio non ci lascerà mai nella paura: il potere della fede e dell'amore consente al cristiano di affrontare situazioni difficili con la pace e la fede”, osserva il messaggio.
Invitando tutti i cristiani ad "accogliere e sentire la presenza di Gesù come vera luce nell'oscurità", si afferma: “In Gesù, l'Emmanuele, Dio è veramente presente in mezzo a noi; la nostra fragilità è preziosa agli occhi di Dio. Il nome Emmanuele, Dio-con-noi, dice proprio che Dio è in mezzo a noi e opera per rinnovarci. Questa presenza consente ai cristiani di affrontare difficoltà nella vita”. il testo invita a scorgere la presenza di Dio nella storia del suo popolo, fin dall'Antico Testamento e poi nell'incarnazione di Gesù Cristo, Principe della pace.
“Incoraggiati da questa certezza e dalla forza dell'amore, tutti i cristiani devono coltivare la solidarietà verso gli emarginati e i sofferenti. La presenza di Dio deve ricordarci che ogni uomo è fatto a immagine di Dio, e questa è la dignità inalienabile dell'umanità. Pertanto, la vita umana è preziosa e dobbiamo prendercene cura e proteggerla" sottolinea il messaggio, invitando a "imitare Gesù nel fare il bene secondo la nostra missione".
In questo speciale periodo, i Vescovi chiedono ai cristiani di "stare alla larga da incitamenti all'odio, fake news, intolleranza e atti criminali", esortandoli a "testimoniare la compassione e la generosità di Dio in questa pandemia per aiutare il prossimo e portare i pesi gli uni degli altri.
L'Indonesia è un paese con 270 milioni di abitanti, 230 milioni dei quali musulmani. Ci sono 24 milioni di cristiani in il Paese, e tra loro 7 milioni sono cattolici.
(ES-PA) (Agenzia Fides 3/12/2020)
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ASIA/BANGLADESH - I cristiani bangladesi chiedono il rilascio del Gesuita p. Stan Swamy in India
 
Dhaka (Agenzia Fides) - I cristiani del Bangladesh si uniscono ai battezzati in India nel chiedere al governo indiano il rilascio immediato dell'83enne Gesuita padre Stan Swamy, arrestato in India per presunta complicità con i gruppi ribelli maoisti e accusato di sedizione (vedi Fides 9/10, 20/10 e 26/10/2020). Come appreso dall'Agenzia Fides, la "Bangladesh Christian Association" (BCA) ha scritto una lettera ufficiale al Premier indiano Narendra Modi chiedendo "il rilascio immediato di padre Stan Swamy".
Nella lettera pervenuta a Fides, firmata dal presidente della BCA, Nirmol Rozario, si legge: “Noi, comunità cristiana del Bangladesh, siamo seriamente preoccupati per la detenzione di padre Stan Swamy, SJ in India. L'8 ottobre 2020, l'83enne padre Stan Swamy, SJ, è stato arrestato dalla National Investigation Agency (NIA) di Ranchi, in India. Ora si trova nella prigione centrale di Talaja, Mumbai. Padre Stan Swamy è stato uno strenuo difensore dei diritti umani e ha lavorato per tutta la vita in favore dei poveri, dei dalit, dei tribali e degli emarginati, seguendo l'esempio di Gesù Cristo che è venuto a predicare la Buona Novella ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri e la restituzione della vista ai ciechi, a dare libertà a coloro che sono oppressi, a proclamare l'Anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19).
Nella lettera i cristiani del Bangladesh si dicono allarmati per le condizioni fisiche di padre Stan: "Data l'età e le condizioni fisiche di padre Stan Swamy, è un atto brutale tenerlo in custodia mentre è pienamente disposto a collaborare per ulteriori indagini. Pertanto, noi, membri della Associazione Cristiana del Bangladesh, chiediamo di intervenire e far rilasciare padre Stan Swamy, SJ, ripristinando così il rispetto dei diritti umani come priorità per la nazione". I leader della BCA informano che vogliono condurre una manifestazione pacifica a Dhaka per il rilascio di padre Stan Swamy, ricordando che, data l'età e data l'assurdità delle accuse mosse contro di lui, il governo dovrebbe liberarlo immediatamente.
Recentemente una delegazione della Bangladesh Christian Association, guidata da Nirmol Rozario, ha incontrato l'Alto Commissario dell'India in Bangladesh, Vikram Doraiswamy, perorando la causa dell'urgente liberazione di p. Stan.
(FC-PA) (Agenzia Fides 3/12/2020)
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ASIA/INDIA - I Gesuiti a Goa: "Sulle orme di san Francesco Saverio, restiamo accanto ai poveri e ai sofferenti"
 
