◊ Due Papi Santi, due Papi concelebranti. In
queste sei parole è racchiusa tutta la straordinarietà di una giornata
storica per la Chiesa, un festa della fede e della speranza per
l’umanità. Fin dalle prime ore dell’alba, una moltitudine di fedeli –
almeno 800 mila persone – si è radunata in Piazza San Pietro, in via
della Conciliazione, nelle zone adiacenti fin oltre Castel S. Angelo per
la Messa di Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II,
presieduta da Papa Francesco. Oltre 800 i concelebranti, tra questi –
evento senza precedenti – il Papa emerito Benedetto XVI, accolto da un
lungo applauso al suo ingresso sul Sagrato. Nell’omelia, Francesco ha
sottolineato che sono proprio i “santi che fanno crescere la Chiesa”.
Quindi, nella Domenica intitolata da Papa Wojtyla alla Divina
Misericordia, il vescovo di Roma ha affermato che i due nuovi Santi non
hanno avuto paura di chinarsi sulle piaghe di Gesù, quelle ferite che
sono “il segno permanente dell’amore di Dio per noi”. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
Santi!
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono Santi. L’invocazione che
generazioni di fedeli hanno atteso di pronunciare, sussurrandola nel
chiostro del proprio cuore, è diventata annuncio corale di gioia per la
Chiesa e per il mondo intero. E’ questo annuncio, levato da Papa
Francesco in Piazza San Pietro, che una moltitudine di fedeli è venuta
ad ascoltare a Roma e che è risuonato come un’eco di piazza in piazza,
di strada in strada, arrivando alle orecchie e ancor più al cuore del
Popolo di Dio. E’ l’annuncio che la santità è possibile, la santità è
necessaria perché la Chiesa continui a camminare nella storia
testimoniando la gioia del Risorto. Una gioia luminosa che si poteva
leggere sul volto delle persone, che hanno percorso lunghi tragitti,
sopportato la stanchezza, sfidato il maltempo per ridire, ancora una
volta, “grazie” ai loro pastori – Angelo e Karol – che ora possono
pregare come Santi.
Proprio con la Litania dei Santi, intonata
dal Coro della Cappella Sistina, è iniziata la celebrazione in un clima
di raccoglimento intenso, commosso, contraddistinto da un silenzio quasi
irreale che ha accompagnato il rito di Canonizzazione. Rito suggestivo,
in latino, che ha visto il cardinale prefetto della Congregazione delle
Cause dei Santi, Angelo Amato, rivolgere per tre volte al Santo Padre
la petizione per l’iscrizione nell’Albo dei Santi di Giovanni XXIII e
Giovanni Paolo II. Quindi, il momento atteso con trepidante emozione, la
formula di Canonizzazione:
“… Beatos Ioannem XXIII et Ioannem Paulum II Sanctos esse decernimus et definimus, ac Sanctorum Catalogo adscribimus…”"Dichiariamo
e definiamo Santi i Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e li
iscriviamo nell'Albo dei Santi", le parole di Papa Francesco che, un
istante dopo essere uscite dalle sue labbra sono entrate nella storia. I
fedeli hanno come abbracciato l’Amen intonato dal Coro con un lungo
applauso, alzando lo sguardo verso i grandi arazzi con l’immagine dei
due Papi Santi, quasi in un rinnovato dialogo con quei Pastori che, in
questa Piazza, hanno accarezzato bambini, abbracciato malati, stretto
mani; che in questa Piazza tante volte hanno benedetto il proprio gregge
e ora continuano a farlo dal cielo. Il rito della Canonizzazione ha
vissuto quindi un altro momento toccante con la collocazione delle
reliquie dei due nuovi Santi, accanto all’altare. Il reliquario di San
Giovanni Paolo II è stato portato dalla miracolata Floribeth Mora Diaz,
accompagnata dalla sua famiglia. Quello di San Giovanni XXIII dai
quattro nipoti, dal sindaco di Sotto il Monte, e dal presidente della
Fondazione dedicata a Papa Roncalli.
