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lunedì 7 giugno 2021

Fides News 6 giugno 2021

 

AFRICA - “Non dimentichiamo suor Gloria ancora in mano ai rapitori in Mali”: appello di padre Gigi Maccalli ex ostaggio
 
Crema (Agenzia Fides) – “Da quando sono tornato libero, non cesso di pregare e di invitare tutti a mantenere vivo il ricordo e la preghiera per gli altri ostaggi prigionieri nel Sahel.” Lo scrive all’Agenzia Fides padre Gigi Maccalli, sacerdote della Società per le Missioni Africane (SMA), che era stato rapito in Niger il 17 settembre 2018 e liberato il 9 ottobre 2020. “Tra di loro – prosegue il missionario - mi è caro ricordare oggi, 7 giugno 2021, suor Gloria Cecilia Narvaez Agoti, rapita in Mali il 7 febbraio 2017. In questo giorno in cui si assommano ben 4 anni e mezzo di cattività per lei, alzo il mio accorato appello: non dimentichiamola!”
Padre Maccalli racconta di come abbia raccolto personalmente la testimonianza di Sophie Pétronin (vedi Agenzia Fides 15/10/2020) e di Edith Blais che hanno condiviso con suor Gloria la sorte di ostaggio prima di essere liberate. “Entrambe mi attestavano la loro preoccupazione nel saperla sola a gestire la dura prova del sequestro.”
“Faccio appello all’attenzione dell’opinione pubblica e chiedo a tutti i cristiani di pregare per la sua liberazione, memore e riconoscente per la preghiera incessante con cui avete pregato numerosi per la mia liberazione. P. Gigi Maccalli, ex ostaggio”.
Suor Gloria, religiosa di nazionalità colombiana della Congregazione delle Suore Francescane di Maria Immacolata, è stata rapita la notte del 7 febbraio 2017 quando un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella parrocchia di Karangasso a Koutiala. Dopo aver sequestrato la suora dal centro missionario sono fuggiti con l’ambulanza del centro medico della missione per andare a riprendere le moto con le quali erano arrivati.
(GM/AP) (Agenzia Fides 7/6/2021)
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AFRICA/BURKINA FASO - “Chi ha compiuto il massacro vuole affermare il controllo su un’area di collegamento strategica” dicono fonti di Fides
 
Ouagadougou (Agenzia Fides) – “Il Paese è sotto choc. È dal 2015 che non accadeva un massacro del genere” dicono all’Agenzia Fides fonti della Nunziatura Apostolica da Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, dove nella notta tra il 4 e il 5 giugno almeno 160 persone sono state massacrate nel villaggio di Solhan, nel nord-est del Paese.
“Al momento le notizie sono ancora frammentarie” dicono le fonti di Fides. “Non sappiamo il numero esatto delle vittime, si parla di 160 morti ma potrebbero essere di più, né quale sia il gruppo che ha commesso il massacro”.
“In attesa di informazioni più accurate possiamo fare alcune considerazioni" continuano le fonti di Fides. "Da una prima valutazione le autorità del Paese sembrano ritenere che chi ha perpetrato il massacro abbia voluto affermare la sua capacità di controllare il territorio. L’esercito infatti ha organizzato dei gruppi di autodifesa dei villaggi dell’area. Con queste massacri i terroristi sembra che abbiano voluto rispondere a queste iniziative di difesa. In ogni caso questa area è strategica perché collega il Mali e il Niger, attraverso il Burkina Faso”.
Solhan è un piccolo comune situato a una quindicina di chilometri da Sebba, capoluogo della provincia di Yagha che ha registrato negli ultimi anni numerosi attacchi attribuiti a jihadisti legati ad Al-Qaeda e allo Stato Islamico. Al massacro di Solhan se ne è aggiunto subito un altro, commesso nella serata del 4 giugno in un villaggio della stessa regione, Tadaryat, con un bilancio di almeno 14 morti. Il 17 e il 18 maggio, 15 civili e un soldato sono stati uccisi in due assalti a un villaggio e a una pattuglia nel nord-est del Paese.
Lo Stato ha decretato un lutto nazionale di 72 ore da domenica 7 giugno mentre la Conferenza Episcopale ha invitato le parrocchie a tenere un momento di preghiera per le vittime al termine delle celebrazioni per il Corpus Domini.
Anche Papa Francesco ha ricordato i massacri di civili in Burkina Faso. Dopo l’Angelus di domenica 6 giugno, il Santo Padre ha detto: “Desidero assicurare la mia preghiera per le vittime della strage compiuta la notte tra venerdì e sabato in una cittadina del Burkina Faso. Sono vicino ai familiari e all’intero popolo Burkinabé, che sta soffrendo molto a causa di questi ripetuti attacchi. L’Africa ha bisogno di pace e non di violenza!”. (L.M.) (Agenzia Fides 7/6/2021)
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ASIA/MYANMAR - Bombardata un'altra chiesa cattolica nello stato Kayah: non confermata la notizia del massacro a Yangon
 