Panaji (Agenzia Fides) - “Seguendo le orme di San Francesco Saverio, siamo chiamati a restare accanto ai poveri e chi non ha voce, diventando veri testimoni e annunciatori di Cristo": lo ha detto il Provinciale dei Gesuiti a Goa, p. Roland Coelho, ricordando, in occasione della sua festa, il 3 dicembre, la figura del santo evangelizzatore dell'Asia, che approdò a Goa, e fu poi proclamato "Patrono delle missioni". Nel messaggio pervenuto all'Agenzia Fides, p. Coelho afferma: "Lasciamo che l'amore di Cristo ci trasformi. Lasciamoci riempire dal fuoco dell'amore di Cristo per tutte le persone. Durante questa pandemia di Covid-19 possiamo essere testimoni e profeti, restando accanto alle persone bisognose o sofferenti, indipendentemente dalla loro religione. Siamo accanto ai contadini che protestano a Delhi, privati dei loro diritti. Siamo accanto a padre Stan Swam e altri prigionieri politici che hanno lottato per i diritti di tribali, dalit e oppressi. Siamo accanto ai vulnerabili, emarginati e senza voce".
Padre Roland ha ricordato "le lettere di Francesco Saverio, che hanno fatto conoscere in Europa la sua attività missionaria nei paesi asiatici, infiammando tanti cuori alla missione". E ha detto: “Francesco Saverio, confrontandosi con Ignazio di Loyola, si chiedeva: cosa ho fatto per Cristo? Cosa sto facendo per Cristo? Cosa devo fare per Cristo? Ignazio lo esortava a guardare oltre se stesso e ad abbracciare il mondo intero. Francesco Saverio avvertì il bisogno di predicare la Buona Novella al mondo intero". Ha proseguito il Provinciale: "Approdato a Goa, Francesco Saverio non conosceva la lingua locale. L'ha imparata, ha fatto tradurre il catechismo e l'ha insegnato nella lingua locale. All'inizio lo hanno deriso e insultato. Poi la gente ha visto la genuinità e la santità in quest'uomo e lo ha apprezzato come persona autentica, promotrice di pace e di bene".
Il Santo oggi unisce persone di tutte le fedi, come ha sottolineato nel suo messaggio il Primo Ministro di Goa, Pramod Sawant, rimarcandone "il carattere di unità e la benedizione che rafforza il tessuto sociale, in tempo di pandemia".
Per la prima volta in 400 anni, la solenne Eucarestia della festa di San Francesco Saverio, celebrata oggi, 3 dicembre, nella Basilica del Bom Jesu a Goa, è stata trasmessa online e in tv, a causa delle restrizioni imposte per il Covid-19: i fedeli hanno partecipato virtualmente dalle loro case. Per le stesse ragioni, non si è tenuto nel 2020 il consueto pellegrinaggio alla Basilica di Bom Jesu per la Novena di S. Francesco Saverio, che riuniva fedeli da tutta la nazione per chiedere guarigione e benedizione. Un solo rappresentante per parrocchia è stato ammesso a venerare il corpo di San Francesco Saverio, conservato nella Basilica.
(LM-PA) (Agenzia Fides 3/12/2020)


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ASIA/LIBANO - I Vescovi maroniti sollecitano la rapida applicazione dei controlli anti-corruzione nelle istituzioni pubbliche
 