E’ stata dunque la volta
della lettura del Vangelo, in latino e in greco, a ribadire che nessuna
lingua è estranea all’amore di Dio, così come nessuno era estraneo al
cuore di Angelo Roncalli e a quello di Karol Wojtyla. Un Vangelo, quello
nella Domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, che – ha detto il Papa
all’inizio della sua omelia – è incentrato “sulle piaghe gloriose di
Gesù risorto”. Quelle ferite che Tommaso ha voluto vedere, ha voluto
toccare per credere. Le piaghe di Gesù, ha commentato Francesco, “sono
scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede”. Per questo,
ha detto, “nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono,
rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di
Dio per noi”. Quelle piaghe, ha ripreso, “sono indispensabili per
credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è
amore, misericordia, fedeltà”:
“San Giovanni XXIII e San
Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù,
di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno
avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui,
della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr
Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati
due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno
dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua
misericordia”. “Sono stati sacerdoti, vescovi e papi
del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie – ha detto Papa
Francesco – ma non ne sono stati sopraffatti”:
“Più forte, in
loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo
e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio
che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza
materna di Maria”. “In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia – ha soggiunto – dimorava
una speranza viva, insieme con una
gioia indicibile e gloriosa”:
“La
speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle
quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali,
passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento,
della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per
l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due
santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta
hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna
riconoscenza”. Proprio “questa speranza e questa gioia – è
stata la sua riflessione – si respiravano nella prima comunità dei
credenti, a Gerusalemme”. E’ una comunità, ha evidenziato, “in cui si
vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in
semplicità e fraternità”. E questa, ha proseguito, “è l’immagine di
Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé”. San Giovanni
XXIII e San Giovanni Paolo II, ha affermato, “hanno collaborato con lo
Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua
fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso
dei secoli”:
“Non dimentichiamo che sono proprio i santi che
mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del
Concilio Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito
Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una
guida-guidata. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per
questo a me piace pensarlo come il Papa della docilità allo Spirito Santo”. “In questo servizio al Popolo di Dio – ha soggiunto – San Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia”.
“Così
lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come
il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un
cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che
sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene”. “Che
entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio – è stata
l’invocazione di Papa Francesco – intercedano per la Chiesa affinché,
durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito
Santo nel servizio pastorale alla famiglia”:
“Che entrambi ci
insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci
nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona,
perché sempre ama”.
◊ Al termine della Messa per la canonizzazione
di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, Papa Francesco ha guidato il
Regina Caeli, la preghiera mariana del Tempo di Pasqua. Ce ne parla
Sergio Centofanti:
E’
stata una “festa della fede: così il Papa ha definito questa giornata
storica. Le sue parole prima del Regina Caeli sono state un
ringraziamento a quanti hanno partecipato all’evento:
“La mia
riconoscenza va alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi, venute per
rendere omaggio a due Pontefici che hanno contribuito in maniera
indelebile alla causa dello sviluppo dei popoli e della pace”. Papa
Francesco ha ringraziato le autorità italiane “per la preziosa
collaborazione” e il Comune di Roma, si è detto “grato a tutti coloro
che con grande generosità hanno preparato queste giornate memorabili”,
forze dell’ordine, organizzazioni e associazioni e i numerosi volontari.
Il suo saluto è andato ai tantissimi pellegrini giunti da tutto il
mondo come pure a quanti hanno seguito l’evento mediante radio e tv; ha
quindi ringraziato gli operatori dei media, “che hanno dato a tante
persone la possibilità di partecipare”. Poi ha aggiunto:
“Con
grande affetto saluto i pellegrini delle Diocesi di Bergamo e di
Cracovia! Carissimi, onorate la memoria dei due santi Papi seguendo
fedelmente i loro insegnamenti”.
“Uno speciale saluto” lo ha
rivolto anche “ai malati e agli anziani, verso i quali i nuovi Santi
erano particolarmente vicini”. Infine ha guidato la preghiera alla
Vergine Maria, “che san Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno
amato come suoi veri figli”.