Demoso (Agenzia Fides) - Nella città di Demoso, nello Stato di Kayah, in Myanmar orientale, la chiesa cattolica di Nostra Signora della Pace della parrocchia di Dongankha, nella diocesi di Loikaw, è stata intenzionalmente attaccata dall'esercito birmano e gravemente danneggiata. E' la sesta struttura cattolica interessata da attacchi o raid dell'esercito. Secondo quanto riferisce all'Agenzia Fides un prete della diocesi, p. Paul Tinreh, non sono stati segnalati feriti o vittime, e la chiesa rientra tra gli edifici attaccati nella zona: diverse abitazioni sono state danneggiate o bruciate da bombardamenti indiscriminati di artiglieria compiuti ieri, 6 giugno, fin dalle prime ore del mattino.
La Chiesa locale da settimane ha messo a disposizione le proprie strutture a benefici degli sfollati che fuggono dai bombardamenti: accanto al complesso della chiesa, sorge una casa di riposo gestita dalla Suore della Riparazione dove, insieme con le religiose più anziane, si sono rifugiate circa 150 persone vulnerabili del villaggio di Dongankha, tra donne, anziani e bambini. "Con loro soggiorna anche il parroco ma in realtà, non sono al sicuro. Da quando lo stato Kayah è divenuto zona di guerra, nessun luogo è sicuro", nota a Fides p. Francis Soe Naing, altro sacerdote locale.
"Abbiamo lanciato ai militari un appello a non attaccare le chiese perché molte persone, soprattutto quelle vulnerabili, si stanno rifugiando in esse. Ma l'appello è caduto nel vuoto . Uno dei motivi per cui stanno attaccando la Chiesa cattolica è che, collaborando con molti donatori, la Chiesa cattolica ha preso iniziative di soccorso per più di un terzo della popolazione totale dello Stato di Kayah (oltre 300.000 persone) che è stata sfollata con la forza a causa degli attacchi indiscriminati del regime militare", aggiunge in un messaggio pervenuto all'Agenzia Fides il Gesuita p. Wilbert Mireh SJ. "Un'altra ragione è che attaccano le chiese è perché non hanno più un briciolo di umanità o di cuore", rileva.
Nella parrocchia di Dongankha, intorno alla chiesa colpita ieri, vivono circa 800 famiglie cattoliche, per una popolazione cattolica è di circa 4.600 persone , assistite pastoralmente da 3 sacerdoti, 2 fratelli religiosi, 4 suore, 1 catechista e 15 volontari assistenti pastorali.
Secondo informazioni diffuse dalla Chiesa locale, è la sesta volta in due settimane che chiese o istituti cattolici in Myanmar sono colpiti o interessati da violenze dell'esercito. Nei giorni scorsi sono state interessate da attacchi: la chiesa del Sacro Cuore di Gesù nel villaggio di South Kayanthayar, colpita da artiglieria che ha distrutto la parte sinistra della chiesa, facendo 4 morti e molti feriti; la Cattedrale del Sacro Cuore di Gesù, nella diocesi di Phekhon; la Chiesa cattolica di San Giuseppe, parrocchia di Demoso; la Chiesa di Nostra Signora di Lourdes, nella parrocchia di Domyalay, chiesa di nuova costruzione e non ancora inaugurata; va aggiunto, poi, il raid nel Seminario Maggiore Intermedio (dove si trovano 1.300 profughi) con l'uccisione di un volontario.
In un altro scenario, i mass-media hanno parlato di "massacro" nel villaggio di Hla Swe, nella parte occidentale di Yangon. La notizia, secondo fonti di Fides, è notevolmente gonfiata dato che la situazione resta quella che si registra da settimane. Infatti, nota la fonte di Fides, 3 persone sono state uccise dai militari e circa 10 persone sono state arrestate, mentre oltre mille sono fuggite, in azioni militari che però non configurano una carneficina. Secondo un prete locale la gente della zona si nasconde nelle aree rurali e in altri villaggi ma, a causa di posti di blocco costruiti dai militari, non è possibile far pervenire aiuti umanitari. Nell'area vis sono 4 piccoli villaggi cattolici ma nessuna chiesa è stata attaccata.
(PA-JZ) (Agenzia Fides 7/6/2021)
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ASIA/LIBANO - “Siamo un popolo che non muore”. Il Patriarca maronita Raï rinnova la consacrazione del Libano al Cuore immacolato di Maria
 