Bkerké (Agenzia Fides) – I Vescovi maroniti “prendono atto” della iniziativa politica innescata dal Presidente Michel Aoun e volta a stabilire misure di controllo contabile per combattere la corruzione nelle istituzioni pubbliche libanesi. Nel contempo, sottolineano l’urgenza di approvare in Parlamento e emanare in tempi brevi, i dispositivi di legge necessari a mettere in atto le procedure anti-corruzione nei singoli dipartimenti e organismi dell’amministrazione pubblica nel Paese dei Cedri.
La sollecitazione a porre in essere in tempi brevi le regole e le disposizioni di legge anche penali volte a combattere la corruzione diffusa e a porre rimedio alla “mala gestio” delle istituzioni pubbliche libanesi è stata espressa dai Vescovi maroniti nel comunicato finale della loro riunione mensile, svoltasi mercoledì 2 dicembre presso la sede patriarcale di Bkerké, sotto la presidenza del Patriarca Cardinale Béchara Boutros Raï.
Di recente un audit (procedimento di valutazione) sul funzionamento e la trasparenza contabile della Banca del Libano, affidato alla società Alvarez & Marsal, era stato ostacolato dal rifiuto della stessa Banca di consegnare i documenti richiesti per il procedimento di valutazione, con il protesto di dover rispettare il “segreto bancario”. Dopo tale episodio, il Presidente Aoun ha inviato al Parlamento una lettera con la richiesta di garantire l’attuazione dei procedimenti di valutazione relativi alla Banca del Libano e a tutte le amministrazioni, le istituzioni e i fondi pubblici, in modo da avviare attraverso questi strumenti un processo di generale messa in sicurezza del sistema nazionale rispetto alla corruzione diffusa.
Nel loro comunicato, i Vescovi maroniti hanno anche espresso la volontà di unire la propria voce a "a quella del popolo libanese, insoddisfatti dei ripetuti tentativi di impedire la formazione di un nuovo governo, in contraddizione con le promesse dei blocchi parlamentari”. Nelle dichiarazioni ufficiali, i Partiti e gli schieramenti politici libanesi affermano il proprio sostegno alla costituzione di un governo di esperti indipendenti, che si faccia carico di avviare il processo di riforme necessarie al Paese. Poi, a livello concreto, la formazione del nuovo esecutivo è bloccata da mesi, e il Premier designato Saad Hariri non riesce a creare la sua squadra di governo.
Nella riunione svoltasi a Bkérké, il Patriarca Béchara Boutros Raï ha esposto ai Vescovi maroniti un breve resoconto del suo ultimo incontro con Papa Francesco, svoltosi in Vaticano sabato 28 novembre. Nel comunicato finale del loro incontro, i Vescovi maroniti ringraziano Papa Francesco per la sua vicinanza al Libano, espressa in maniera rinnovata anche dopo la catastrofica esplosione verificatasi il 4 agosto nel porto di Beirut. Nel corso dell’udienza papale concessa al Patriarca – riferisce un comunicato ufficiale del Patriarcato maronita – il Cardinale libanese ha rinnovato l’invito rivolto a Papa Francesco a compiere una visita pastorale in Libano. (GV) (Agenzia Fides 3/12/2020)
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giovedì 28 maggio 2020

Agenzia fides 28 maggio 2020

VATICANO - L'Arcivescovo Dal Toso: "Per il Papa è prezioso il contributo delle POM alla missione universale della Chiesa"
 
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – “Il cuore delle Pontificie Opere Missionarie batte dove batte il cuore della Chiesa”: con questa espressione l'Arcivescovo Giampietro Dal Toso, Presidente delle Pontificie Opere Missionarie (POM) e Segretario aggiunto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, commenta in un’intervista all’Agenzia Fides il Messaggio che Papa Francesco ha voluto donare alle Pontificie Opere Missionarie (vedi Fides 22/5/2020). Il messaggio è stato accolto dalle POM “con stupore e gratitudine”, come un appello che “vuole aiutare le Opere a rinnovarsi, riscoprendo la linfa originale”. "Il Papa invita le POM a vivere l’originarietà del loro carisma, per una Chiesa realmente missionaria", osserva mons. Dal Toso. Ecco il testo completo dell’intervista rilasciata a Fides:

Come le POM hanno accolto il messaggio del Papa?

Con stupore e gratitudine. Sono rimasto contento quando ho appreso dell’intenzione del Papa di inviare un messaggio alle Pontificie Opere Missionarie. Del resto, come Egli stesso ha scritto, il suo desiderio era di visitarci nel corso della nostra Assemblea generale, che si doveva tenere in questi giorni, ma purtroppo è stata sospesa a motivo della pandemia in corso. Leggo tutto questo in primo luogo come segno di attenzione speciale a questa Istituzione che ha quasi 200 anni di storia e che tanto bene ha fatto alla Chiesa: senza le POM la missione evangelizzatrice della Chiesa, soprattutto negli ultimi cento anni, non avrebbe portato i frutti che ora vediamo. Per me dunque il Messaggio del Papa è motivo di gratitudine e, nello stesso tempo, di riflessione per le sfide che abbiamo davanti e che il Papa ha opportunamente indicato. Non dimentichiamo che le POM sono una rete universale, con ca. 120 direzioni nazionali e incaricati in ogni diocesi.

Il Messaggio tocca l'identità e la natura delle Opere: come può aiutare a rinnovarne la missione?

Papa Francesco dice spesso che senza radici non ci sono frutti. Lo scopo del Messaggio è esattamente quello di aiutare le Opere a rinnovarsi, riscoprendo la linfa originale. Nei suoi discorsi alle POM nel 2017 e nel 2018 il Papa ha parlato della necessità di questo rinnovamento. Perché? Perché il mondo e la Chiesa di oggi non sono più quelli di 50 anni fa e dunque questo ci pone anche di fronte alla domanda: come parlare al cristiano di oggi e come declinare la missione nel mondo di oggi? Sappiamo tutti che il paradigma missionario non è più necessariamente quello da nord a sud, ma piuttosto quello di una Chiesa comunione che si sostiene mutuamente nella missione, condividendo quanto si ha. Il problema non è – e il Papa lo dice proprio in riferimento al carisma – quello di cambiare identità, ma piuttosto di rispondere, con il carisma, alle necessità della Chiesa e del mondo di oggi. Ho più volte detto nei miei incontri che, se Papa Francesco chiede una Chiesa missionaria, allora anche noi dobbiamo chiederci come il nostro carisma, che è un carisma missionario, può aiutare la Chiesa nella conversione missionaria.