◊ La cerimonia di Canonizzazione di Giovanni
XXIII e Giovanni Paolo II ha avuto un lungo prologo fin da ieri mattina,
quando centinaia di migliaia di persone si sono concentrate nella zona
di San Pietro, rimanendovi per tutta la notte, in attesa della Messa
solenne. Nel suo servizio,
Alessandro De Carolis descrive i loro sentimenti e ripercorre dal loro punto di vista i momenti salienti della celebrazione:
Si
guardano quasi, Angelo e Karol, l’uno di fronte all’altro, a pochi
metri dalla stessa grande finestra dalla quale 56 e 36 anni fa si
affacciarono per schiudere alla Chiesa un nuovo corso, l’uno
immaginandola sotto la luna proiettata dal Concilio verso il terzo
millennio, l’altro accompagnandocela di persona senza avere paura. Si
guardano quasi e sorridono alla folla, giganteschi non solo nell’effigie
che li ritrae, nel giorno in cui i pochi i decenni che li hanno divisi
in terra sfumano accanto all’altare che li porta insieme in cima al
cielo. Santi, Angelo e Karol, e il loro sorriso oggi è il vero sole –
l’altro è spento dalle nuvole – che illumina il grandioso bivacco di
fede tornato ancora una volta a pregare, vegliare e pazientare un’intera
notte per arrivare al giorno atteso da una vita e da tante vite.
Piazza
San Pietro è un abbraccio di marmo che si scalda quando in alto è
ancora buio e il sorriso di Angelo e Karol è una promessa nella
penombra. La falange di pellegrini in prima fila si riversa nel
Colonnato seguita da un torrente controllato a fatica dagli argini di
volontari e Forze dell’ordine, mentre il rettilineo di Via della
Conciliazione è una spina dorsale ovunque brulicante di zaini e sacchi a
pelo, di chitarre e rosari, di qualche inevitabile problema e di gesti
di solidarietà, universali anche nella babele di lingue e dialetti.
Dormire sui sampietrini o su letti di travertino è impresa per pochi in
questa camera lunga e senza soffitto, da dove il silenzio è bandito.
Poi, l’alba arriva a riaccendere il sorriso di Angelo e Karol e porta
altre masse a premere sugli ultimi angoli a disposizione. Finalmente,
dopo le nove la zona dell’altare comincia ad animarsi. Arrivano e
prendono posto re e capi di Stato, le telecamere scrutano e individuano
visi noti e strette di mano. Quindi, ore 9.32, il primo applauso scuote
Roma e la mondovisione: sul sagrato appare la candida silhouette di
Benedetto XVI.
Il terzo dei quattro Papi è sulla scena di una
giornata che è diventata storia prima ancora di essere cronaca. Finché,
l’arrivo sull’altare di Papa Francesco, al termine della lunghissima
processione di cardinali e presuli vestiti di bianco, completa
l’affresco. L’applauso che accoglie il Papa raddoppia alle 10.06,
momento in cui, sotto il sorriso di Giovanni e Giovanni Paolo, anche
Francesco e Benedetto si sorridono e si abbracciano. E otto minuti più
tardi, alle 10.14, l’applauso esplode in ovazione: il cielo ha aperto le
porte a Angelo e Karol, Papi che furono docili a Dio nel secolo breve
per aprire le porte a Cristo in quello successivo.
Uno spruzzo di
pioggia fa temere il peggio ma dura poco, migliaia di ombrelli si
aprono e chiudono, nulla a confronto col senso di solennità che lo
“Iubilate Deo” e il “Gloria” intonati dalla Schola fanno piovere nel
cuore di chi guarda il sorriso di Angelo e Karol e segue la celebrazione
di Francesco accanto a Benedetto. I maxischermi si riempiono dei primi e
primissimi piani di Angelo e Karol – e la piazza di applausi
scroscianti – ogni volta che l’omelia di Papa Francesco li chiama in
causa. Per contrasto, desta impressione poco dopo il silenzio di cui 800
mila e passa persone sono capaci quando alle 11.33 l’Ostia consacrata
viene innalzata.
