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domenica 27 aprile 2014

Un post lungo .....2 Santi e 2 Papi


◊   Due Papi Santi, due Papi concelebranti. In queste sei parole è racchiusa tutta la straordinarietà di una giornata storica per la Chiesa, un festa della fede e della speranza per l’umanità. Fin dalle prime ore dell’alba, una moltitudine di fedeli – almeno 800 mila persone – si è radunata in Piazza San Pietro, in via della Conciliazione, nelle zone adiacenti fin oltre Castel S. Angelo per la Messa di Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, presieduta da Papa Francesco. Oltre 800 i concelebranti, tra questi – evento senza precedenti – il Papa emerito Benedetto XVI, accolto da un lungo applauso al suo ingresso sul Sagrato. Nell’omelia, Francesco ha sottolineato che sono proprio i “santi che fanno crescere la Chiesa”. Quindi, nella Domenica intitolata da Papa Wojtyla alla Divina Misericordia, il vescovo di Roma ha affermato che i due nuovi Santi non hanno avuto paura di chinarsi sulle piaghe di Gesù, quelle ferite che sono “il segno permanente dell’amore di Dio per noi”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Santi! Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono Santi. L’invocazione che generazioni di fedeli hanno atteso di pronunciare, sussurrandola nel chiostro del proprio cuore, è diventata annuncio corale di gioia per la Chiesa e per il mondo intero. E’ questo annuncio, levato da Papa Francesco in Piazza San Pietro, che una moltitudine di fedeli è venuta ad ascoltare a Roma e che è risuonato come un’eco di piazza in piazza, di strada in strada, arrivando alle orecchie e ancor più al cuore del Popolo di Dio. E’ l’annuncio che la santità è possibile, la santità è necessaria perché la Chiesa continui a camminare nella storia testimoniando la gioia del Risorto. Una gioia luminosa che si poteva leggere sul volto delle persone, che hanno percorso lunghi tragitti, sopportato la stanchezza, sfidato il maltempo per ridire, ancora una volta, “grazie” ai loro pastori – Angelo e Karol – che ora possono pregare come Santi.

Proprio con la Litania dei Santi, intonata dal Coro della Cappella Sistina, è iniziata la celebrazione in un clima di raccoglimento intenso, commosso, contraddistinto da un silenzio quasi irreale che ha accompagnato il rito di Canonizzazione. Rito suggestivo, in latino, che ha visto il cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Angelo Amato, rivolgere per tre volte al Santo Padre la petizione per l’iscrizione nell’Albo dei Santi di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Quindi, il momento atteso con trepidante emozione, la formula di Canonizzazione:

“… Beatos Ioannem XXIII et Ioannem Paulum II Sanctos esse decernimus et definimus, ac Sanctorum Catalogo adscribimus…”
"Dichiariamo e definiamo Santi i Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e li iscriviamo nell'Albo dei Santi", le parole di Papa Francesco che, un istante dopo essere uscite dalle sue labbra sono entrate nella storia. I fedeli hanno come abbracciato l’Amen intonato dal Coro con un lungo applauso, alzando lo sguardo verso i grandi arazzi con l’immagine dei due Papi Santi, quasi in un rinnovato dialogo con quei Pastori che, in questa Piazza, hanno accarezzato bambini, abbracciato malati, stretto mani; che in questa Piazza tante volte hanno benedetto il proprio gregge e ora continuano a farlo dal cielo. Il rito della Canonizzazione ha vissuto quindi un altro momento toccante con la collocazione delle reliquie dei due nuovi Santi, accanto all’altare. Il reliquario di San Giovanni Paolo II è stato portato dalla miracolata Floribeth Mora Diaz, accompagnata dalla sua famiglia. Quello di San Giovanni XXIII dai quattro nipoti, dal sindaco di Sotto il Monte, e dal presidente della Fondazione dedicata a Papa Roncalli.