Quali sono, a suo parere, i punti qualificanti del testo?

Credo sia centrale la fede: mi rincuora molto e mi incoraggia il fatto che il Papa abbia collocato il carisma nel contesto della missione, e la missione nel suo riferimento a Cristo, e dunque alla fede. La missione esiste perché ne va della fede come adesione personale a Cristo, sia del missionario che della persona che riceve l’annuncio della fede. In questo senso l’istituzione ha il suo senso nel favorire questo movimento fondamentale da Cristo all’uomo e viceversa. Il Papa parte da questa considerazione e perciò ritengo questo il fulcro del Messaggio. Poi certamente ci sono molti altri aspetti di ispirazione per noi: l'azione dello Spirito Santo, la riscoperta del carisma originario con l’accento sulla preghiera e sulla carità; il sostegno alla Chiesa locale; la caratteristica di questo carisma di essere vissuto dal semplice fedele e dunque la partecipazione del battezzato alla missione della Chiesa; il legame specifico con il ministero petrino, di cui siamo strumento.

In che modo pensa si possano evitare le “insidie” citate?

Le insidie ci saranno sempre e il Papa ci incoraggia ad affrontarle, come ogni buon padre con un figlio. Purtroppo devo anche riconoscere che troppo spesso delle POM viene considerato solo l’aspetto finanziario. Ma il Papa ricorda che il carisma e l’istituzione si appartengono mutuamente, e c’è sempre bisogno di riprendere la freschezza del carisma perché l’istituzione mantenga la sua funzione fondamentale di tutelarlo e di rendere permanente la sua fecondità missionaria. Il rinnovamento in atto, per il quale Papa Francesco ci dà preziosi consigli, esprime esattamente il nostro desiderio di non perdere l’originarietà del carisma stesso e di viverlo oggi. Per essere più concreti, da un anno le POM stanno attraversando una riflessione ai diversi livelli, internazionale, nazionale e diocesano, proprio per capire dove situare il rinnovamento e come applicarlo. Credo che la strada indicata da Papa Francesco, e cioè da una parte l’attenzione alle insidie, e dall’altra i consigli per il cammino, siano i binari sui quali il rinnovamento potrà procedere sicuro.

Quale strada percorreranno in futuro le POM?

Da sempre scopo delle POM è aiutare tutti a vivere una fede missionaria e universale. Nel 2022 compiremo 200 anni di vita e proprio in questi giorni ci ha raggiunto la bella notizia che è stato riconosciuto il miracolo della fondatrice della prima Opera, Pauline Jaricot, che ha dato una struttura fondante a tutta la nostra attività. Quindi c’è già una strada tracciata. Pensiamo solo a cosa significa la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, che, fin dal 1926, vuole coinvolgere tutte le parrocchie del mondo nella animazione missionaria. Penso ai tanti malati che offrono le loro sofferenze per la missione in quei Paesi dove le POM lavorano con i malati. Pensiamo all’aiuto finanziario che continuiamo ad offrire, grazie alla condivisione di molti, e per il quale porto qualche esempio, riferendomi al 2019: per ognuno dei quasi 25.000 seminaristi maggiori dei paesi di missione (Asia, Africa, Oceania e, in parte, America Latina) diamo un contributo di 450 dollari Usa, che in alcuni Paesi copre quasi la totalità del costo annuale della formazione; ogni circoscrizione ecclesiastica dei Paesi di missione riceve un contributo per le spese ordinarie per un importo totale di più di 27 milioni di dollari Usa; abbiamo finanziato progetti di educazione scolastica per circa 7 milioni di dollari Usa. Oppure penso al fatto che ogni anno contribuiamo con più di 11 milioni di dollari alla formazione e al sostentamento dei catechisti laici, che nei territori di missione sono animatori fondamentali delle comunità cristiane. In questo momento stiamo aiutando molte Diocesi rimaste senza sostegno a motivo del Covid-19. Questo impegno, materiale e spirituale, dovrà continuare, anche perché sono le Chiese locali a chiedercelo, ma in quello spirito che il Papa ha sottolineato: il cuore della missione è risvegliare la fede nella comunione della carità. E vorrei aggiungere che questo non può essere uno sforzo delle sole POM. Questo è un criterio sul quale siamo chiamati a misurare tutta la nostra azione ecclesiale. E il cuore delle POM batte dove batte il cuore della Chiesa.
(Agenzia Fides 28/5/2020)
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VATICANO - Il Segretario generale dell'Opera della Propagazione della Fede: Pauline Jaricot, una laica con il cuore rivolto all'evangelizzazione
 