Altri battiti di mani danno un ritmo di gioia ai tempi della liturgia che volge alla fine e, al
Regina Coeli,
diventano un vero contrappunto alle parole di ringraziamento che Papa
Francesco rivolge a tutti. Il “Missa est” è pronunciato alle 12.07 e le
note a festa dell’organo che irrompono e danzano subito dopo sono
emblema dell’entusiasmo che la folla adesso può liberare. Angelo e Karol
sono Santi e continuano a insegnare, come già lo fecero, che la pace in
terra è l’anelito profondo degli uomini di tutti i tempi e che il
Redentore dell’uomo è il centro del cosmo e della storia. Certezze con
le quali si può ripartire per Wadowice e per Sotto il Monte e per il
resto del mondo, in compagnia della certezza del loro doppio sorriso.
◊ Grandissimo l’entusiasmo delle migliaia di
fedeli presenti alla celebrazione, in particolare quando il Pontefice a
bordo della papa-mobile ha voluto percorrere tutta Via della
Conciliazione per salutare i fedeli, rientrando poi in Vaticano dal
Perugino. Ecco alcune testimonianze raccolte da
Giancarlo La Vella:
R.
- E’ un momento storico cui è stato veramente importante partecipare,
sia come atto di fede che come momento di accrescimento personale.
D.
- Un tuo ricordo personale, forse più di Giovanni Paolo II che di
Giovanni XXIII: ma forse anche i tuoi genitori ti hanno parlato del
“Papa buono”?
R. - Sì, assolutamente! Era il Papa di mia nonna,
tanto amato dai miei nonni… Nella mia memoria, invece, Giovanni Paolo II
come il Papa della Giornata mondiale della gioventù, cui ho partecipato
come volontaria.
R. - Una bellissima giornata. Veramente
stupenda, anche se siamo rimasti fuori… Ma è stata la stessa cosa. Siamo
tutti una sola famiglia. L’importante è esserci! Abbiamo condiviso
questa gioia con tutti. E’ una grande festa!
R. - E’ una giornata meravigliosa! Io ho vissuto con Papa Wojtyla: quindi un papà, un nonno, un insegnante di vita.
D. - E di Giovanni XXIII hai qualche ricordo?
R.
- Di Giovanni XXIII ricordo la frase: “Andate a casa, portate una
carezza ai vostri bimbi e dite: questa è la carezza del Papa”, è la
carezza di Giovanni XXIII.
R. - Noi siamo venuti per fede, ma anche per ringraziamento per le grazie che abbiamo ricevuto… E’ un affetto grande!
R.
- E’ una giornata stupenda sotto tutti i punti di vista. Si parla molto
del significato della storia, del significato religioso, ma il
significato più importante penso sia quello della fede, della fede di
ciascuno di noi. Noi siamo venuti qui sapendo che non saremmo arrivati -
ovviamente! - in Piazza San Pietro, ma siamo venuti per partecipare.
Poi ci gusteremo tutta la cerimonia in un secondo momento, rivedendola.
Intanto, però, è bello essere stati qui e aver vissuto questa atmosfera.
Già stare qui, in una via laterale o parallela di Via della
Conciliazione, è stata già un’esperienza molto bella: sentire questo
affetto e questa esperienza di fede.
R. - Noi ci tenevamo molto a
venire qua e abbiamo fatto di tutto per venirci. Il significato è
quello di vedere finalmente due Papi molto importanti per la storia che
sono diventati santi. Questo ci ha dato un’immensa gioia.
D. - Una santità che siamo riusciti a sperimentare già quando erano in vita…
R.
- Certo! Sicuramente per Giovanni Paolo II già acclamata al momento
della morte; così come per Giovanni XXIII, perché nel breve periodo di
Pontificato ha dato una svolta a tutto il mondo cristiano.
R. -
Mi sento molto Chiesa oggi! Giovanni XXIII ha dato un’impronta alla
Chiesa; di Giovanni Paolo II ho sempre ammirato la sua voglia di
proclamare il Vangelo. Secondo me il messaggio che la Chiesa oggi sta
trasmettendo è che la via della santità è possibile in un mondo dove il
Vangelo, purtroppo, non è sempre apprezzato.