Harissa (Agenzia Fides) - Il Cardinale libanese Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei maroniti, ha rinnovato l’atto di consacrazione del Libano e di tutto il Medio Oriente al Cuore Immacolato della Vergine Maria, durante la celebrazione della liturgia eucaristica da lui presieduta ieri, domenica 6 giugno, presso il Santuario di Nostra Signora del Libano, a Harissa. Alla celebrazione liturgica ha preso parte anche l’Arcivescovo Joseph Spiteri, Nunzio apostolico in Libano, insieme a un numero contingentato di fedeli provenienti da diverse regioni del Paese, nel rispetto delle misure di sicurezza sanitaria imposte dalla pandemia.
Ancora una volta, durante l’omelia, il Patriarca ha usato i toni della denuncia per deplorare il modus operandi della classe politica libanese. “In questi giorni difficili” ha affermato tra le altre cose il porporato libanese “i funzionari stanno cercando di salvare se stessi e i loro interessi”, e non si preoccupano di un popolo stanco di vivere umiliazioni “davanti a banche e cassieri, davanti a distributori di benzina e forni, di fronte a farmacie e ospedali”.
Riferendosi allo scenario devastante della crisi libanese, il Cardinale si è chiesto se lo stallo istituzionale che impedisce di formare un nuovo governo non nasconda in realtà l'intenzione di rinviare e di fatto sabotare le elezioni parlamentari e quelle presidenziali in agenda tra maggio e ottobre del 2022, o addirittura il disegno di provocare il collasso del sistema-Paese, proprio in concomitanza con il centenario dell’indipendenza nazionale. “Noi siamo un popolo che non muore” ha aggiunto il Primate della Chiesa maronita “e non permetteremo quindi che questo programma venga completato”.
Il Patriarca Béchara Boutros Raï consacrò per la prima volta il Libano e tutto il Medio Oriente al Cuore Immacolato di Maria il 16 giugno 2013 (vedi Fides 17/6/2013). In occasione di quel primo atto solenne di consacrazione, celebrato anche allora presso il Santuario mariano di Harissa, il Patriarca maronita pregò affinché tutti i popoli della regione fossero liberati “dai peccati che portano a divisioni, aggressioni e violenza”. Quella volta, tutt'intorno alla Basilica si è raccolta una moltitudine di fedeli per implorare che il Paese dei Cedri non fosse travolto dal contagio di conflitti settari che stavano dilaniando la vicina Siria. Allora, durante l’omelia, il cardinale libanese aveva associato i musulmani all'atto di consacrazione, ricordando che il Libano è l'unico Paese dove la Solennità dell'Annunciazione, il 25 marzo, viene celebrata insieme da cristiani e musulmani come festa nazionale.
Mercoledì prossimo, 9 giugno, prenderà il via il Sinodo annuale dei Vescovi della Chiesa maronita. La prima parte della riunione sinodale, da mercoledì 9 a sabato 13 giugno, avrà la forma di ritiro spirituale, con meditazioni guidate da padre Fadi Tabet, rettore del Santuario di Harissa. (GV) (Agenzia Fides 7/6/2021)
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AMERICA/COLOMBIA - Visita della Commissione Interamericana per i Diritti Umani, mentre i negoziati tra governo e manifestanti sono bloccati
 
Cali (Agenzia Fides) - “La pandemia globale, che ci ha reso tutti figli dello stesso bisogno, e lo sciopero nazionale che colpendo la mobilità e la distribuzione, ha fatto sentire a tutti la scarsità, la fame e l'assoluta necessità, cosa significa il sostentamento vitale per ogni persona…”: con queste parole, l’Arcivescovo di Cali, Mons. Darío de Jesús Monsalve Mejía, ha voluto proporre una forte riflessione nella giornata in cui la Chiesa celebra la solennità del Corpo e Sangue del Signore. “È la festa del Corpus Domini – ha sottolineato -. Senza le grandi processioni del passato, ancora limitate dalla pandemia e dallo sciopero nazionale, la celebriamo nelle nostre chiese, magari in qualche piazza. Ma, soprattutto, come solennità che, al di là del nome popolare di ‘Corpus’, ci pone dinanzi al sacrificio di Cristo, ‘corpo donato per tutti, sangue versato per molti e per tutti’. Corpo e Sangue, separati, significa una vittima, una vita ferita o uccisa, vite torturate, massacrate”.
Quindi l’Arcivescovo ha proseguito: “Quest'anno la Parola ci centra sul ‘Sangue di Cristo’, in contrasto con il sangue dei tori nei riti dell'alleanza, e il sangue dell'agnello pasquale, in ricordo della liberazione del popolo dall'oppressione dei faraoni in Egitto...Nell’ultima Pasqua di Gesù, diventata la prima messa del cristianesimo, non c'è agnello da macellare e da mangiare, perché Gesù stesso è l'Agnello Immolato: diventa pane per essere mangiato da tutti, diventa vino, in modo che ‘tutti ne bevano’.” L’Arcivescovo ha quindi collegato la festa con la vita dei colombiani: “la violenza malvagia e perversa, con cui alcuni si sono infiltrati nella protesta pacifica, e hanno fatto scontrare cittadini armati contro cittadini senza armi, ci fa vedere scorrere il sangue umano non nelle vene, ma per le strade e per i territori.”
Ecco perché nella sua riflessione ha esortato tutti a “bere dal calice del sangue di Cristo, che significa purificare l'anima, ricevere il perdono da Dio e a giurare di non uccidere”. Ha concluso chiedendo di decretare uno stop totale alla violenza e di accogliere la grazia del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo.
La Colombia continua a vivere la tensione del “paro", lo sciopero generale per protestare contro il governo. I negoziati tra il governo colombiano e il Comitato Nazionale del Paro si sono bloccati ieri, a Bogotà, dopo oltre un mese di proteste in cui sono morte più di 40 persone (vedi Fides 24/05/2021). La stampa internazionale informa che una delegazione della Commissione Interamericana per i Diritti Umani (IACHR) è arrivata sempre ieri, domenica 6 giugno, nel Paese per valutare la situazione che sta attraversando, scossa dalle proteste sociali dallo scorso 28 aprile. Dall'8 al 10 giugno la Commissione effettuerà la sua visita ufficiale in Colombia per valutare la situazione dei diritti umani nel Paese.
(CE) (Agenzia Fides 7/06/2021)
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AMERICA/CILE - I Vescovi di Antofagasta denunciano la detenzione, la vessazione e la deportazione dei migranti venezuelani
 