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – “Il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione per le cause dei Santi a promulgare il Decreto con il quale la Chiesa riconosce il miracolo attribuito all'intercessione della nostra amata e venerabile Fondatrice, Pauline Marie Jaricot. Questa notizia ha riempito il mio cuore e il cuore di tutti i membri della Pontificia Opera Missionaria della Propagazione della Fede e, in effetti, l'intera famiglia delle Pontificie Opere Missionarie con grande gioia e ringraziamento. Pauline non è stata solo ispirata a creare una rete mondiale di preghiera e carità a sostegno della Chiesa nelle terre di missione, ma ha dedicato tutta la sua vita e il suo patrimonio familiare a questo beato impegno. Era una donna di profonda fede e virtù cristiana, con un particolare amore per l'adorazione eucaristica e la preghiera del Rosario": con queste parole padre Tadeusz J. Nowak, OMI, Segretario generale della Pontificia Opera Missionaria della Propagazione della Fede commenta a Fides la promulgazione del Decreto che riconosce il miracolo attribuito all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Paoline Marie Jaricot (vedi Fides 27/5/2020).
Il Segretario generale prosegue: "Durante la sua vita, ha sopportato molte sofferenze, sia fisiche che spirituali. Tuttavia, nonostante tutte le sue prove, è rimasta ferma nella sua dedizione e perseveranza per il lavoro che ora è una rete mondiale a sostegno della sollecitudine del Santo Padre per le missioni e le giovani Chiese nei territori di missione. È rimasta una laica dedita al servizio di Cristo e della Sua Chiesa, profondamente impegnata nell'evangelizzazione del mondo. Ora intercederà per l'intera Chiesa, ma avrà sicuramente un posto speciale nel suo cuore per tutti i membri della rete mondiale di preghiera e carità che ha fondato: mentre il mondo si trova nella crisi provocata dalla pandemia, c'è grande speranza e gioia nella certezza della comunione dei Santi. La nostra amata fondatrice, Pauline, che presto sarà proclamata beata, continua a guidare la meravigliosa opera delle Pontificia Opera Missionaria per la diffusione della Buona Novella nel mondo".
Pauline Maria Jaricot, Fondatrice del “Consiglio della Propagazione della Fede” e del “Rosario Vivente”, nacque il 22 luglio 1799 a Lione (Francia) e vi morì il 9 gennaio 1862, nella miseria e nell'indifferenza generale. Benedetto XV elevò l'Opera da lei fondata a “Pontificia” e trasferì la sua sede da Lione a Roma. Papa Giovanni XXIII l'ha dichiarata venerabile il 25 gennaio 1963. Il 26 maggio 2020 Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del Decreto riguardante il miracolo attribuito alla sua intercessione. (SL) (Agenzia Fides 28/5/2020)
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AFRICA/UGANDA - “Diversi Vescovi hanno chiesto di potere accedere al Fondo di emergenza POM; le necessità sono tante”
 