◊ Per quasi 40 anni accanto a Karol Wojtyla, il
cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, vive con particolare emozione questa giornata.
Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R.
– Io ho conosciuto Karol Wojtyla quando era ancora professore e non
ancora vescovo. Nel primo anno del seminario, lui insegnava Introduzione
alla filosofia e alla teologia; subito abbiamo visto che si trattava di
una persona molto speciale, di profonda spiritualità e anche bravissimo
come professore: sempre preparato, le sue lezioni erano sempre molto
interessanti. Subito aveva anche conquistato la grande simpatia dei
seminaristi, di tutti gli studenti. Cosa ci aveva colpito tanto? Quando
c’era l’intervallo, andava sempre in cappella a pregare. Quando era
nella cappellina, per lui non esisteva nient’altro. E noi, da lontano,
lo ammiravamo …
D. – Subito avete capito di trovarvi di fronte ad
una persona speciale. Lei, poi, per quasi 40 anni è stato accanto a
Karol Wojtyla. Da lui ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale …
R. –
Ho avuto anche altre cose: l’ordinazione episcopale, tutto … tutto.
L’ho servito per 39 anni: 12 anni a Cracovia e 27 anni a Roma …
D.
– Dal vigore di un uomo giovane alla debolezza nella malattia e nella
vecchiaia, fino agli ultimi istanti della vita terrena, la sera del 2
aprile 2005, alle 21.37. Lei, cardinale Dziwisz, è stato testimone della
santità di Giovanni Paolo II, espressa nei suoi molteplici aspetti. C’è
un’immagine particolare che, secondo lei, meglio parla della sua
santità?
R. – Mi ha colpito dopo l’attentato, quando aveva ancora
coscienza lui, pur non sapendo chi fosse l’attentatore, già lo aveva
perdonato e aveva offerto la sua sofferenza per la Chiesa e per il
mondo. Non pregava per se stesso, per salvarsi: pregava per gli altri. E
questa è una cosa eccezionale. Sempre tutto passava per la preghiera:
mi domandavano quante ore pregava? Lui pregava con tutta la sua vita.
D.
– Un uomo di preghiera, un mistico, un contemplativo che scelse, come
filo conduttore di tutta la sua vita, il motto “Totus tuus” – tutto
della Vergine Maria …
R. – Totus tuus: devozione a Maria, ma lui
aveva anche una grande devozione allo Spirito Santo. Questa l’apprese da
suo padre; poi era molto devoto al Rosario, attraverso il quale
meditava la vita del Signore con Maria.
D. – Questo aspetto
contemplativo di Giovanni Paolo II va insieme con il suo forte senso
pratico, è infatti un santo profondamente umano … E’ un Papa che ha
inciso profondamente nella Storia …
R. – Certamente. Lui era
molto unito al suo Paese, soprattutto a Cracovia, alla cultura, alla
Chiesa polacca, ma molto aperto a tutta la Chiesa, a tutto il mondo,
verso tutte le nazioni, anche tutte le religioni … Aveva tante amicizie
con gli ebrei e anche contatti con musulmani e con persone di altre
religioni. Sempre diceva: “Noi costruiamo ponti, non muri”.
D. –
Quando si pensa ai Santi, spesso si immagina di dover andare lontano
nella storia. In questo caso non dobbiamo guardare indietro nel tempo:
parliamo di un Papa Santo dopo soli nove anni dalla morte. Giovanni
Paolo II è dunque un Santo dei nostri giorni, che ha un messaggio ancora
profondamente attuale …
R. – Certamente ispira anche oggi le
persone, soprattutto i giovani: li ho visti a Rio, i giovani della
generazione che non lo aveva conosciuto. Ma quando Papa Francesco ha
fatto il suo nome, c’è stato un grande entusiasmo, come c’è stato
entusiasmo per l’annuncio della prossima Giornata mondiale della
gioventù a Cracovia, nel Paese e nella città di Giovanni Paolo II. Nei
più diversi ambiti – in campo sociale, in campo teologico – lui è stato
sempre molto presente, ha lasciato una grande eredità dottrinale, che
bisogna approfondire, attuare; soprattutto nel campo della difesa dei
diritti umani e della libertà dell’uomo e delle nazioni … Si possono
toccare i più diversi argomenti: lui era sempre presente.