Antofagasta (Agenzia Fides) – "Come Vescovi della Chiesa cattolica nel Norte Grande, chiediamo il rispetto dello Stato di diritto che deve governare tutte le azioni degli organismi statali, a maggior ragione quando si tratta di misure che incidono sulla libertà di circolazione delle persone che abitano il territorio nazionale. Una procedura conforme alla legge non è un'opzione in uno Stato democratico come la Repubblica del Cile, indipendentemente dal fatto che le persone coinvolte siano cittadini di altri paesi”.
La richiesta è contenuta nella dichiarazione che i Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Antofagasta hanno pubblicato il pomeriggio di sabato 5 giugno 2021, esprimendo “rifiuto e preoccupazione per i diversi episodi di detenzione, deportazione e vessazione che la popolazione migrante del Norte Grande ha subito da parte dall'Amministrazione Statale”.
Il testo, pervenuto all’Agenzia Fides, è firmato dai Vescovi Ignacio Ducasse Medina, Arcivescovo di Antofagasta; Moisés Atisha Contreras, Vescovo di San Marcos de Arica; Guillermo Vera Soto, Vescovo di Iquique e Óscar Blanco Martínez, Vescovo di San Juan Bautista de Calama. I Presuli ricordano che dal mese di febbraio hanno assistito “con grande rammarico, a situazioni di detenzione e deportazione subite dai migranti, principalmente di nazionalità venezuelana”. Con particolare allarme hanno poi sentito l'annuncio del Governo che 15 voli di espulsione saranno effettuati nel corso del 2021, il primo dei quali si è realizzato il 25 aprile dalla città di Iquique. “Purtroppo tale operazione è stata replicata questo venerdì e sabato, fissando la deportazione per domenica 6 giugno, trasferendo i detenuti da Santiago e da altre località a Iquique, per essere infine portati in Venezuela”.
I Vescovi denunciano: "abbiamo appreso che gli attuali processi di detenzione e deportazione hanno registrato importanti vizi di legalità", ricordando che la Cassazione “ha più volte dichiarato l'illegittimità degli atti amministrativi che espellono i migranti e il modo in cui questa è stata effettuata”.
Nella loro dichiarazione i Vescovi inoltre sottolineano che le deportazioni vengono effettuate entro il termine fissato dalla nuova legge sulle migrazioni e gli stranieri, perchè i
migranti che sono entrati clandestinamente nel paese possano lasciarlo volontariamente. "Espellere le persone in questo scenario significa trasformare il contenuto dell'articolo 8 transitorio in lettera morta. Tanto più che i confini terrestri del paese sono chiusi e le condizioni per lasciare il Cile per altre destinazioni rimangono estremamente difficili e costose a causa della pandemia”.
Infine esprimono la loro particolare preoccupazione per il fatto che la maggior parte delle persone colpite da queste politiche migratorie sono cittadini venezuelani, "che per la maggior parte hanno lasciato il loro paese d'origine in condizioni praticamente forzate, diventando persone che richiedono una protezione speciale da parte delle organizzazioni internazionali e certamente del nostro Paese", quindi sollecitano la ricerca di strade percorribili e umanitarie che consentano che il Cile e il resto dei paesi della regione “assumano la realtà che vive il nostro subcontinente”. (SL) (Agenzia Fides 07/06/2021)

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

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