Kampala (Agenzia Fides) – “L'Uganda è ancora sotto blocco imposto dal 21 marzo. C'è stato un certo allentamento di alcune misure ma mantenendo le distanze sociali e indossando la mascherina in strada e in qualsiasi tipo di incontri” dice p. Pontian Kaweesa, Direttore delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Uganda che all’Agenzia Fides descrive la situazione della Chiesa e del Paese bloccato per la pandemia da COVID-19.
“A causa del divieto dei servizi religiosi nei luoghi di culto, le persone continuano a pregare privatamente nelle loro case. Si è dato quindi nuovo slancio alla Chiesa domestica. Ho ricevuto molte testimonianze di persone e famiglie che leggono insieme la Bibbia e recitano preghiere nelle loro case; il Rosario, le Litanie di Nostra Signora e la coroncina della Divina Misericordia”. Moltissime persone e famiglie inoltre guardano la Messa ogni giorno soprattutto in TV e quelle trasmesse in streaming sui loro smartphone e alla radio”. Diverse famiglie inoltre seguono la Messa quotidiana del Santo Padre da Roma con le sue omelie così edificanti e molte persone hanno pregato con lui e per le persone per le quali ha sempre chiesto di pregare: infermieri, medici; i migranti, i rifugiati, i malati e quelli che sono morti a volte in solitudine” sottolinea p. Kaweesa.
P. Kaweesa sottolinea l’importanza del fondo d’emergenza delle POM mondiali per le attività caritative della Chiesa in Uganda. “Vi sono situazioni di emergenza che hanno richiesto l'attenzione della Chiesa in molte diocesi dell'Uganda. Per citarne solo alcuni, abbiamo case per portatori di handicap o invalidi come la casa di Nalukolongo (Papa Francesco ha visitato questa casa durante la sua visita apostolica in Uganda nel 2015); a Kisenyi e Busega” dice. “Due congregazioni, quella dei “Missionaries of the Poor” composta da laici fratelli e sacerdoti e l'altra delle “Missionaries of the Poor Nuns", composta da religiose, hanno case e istituzioni che si prendono cura dei malati, degli affamati e dei portatori di handicap intorno alla città di Kampala. Offrono pasti quotidiani a una gran numero di persone che altrimenti non avrebbero da mangiare e imboccano coloro che hanno problemi fisici così gravi da non essere autosufficienti”. P. Kaweesa cita uno di loro, p. Borals, “Abbiamo alcuni adulti e bambini mentalmente turbati con HIV / AIDS che sono più difficili da gestire, ecco perché i loro genitori li abbandonano”. Il monastero ospita oltre 282 adulti e bambini senzatetto e un dispensario medico che serve lo slum di Mengo-Kisenyi. Fornisce anche borse di studio ad oltre 400 bambini e giovani nelle scuole primarie e secondarie. P. Kaweesa ricorda inoltre che “nella diocesi di Kasese nel sud-ovest dell'Uganda, le piogge torrenziali hanno provocato inondazioni e frane che hanno devastato l'ospedale di Kilembe e provocato lo sfollamento di diverse persone. Le strutture diocesane sono state convertite in un ospedale e migliaia di persone vengono curate in due vicine scuole primarie”. “Alcuni Vescovi che devono affrontare emergenze di questo tipo nelle loro diocesi, hanno richiesto il Fondo speciale di emergenza POM per le vittime del Coronavirus” dice p. Kaweesa. “Ho inoltrato la loro richiesta alla Nunziatura in Uganda e sto aspettando di ricevere risposta da Roma. Confido che le loro domande riceveranno una risposta adeguata. Ho inviato una lettera a tutti i Vescovi in Uganda e li ho informati del Fondo di emergenza POM COVID-19 a Roma a cui anche loro possono contribuire”. “Le persone al momento fanno fatica a offrire un contributo” ammette il Direttore Nazionale delle POM tuttavia “a livello nazionale molte società, banche e istituzioni finanziarie, individui, diocesi e la Conferenza episcopale dell'Uganda (UEC) hanno offerto denaro, generi alimentari e veicoli alla Task Force nazionale per aiutare i bisognosi. Possiamo solo sperare e pregare che questo spirito di preghiera e carità continui anche dopo la fine della pandemia. La missione e l'evangelizzazione ne usciranno così rafforzate” auspica p. Kaweesa. (L.M.) (Agenzia Fides 28/5/2020)
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AFRICA/KENYA - Con l'aumento dei contagi per Covid 19, si aggrava la situazione dei bambini più vulnerabili
 
Nairobi (Agenzia Fides) – L’emergenza sanitaria causata dal Covid 19 aggrava la situazione dei bambini più vulnerabili. In prima linea per rispondere alle esigenze dei piccoli assistiti negli istituti di cura cattolici vi è l’Association of Sisterhoods Kenya (AOSK). Come Fides ha appreso dal programma Catholic Care for Children Kenya" (CCC-Kenya), sono emerse varie difficoltà come l’interruzione delle donazioni a favore delle case che si occupano di bambini, con la conseguente carenza di approvvigionamento di prodotti alimentari, dispositivi sanitari di protezione, acqua corrente e tutte le misure principali atte a contenere la diffusione del virus.
In un rapporto redatto dal suor Delvin Mukhwana, coordinatrice del programma CCC-Kenya, e inviato a Fides, emergono le diverse sfide affrontate dalle istituzioni cattoliche: la maggior parte delle case e le piccole istituzioni cristiane dipende da benefattori che attualmente non sono in grado di garantire le offerte necessarie.
L’AOSK, da parte sua, ha risposto a questa crisi inviando fondi ai vari istituti di assistenza all'infanzia (CCI) per sostenerli nell'acquisto di beni di prima necessità. In totale, hanno beneficiato di questo fondo 127 CCI che ospitano oltre 10.000 bambini e oltre 5000 beneficiari indiretti.
Suor Mildred Nekesa, amministratrice della Madre Ippolita Children's Home Ndithini, diocesi di Machakos, si è detta grata dell’enorme contributo dell’AOSK e ha sottolineato che, durante il momento più difficile della pandemia di Covid-19, l’Associazione ha sostenuto la loro CCI con fondi per acquistare cibo, sapone, disinfettanti, maschere per il viso e per fare fronte ad altre importanti esigenze dei bambini.
Secondo le informazioni del Ministero della Salute keniota, il 27 maggio il paese ha registrato 123 contagi, il più alto numero di casi di Coronavirus in un solo giorno e tre decessi in un colpo solo.
Attualmente il numero totale di contagiati all’interno del paese è 1471. Il Ministro Mutahi Kagwe ha specificato che dei 123 casi, 85 arrivano dalla Capitale, compreso lo slum di Mathare con 33 contagi e quello di Kibera con 14, più altri casi distribuiti in altre zone povere della città, ma anche in quartieri commerciali e popolosi. A Mombasa, e particolarmente nella Città Vecchia, altri 24 casi, mentre dopo più di due mesi viene segnalato un caso nella Contea di Kilifi. Il positivo più giovane ha un anno, quello più vecchio ne ha 76.
(AP) (Agenzia Fides 28/5/2020)
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AFRICA/NIGER - Divelta la croce, simbolo della parrocchia di p. Maccalli
 