D. – Ed
effettivamente, non c’è categoria di persone con la quale Giovanni
Paolo II non sia entrato in contatto. Prima ricordava le Giornate
mondiali della gioventù; ma Giovanni Paolo II è stato anche il Papa
vicino agli anziani, ai malati, ai poveri, ai bambini, agli sposi, ai
consacrati, è stato il Papa della difesa della vita … Insomma, un Papa
che ha parlato davvero a tutta l’umanità …
R. – Certamente è
stato il Papa della difesa della vita: assolutamente. Anche il Papa
della famiglia. Il Papa che ha prestato la voce ai poveri, alle Nazioni
soprattutto del Terzo Mondo. Perché viaggiava nei Paesi del Terzo Mondo?
Per levare la voce e gridare ai ricchi: “Dovete aiutare i poveri,
altrimenti si arriva di nuovo ad un conflitto mondiale”.
D. – Eminenza, come vive questa canonizzazione di Giovanni Paolo II?
R. – Non so … non so. Certamente per me è una cosa eccezionale pensare che d’ora in poi lo chiamerò “Santo” …
◊ Papa Francesco ha voluto canonizzare
Giovanni XXIII senza bisogno di certificare il secondo miracolo
attribuito alla sua intercessione. Sui motivi di questa decisione
Fabio Colagrande ha sentito il
cardinale Loris Francesco Capovilla, per oltre un decennio segretario personale di Angelo Giuseppe Roncalli:
R.
– Non posso entrare nelle intenzioni del Santo Padre. So che il Santo
Padre vuole riprendere il discorso, non tanto – sembra a me – di Papa
Giovanni, quanto quello della sua ispirazione, venuta dall’alto, di
convocare tutti i vescovi, tutte le Chiese particolari del mondo intero,
a trovarsi insieme ad ascoltare, a pregare, a riflettere e poi, in
fraterna carità, domandarsi che cosa dobbiamo fare, adesso, perché la
gente del nostro tempo, del secolo XXI, risponda di sì all’invito di
Papa Benedetto XVI, che ha detto: “Il Concilio è la stella polare del
XXI secolo”. Non ha detto di quest’anno o di domani o dopodomani, ma del
XXI secolo. Non è, però, il cammino di un evento solo, è il cammino di
tutto il messaggio di Gesù: “Evangelii Gaudium”, la gioia del Vangelo.
Io non trovo niente di eccezionale in tutto questo. La Chiesa è una
mamma, è la madre, giudica i suoi figli. Se crede, nel corso dei secoli,
di proporre questo o quello, uomo o donna, all’attenzione e
all’imitazione di tutti i cristiani, lo fa liberamente – va bene – lo fa
anche portata dallo Spirito di Dio, lo Spirito Santo, che illumina il
cammino della Chiesa. Papa Francesco ci accosta, ciascuno di noi, direi,
come mamma, come papà; ci prende per mano; non ci costringe a camminare
con lui; ci convince; non ci porta un messaggio suo, portato dalla sua
cultura, grande, di gesuita, o dalle esperienze della sua gloriosa e
grande terra argentina: viene in nome di Gesù e parla solo di Gesù.
D. – Lei ha scritto che Papa Giovanni il Buono non suscita nostalgia, ma stimola a guardare avanti, cosa intendeva?
R.
– Intendo dire che noi non siamo custodi di un santuario, di un
reliquiario, di un museo – è Papa Giovanni che l’ha detto – siamo
chiamati a custodire un giardino, dove ci sono i semi del Verbo, del
Verbo incarnato; a coltivare un giardino e a favorire l’avvento di una
nuova Pentecoste, di una nuova Pasqua, di una nuova primavera, e non
semplicemente per la gioia di ciascuno di noi, ma per tutta l’umanità.