E’ stata dunque la volta della lettura del Vangelo, in latino e in greco, a ribadire che nessuna lingua è estranea all’amore di Dio, così come nessuno era estraneo al cuore di Angelo Roncalli e a quello di Karol Wojtyla. Un Vangelo, quello nella Domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, che – ha detto il Papa all’inizio della sua omelia – è incentrato “sulle piaghe gloriose di Gesù risorto”. Quelle ferite che Tommaso ha voluto vedere, ha voluto toccare per credere. Le piaghe di Gesù, ha commentato Francesco, “sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede”. Per questo, ha detto, “nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio per noi”. Quelle piaghe, ha ripreso, “sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà”:

“San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia”.
“Sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie – ha detto Papa Francesco – ma non ne sono stati sopraffatti”:

“Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza materna di Maria”.

“In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia – ha soggiunto – dimorava una speranza viva, insieme con una gioia indicibile e gloriosa”:

“La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza”.
Proprio “questa speranza e questa gioia – è stata la sua riflessione – si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme”. E’ una comunità, ha evidenziato, “in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità”. E questa, ha proseguito, “è l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé”. San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II, ha affermato, “hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli”:

“Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo a me piace pensarlo come il Papa della docilità allo Spirito Santo”.
“In questo servizio al Popolo di Dio – ha soggiunto – San Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia”.

“Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene”.
“Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio – è stata l’invocazione di Papa Francesco – intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia”:

“Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama”.
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◊   Al termine della Messa per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, Papa Francesco ha guidato il Regina Caeli, la preghiera mariana del Tempo di Pasqua. Ce ne parla Sergio Centofanti:

E’ stata una “festa della fede: così il Papa ha definito questa giornata storica. Le sue parole prima del Regina Caeli sono state un ringraziamento a quanti hanno partecipato all’evento:

“La mia riconoscenza va alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi, venute per rendere omaggio a due Pontefici che hanno contribuito in maniera indelebile alla causa dello sviluppo dei popoli e della pace”.

Papa Francesco ha ringraziato le autorità italiane “per la preziosa collaborazione” e il Comune di Roma, si è detto “grato a tutti coloro che con grande generosità hanno preparato queste giornate memorabili”, forze dell’ordine, organizzazioni e associazioni e i numerosi volontari. Il suo saluto è andato ai tantissimi pellegrini giunti da tutto il mondo come pure a quanti hanno seguito l’evento mediante radio e tv; ha quindi ringraziato gli operatori dei media, “che hanno dato a tante persone la possibilità di partecipare”. Poi ha aggiunto:

“Con grande affetto saluto i pellegrini delle Diocesi di Bergamo e di Cracovia! Carissimi, onorate la memoria dei due santi Papi seguendo fedelmente i loro insegnamenti”.

“Uno speciale saluto” lo ha rivolto anche “ai malati e agli anziani, verso i quali i nuovi Santi erano particolarmente vicini”. Infine ha guidato la preghiera alla Vergine Maria, “che san Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno amato come suoi veri figli”.
◊   La cerimonia di Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II ha avuto un lungo prologo fin da ieri mattina, quando centinaia di migliaia di persone si sono concentrate nella zona di San Pietro, rimanendovi per tutta la notte, in attesa della Messa solenne. Nel suo servizio, Alessandro De Carolis descrive i loro sentimenti e ripercorre dal loro punto di vista i momenti salienti della celebrazione:

Si guardano quasi, Angelo e Karol, l’uno di fronte all’altro, a pochi metri dalla stessa grande finestra dalla quale 56 e 36 anni fa si affacciarono per schiudere alla Chiesa un nuovo corso, l’uno immaginandola sotto la luna proiettata dal Concilio verso il terzo millennio, l’altro accompagnandocela di persona senza avere paura. Si guardano quasi e sorridono alla folla, giganteschi non solo nell’effigie che li ritrae, nel giorno in cui i pochi i decenni che li hanno divisi in terra sfumano accanto all’altare che li porta insieme in cima al cielo. Santi, Angelo e Karol, e il loro sorriso oggi è il vero sole – l’altro è spento dalle nuvole – che illumina il grandioso bivacco di fede tornato ancora una volta a pregare, vegliare e pazientare un’intera notte per arrivare al giorno atteso da una vita e da tante vite.