Niamey (Agenzia Fides) – E' stata divelta la croce simbolo della parrocchia di p. Pierluigi Maccalli, il missionario della Società delle Missioni Africane rapito nel settembre 2018. “Secondo le testimonianze raccolte, la croce di ferro era stata fissata nel 1995, anno della creazione della parrocchia. Si tratta della stessa dove è stato rapito P. Pierluigi Maccalli il mese di settembre del 2018. Portare via lui è stato anche divellere la croce dal territorio di Bomoanga, sperduto nella savana di confine, a metà del nulla” dice all’Agenzia Fides p. Mauro Armanino, confratello di p. Macalli.
“Sulla collina andavano in pellegrinaggio soprattutto per domandare la pioggia nei duri tempi della siccità di stagione. Pioveva a dirotto ogni volta, prima ancora che la preghiera finisse. Anche i musulmani del paesino invitavano i cristiani, vista l’efficacia ‘empirica’ della preghiera, ad andare sulla collina della croce a un paio di miglia dal villaggio. La croce, alta e in ferro, si vedeva dal villaggio, fino a due settimane fa” racconta p. Armanino.
“Venerdì 15 maggio uomini ignoti sono saliti attrezzati sulla collina e hanno divelto la croce, solidamente avvitata al cemento tramite bulloni a prova di ruggine. Hanno strappato la croce dal suo posto e l’hanno poi deposta su una pietra non lontano” afferma il missionario. “Si presume siano stati coloro che la stampa e la gente chiama i ‘jihadisti’, armati e a volte incappucciati che traversano e terrorizzano i cristiani e la gente dei villaggi della regione”. “All’inizio del mese - continua il missionario - loro o altri affiliati, hanno reso visita al capo villaggio ricordando i comandamenti guida della loro strategia: evitare di denunciarli alle forze governative, non tagliare alberi, evitare l’alcol e soprattutto rifiutare tutto ciò che non sia l’Islam”. “Questi sono i precetti che li accompagnano e che, grazie alle armi e all’abbandono delle Forze di Difesa e di Sicurezza, mantengono in uno stato costante di paura i contadini del posto e in particolare i cristiani. Questi ultimi, ormai da tempo, non si riuniscono più nella chiesa che Pierluigi aveva concepito e poi realizzato per loro e con loro. La paura li spinge a pregare nelle case e le porte della chiesa sono chiuse. La croce strappata è allora il simbolo di quanto si cerca di strappare ad ogni costo dal cuore della gente: la fede vissuta nel Vangelo che libera. I contadini sono pazienti e sanno bene che la croce è scritta sulla terra e nessuno potrà più portarla via” conclude p. Armanino. (L.M.) (Agenzia Fides 28/5/2020)
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ASIA/BANGLADESH - Rilascio di detenuti per contenere il coronavirus: secondo la Chiesa è "un passo giusto"
 