Siamo in cammino, non siamo arrivati alla meta. La strada da percorrere è
ancora lunga. Abbiamo capito che abbiamo un tesoro, non solo da
custodire, ma da offrire al mondo intero. Evangelii Gaudium: il Vangelo è
la bella notizia. Cos’è questa bella notizia? E’ che sono figlio di Dio
e Dio non mi abbandona. Quanto è bello sentire il Papa che ogni giorno,
quasi ogni giorno, dice: “Gesù non respinge nessuno, aspetta tutti”.
D. – Lei come descriverebbe i dieci anni che ha trascorso con Papa Giovanni come collaboratore?
R.
– No, io non sono stato il collaboratore di Papa Giovanni, ma un
piccolo “servitorello”, come tanti altri, che hanno visto in lui l’uomo
mandato da Dio. Non mi sono mai sentito né collaboratore né segretario,
peggio che peggio suggeritore, sarebbe a mio avviso uno scandalo. Sento
tutta la gioia di essere stato accanto ad un uomo, che era sicuramente
guidato da Dio, ecco, e ha gettato dei semi. Non ha potuto realizzare in
pieno tutto quello che era nella sua anima: ha lasciato dei semi.
D. – Che cosa rappresenterà per lei la giornata del 27 aprile?
R.
– Un giorno del calendario, perché tutti i giorni del calendario
cristiano si chiamano ferie, feste. Sempre festa. Per chi crede è sempre
festa, è sempre Pasqua, è sempre risurrezione. Soltanto guardare e
volgere gli occhi al cielo, oppure toccarsi il petto dopo avere ricevuto
la Santissima Eucaristia, è già un grande dono, è già un grande tesoro,
è già un grande mistero di grazia e di luce. E’ sempre festa per noi!
◊ Per un commento su questa giornata ascoltiamo il
cardinale vicario Agostino Vallini al microfono di
Luca Collodi:
R.
- La definisco la festa della fede e della gioia della fede. L’abbiamo
vissuta così in questi giorni di attesa e particolarmente questa notte
nelle chiese del centro e nelle altre parrocchie della nostra diocesi.
Poi questa mattina, quando in Piazza San Pietro, questo popolo
sconfinato ha lodato e benedetto il Signore per il dono di che cosa?
Della misericordia, dell’amore di Dio, che illumina questo nostro mondo,
attraverso gli esemplari di cristiani come i nostri due nuovi santi,
pastori, ma uomini di fede vorrei dire: non sono tali perché sono stati
Papi, ma sono tali perché sono cristiani e come tale questa esperienza
credo arricchisca tutti e renda più bello il mondo.
D. - Nell’omelia il Papa ha detto che sono propri i santi che mandano avanti la Chiesa…
R.
- Ne sono convinto anch’io! Perché la mandano avanti? Perché i santi
hanno un collegamento - diciamo così - profondo, intimo, illuminante con
lo spirito di Dio, lo Spirito Santo, e come tali vedono le cose
importanti, i valori che vanno affermati, annunciati; il Vangelo, in una
parola, come sintesi di una vita riuscita. Quindi certamente ci aiutano
con la loro intercessione, ma anche con il loro stile di vita.
D.
- Il Papa ha ricordato anche che i due Papi sono stati figli del XX
secolo: un secolo triste da un punto di vista bellico, ma non sono stati
sopraffatti…
R. - Proprio perché erano uomini di Dio hanno
trovato la strada giusta per attingere alla sorgente le ragioni del
senso della vita e si sono messi al servizio del bene e degli uomini.
Non dimentichiamo che la prima Enciclica di Giovani Paolo II è stata la
Redemptor hominis, Cristo Redentore dell’uomo: è stato il grande
messaggio del suo Pontificato. E Papa Giovanni, indicendo il Concilio ha
ritenuto di chiamare la Chiesa ad una sorta di slancio rinnovato, anche
nel contesto presente, per poter essere segno del Regno di Dio che si
compie nella storia.