Piazza San Pietro è un abbraccio di marmo che si scalda quando in alto è ancora buio e il sorriso di Angelo e Karol è una promessa nella penombra. La falange di pellegrini in prima fila si riversa nel Colonnato seguita da un torrente controllato a fatica dagli argini di volontari e Forze dell’ordine, mentre il rettilineo di Via della Conciliazione è una spina dorsale ovunque brulicante di zaini e sacchi a pelo, di chitarre e rosari, di qualche inevitabile problema e di gesti di solidarietà, universali anche nella babele di lingue e dialetti. Dormire sui sampietrini o su letti di travertino è impresa per pochi in questa camera lunga e senza soffitto, da dove il silenzio è bandito. Poi, l’alba arriva a riaccendere il sorriso di Angelo e Karol e porta altre masse a premere sugli ultimi angoli a disposizione. Finalmente, dopo le nove la zona dell’altare comincia ad animarsi. Arrivano e prendono posto re e capi di Stato, le telecamere scrutano e individuano visi noti e strette di mano. Quindi, ore 9.32, il primo applauso scuote Roma e la mondovisione: sul sagrato appare la candida silhouette di Benedetto XVI.

Il terzo dei quattro Papi è sulla scena di una giornata che è diventata storia prima ancora di essere cronaca. Finché, l’arrivo sull’altare di Papa Francesco, al termine della lunghissima processione di cardinali e presuli vestiti di bianco, completa l’affresco. L’applauso che accoglie il Papa raddoppia alle 10.06, momento in cui, sotto il sorriso di Giovanni e Giovanni Paolo, anche Francesco e Benedetto si sorridono e si abbracciano. E otto minuti più tardi, alle 10.14, l’applauso esplode in ovazione: il cielo ha aperto le porte a Angelo e Karol, Papi che furono docili a Dio nel secolo breve per aprire le porte a Cristo in quello successivo.

Uno spruzzo di pioggia fa temere il peggio ma dura poco, migliaia di ombrelli si aprono e chiudono, nulla a confronto col senso di solennità che lo “Iubilate Deo” e il “Gloria” intonati dalla Schola fanno piovere nel cuore di chi guarda il sorriso di Angelo e Karol e segue la celebrazione di Francesco accanto a Benedetto. I maxischermi si riempiono dei primi e primissimi piani di Angelo e Karol – e la piazza di applausi scroscianti – ogni volta che l’omelia di Papa Francesco li chiama in causa. Per contrasto, desta impressione poco dopo il silenzio di cui 800 mila e passa persone sono capaci quando alle 11.33 l’Ostia consacrata viene innalzata.

Altri battiti di mani danno un ritmo di gioia ai tempi della liturgia che volge alla fine e, al Regina Coeli, diventano un vero contrappunto alle parole di ringraziamento che Papa Francesco rivolge a tutti. Il “Missa est” è pronunciato alle 12.07 e le note a festa dell’organo che irrompono e danzano subito dopo sono emblema dell’entusiasmo che la folla adesso può liberare. Angelo e Karol sono Santi e continuano a insegnare, come già lo fecero, che la pace in terra è l’anelito profondo degli uomini di tutti i tempi e che il Redentore dell’uomo è il centro del cosmo e della storia. Certezze con le quali si può ripartire per Wadowice e per Sotto il Monte e per il resto del mondo, in compagnia della certezza del loro doppio sorriso.
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◊   Grandissimo l’entusiasmo delle migliaia di fedeli presenti alla celebrazione, in particolare quando il Pontefice a bordo della papa-mobile ha voluto percorrere tutta Via della Conciliazione per salutare i fedeli, rientrando poi in Vaticano dal Perugino. Ecco alcune testimonianze raccolte da Giancarlo La Vella:

R. - E’ un momento storico cui è stato veramente importante partecipare, sia come atto di fede che come momento di accrescimento personale.

D. - Un tuo ricordo personale, forse più di Giovanni Paolo II che di Giovanni XXIII: ma forse anche i tuoi genitori ti hanno parlato del “Papa buono”?

R. - Sì, assolutamente! Era il Papa di mia nonna, tanto amato dai miei nonni… Nella mia memoria, invece, Giovanni Paolo II come il Papa della Giornata mondiale della gioventù, cui ho partecipato come volontaria.