Dhaka (Agenza Fides) - Dacca (Agenzia Fides) - “Accogliamo con favore la decisione del governo di rilasciare tremila detenuti. È un'iniziativa tempestiva. Molte persone, in carcere per reati minori o lievi, possono essere rilasciati in questa situazione di pandemia". Cosi afferma all'Agenzia Fides, Mons. Bejoy N. D’Cruze, Vescovo di Sylhet e presidente della Commissione episcopale per l'unità dei cristiani e il dialogo interreligioso, accogliendo con favore il passo annunciato dal governo bangladese di rilascire i detenuti con pena minore di un anno di reclusione, come misura per evitare il sovraffollamento e contenre il contagio da coronavirus. Dopo alcuni casi di positività per Covid-19 registrati in carcere, le autorità hanno disposto il rilascio graduale di oltre tremila detenuti, iniziando a liberare oltre 385 prigionieri.
“Ho visitato le carceri nei mesi scorsi. Gesù ci ha insegnato l'amore e la cura di quelli che sono in prigione. E' nostra missione prenderci cura di chi è dentro la prigione", nota il vescovo. La Commissione episcopale per "Giustizia e pace" ha una specifica pastorale dei detenuti . P. Liton Hubert Gomes, sacerdote di Santa Croce, incaricato di quel ministero pastorale , racconta ad Agenza Fides che il Bangladesh ha circa 90.000 detenuti mentre la capacità massima degli istituti di pena è 40.000. Circa anche 180 sono cristiani, 40 dei quali stranieri. “È importante provvedere alla sicurezza, in tempo di pandemia: il rilascio di prigionieri è una decisione giusta ", afferma a Fides.
La pastorale nelle carceri prevede visite periodiche, con incontri e doni per i prigionieri e speciali liturgie come la messa nelle festività di Natale e Pasqua Padre Liton osserva a Fides : “In Bangladesh ci sono migliaia di prigionieri condannati per piccoli reati, molti sono innocenti o molti sono prigionieri di coscienza, come politici, giornalisti e attivisti per i diritti umani. Sarebbe bello e auspichiamo che venissero rilasciati 30mila detenuti".
(FC-PA) (Agenzia Fides, 28/05/2020) 
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ASIA/LAOS - Zero decessi da Covid-19, ma un impatto negativo su economia e turismo
 
Vientiane (Agenzia Fides) - Nel piccolo e isolato Laos, un paese con sette milioni di abitanti nel cuore settentrionale del Sudest asiatico e con un governo di tipo socialista, con un partito unico al potere, i numeri del coronavirus sono così bassi da destare stupore: al 27 maggio i casi positivi al Covid-19 risultavano solo 19 con zero decessi. Intanto due dei cinque pazienti affetti da Covid-19 all'ospedale Mittaphab di Vientiane sono risultati negativi al test e, se negativi per la seconda volta, potranno tornare a casa. Il “primato” del Laos, condiviso in Asia solo con Timor Est, Turkmenistan, Cambogia e Vietnam si osserva nonostante la vicinanza geografica con la Cina e l'enorme via vai di manodopera cinese in Laos: migliaia di operai cinesi sono impegnati a costruire la ferrovia veloce che deve collegare il Sud della Repubblica popolare a Singapore. Il tragitto, che oggi richiede giorni, entro qualche anno si potrà compiere in alcune ore.
Sebbene il Laos abbia reagito con prontezza ed efficacia isolando il virus prima che potesse colpire il fragile sistema sanitario nazionale, i suoi effetti si faranno comunque sentire in campo socio-economico: secondo il rapporto semestrale della Banca mondiale si prevede infatti che nel 2020 la crescita economica diminuirà almeno dell’1% o dell'1,8% nello scenario peggiore, e la pandemia aumenterà il disavanzo fiscale, con un aumento del debito. Lo shock avrà anche conseguenze anche sul mercato del lavoro e sulla povertà visto il forte calo nel settore del turismo che rappresenta l'11% dell'occupazione totale e il 22% nelle aree urbane.
Il Laos ha raggiunto una serie di obiettivi ambiziosi nello sviluppo grazie al piano di riforme di liberalizzazione del mercato (il “Chintanakhan Mai”) introdotto nel 1986. I livelli di povertà si sono dimezzati dal 46,0% del1993 al 23,3% del 2013 e la crescita del Pil è stata in media del 7,8% nell'ultimo decennio, con netti miglioramenti nel campo dell’istruzione e della salute. Nel 2018 i risultati di questa crescita, trainata principalmente dalle risorse naturali, dai settori energetici e dal turimo, hanno consentito al Laos di passare da Paese a basso reddito a medio-basso. Nel 2024 la nazione potrà essere formalmente rimossa dall'elenco dei Paesi “meno sviluppati”. Resta però un Paese con profonde difficoltà in zone geografiche isolate e in aree che sono ancora nella morsa di povertà, disoccupazione ed esclusione sociale. I segmenti socialmente più vulnerabili, come anziani, donne e bambini, pagano l’appartenenza a famiglie povere delle aree rurali remote il che è particolarmente vero per le famiglie di origine vietnamita o gli appartenenti a tribù montane, differenze etniche che hanno creato problemi con la maggioranza di etnia Lao.
(MG-PA) (Agenzia Fides 28/5/2020)

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

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