R. - Una bellissima giornata. Veramente stupenda, anche se siamo rimasti fuori… Ma è stata la stessa cosa. Siamo tutti una sola famiglia. L’importante è esserci! Abbiamo condiviso questa gioia con tutti. E’ una grande festa!

R. - E’ una giornata meravigliosa! Io ho vissuto con Papa Wojtyla: quindi un papà, un nonno, un insegnante di vita.

D. - E di Giovanni XXIII hai qualche ricordo?

R. - Di Giovanni XXIII ricordo la frase: “Andate a casa, portate una carezza ai vostri bimbi e dite: questa è la carezza del Papa”, è la carezza di Giovanni XXIII.

R. - Noi siamo venuti per fede, ma anche per ringraziamento per le grazie che abbiamo ricevuto… E’ un affetto grande!

R. - E’ una giornata stupenda sotto tutti i punti di vista. Si parla molto del significato della storia, del significato religioso, ma il significato più importante penso sia quello della fede, della fede di ciascuno di noi. Noi siamo venuti qui sapendo che non saremmo arrivati - ovviamente! - in Piazza San Pietro, ma siamo venuti per partecipare. Poi ci gusteremo tutta la cerimonia in un secondo momento, rivedendola. Intanto, però, è bello essere stati qui e aver vissuto questa atmosfera. Già stare qui, in una via laterale o parallela di Via della Conciliazione, è stata già un’esperienza molto bella: sentire questo affetto e questa esperienza di fede.

R. - Noi ci tenevamo molto a venire qua e abbiamo fatto di tutto per venirci. Il significato è quello di vedere finalmente due Papi molto importanti per la storia che sono diventati santi. Questo ci ha dato un’immensa gioia.

D. - Una santità che siamo riusciti a sperimentare già quando erano in vita…

R. - Certo! Sicuramente per Giovanni Paolo II già acclamata al momento della morte; così come per Giovanni XXIII, perché nel breve periodo di Pontificato ha dato una svolta a tutto il mondo cristiano.

R. - Mi sento molto Chiesa oggi! Giovanni XXIII ha dato un’impronta alla Chiesa; di Giovanni Paolo II ho sempre ammirato la sua voglia di proclamare il Vangelo. Secondo me il messaggio che la Chiesa oggi sta trasmettendo è che la via della santità è possibile in un mondo dove il Vangelo, purtroppo, non è sempre apprezzato.
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◊   Per quasi 40 anni accanto a Karol Wojtyla, il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, vive con particolare emozione questa giornata. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. – Io ho conosciuto Karol Wojtyla quando era ancora professore e non ancora vescovo. Nel primo anno del seminario, lui insegnava Introduzione alla filosofia e alla teologia; subito abbiamo visto che si trattava di una persona molto speciale, di profonda spiritualità e anche bravissimo come professore: sempre preparato, le sue lezioni erano sempre molto interessanti. Subito aveva anche conquistato la grande simpatia dei seminaristi, di tutti gli studenti. Cosa ci aveva colpito tanto? Quando c’era l’intervallo, andava sempre in cappella a pregare. Quando era nella cappellina, per lui non esisteva nient’altro. E noi, da lontano, lo ammiravamo …

D. – Subito avete capito di trovarvi di fronte ad una persona speciale. Lei, poi, per quasi 40 anni è stato accanto a Karol Wojtyla. Da lui ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale …

R. – Ho avuto anche altre cose: l’ordinazione episcopale, tutto … tutto. L’ho servito per 39 anni: 12 anni a Cracovia e 27 anni a Roma …

D. – Dal vigore di un uomo giovane alla debolezza nella malattia e nella vecchiaia, fino agli ultimi istanti della vita terrena, la sera del 2 aprile 2005, alle 21.37. Lei, cardinale Dziwisz, è stato testimone della santità di Giovanni Paolo II, espressa nei suoi molteplici aspetti. C’è un’immagine particolare che, secondo lei, meglio parla della sua santità?

R. – Mi ha colpito dopo l’attentato, quando aveva ancora coscienza lui, pur non sapendo chi fosse l’attentatore, già lo aveva perdonato e aveva offerto la sua sofferenza per la Chiesa e per il mondo. Non pregava per se stesso, per salvarsi: pregava per gli altri. E questa è una cosa eccezionale. Sempre tutto passava per la preghiera: mi domandavano quante ore pregava? Lui pregava con tutta la sua vita.

D. – Un uomo di preghiera, un mistico, un contemplativo che scelse, come filo conduttore di tutta la sua vita, il motto “Totus tuus” – tutto della Vergine Maria …

R. – Totus tuus: devozione a Maria, ma lui aveva anche una grande devozione allo Spirito Santo. Questa l’apprese da suo padre; poi era molto devoto al Rosario, attraverso il quale meditava la vita del Signore con Maria.

D. – Questo aspetto contemplativo di Giovanni Paolo II va insieme con il suo forte senso pratico, è infatti un santo profondamente umano … E’ un Papa che ha inciso profondamente nella Storia …

R. – Certamente. Lui era molto unito al suo Paese, soprattutto a Cracovia, alla cultura, alla Chiesa polacca, ma molto aperto a tutta la Chiesa, a tutto il mondo, verso tutte le nazioni, anche tutte le religioni … Aveva tante amicizie con gli ebrei e anche contatti con musulmani e con persone di altre religioni. Sempre diceva: “Noi costruiamo ponti, non muri”.

D. – Quando si pensa ai Santi, spesso si immagina di dover andare lontano nella storia. In questo caso non dobbiamo guardare indietro nel tempo: parliamo di un Papa Santo dopo soli nove anni dalla morte. Giovanni Paolo II è dunque un Santo dei nostri giorni, che ha un messaggio ancora profondamente attuale …

R. – Certamente ispira anche oggi le persone, soprattutto i giovani: li ho visti a Rio, i giovani della generazione che non lo aveva conosciuto. Ma quando Papa Francesco ha fatto il suo nome, c’è stato un grande entusiasmo, come c’è stato entusiasmo per l’annuncio della prossima Giornata mondiale della gioventù a Cracovia, nel Paese e nella città di Giovanni Paolo II. Nei più diversi ambiti – in campo sociale, in campo teologico – lui è stato sempre molto presente, ha lasciato una grande eredità dottrinale, che bisogna approfondire, attuare; soprattutto nel campo della difesa dei diritti umani e della libertà dell’uomo e delle nazioni … Si possono toccare i più diversi argomenti: lui era sempre presente.

D. – Ed effettivamente, non c’è categoria di persone con la quale Giovanni Paolo II non sia entrato in contatto. Prima ricordava le Giornate mondiali della gioventù; ma Giovanni Paolo II è stato anche il Papa vicino agli anziani, ai malati, ai poveri, ai bambini, agli sposi, ai consacrati, è stato il Papa della difesa della vita … Insomma, un Papa che ha parlato davvero a tutta l’umanità …

R. – Certamente è stato il Papa della difesa della vita: assolutamente. Anche il Papa della famiglia. Il Papa che ha prestato la voce ai poveri, alle Nazioni soprattutto del Terzo Mondo. Perché viaggiava nei Paesi del Terzo Mondo? Per levare la voce e gridare ai ricchi: “Dovete aiutare i poveri, altrimenti si arriva di nuovo ad un conflitto mondiale”.

D. – Eminenza, come vive questa canonizzazione di Giovanni Paolo II?

R. – Non so … non so. Certamente per me è una cosa eccezionale pensare che d’ora in poi lo chiamerò “Santo” …
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◊   Papa Francesco ha voluto canonizzare Giovanni XXIII senza bisogno di certificare il secondo miracolo attribuito alla sua intercessione. Sui motivi di questa decisione Fabio Colagrande ha sentito il cardinale Loris Francesco Capovilla, per oltre un decennio segretario personale di Angelo Giuseppe Roncalli:

R. – Non posso entrare nelle intenzioni del Santo Padre. So che il Santo Padre vuole riprendere il discorso, non tanto – sembra a me – di Papa Giovanni, quanto quello della sua ispirazione, venuta dall’alto, di convocare tutti i vescovi, tutte le Chiese particolari del mondo intero, a trovarsi insieme ad ascoltare, a pregare, a riflettere e poi, in fraterna carità, domandarsi che cosa dobbiamo fare, adesso, perché la gente del nostro tempo, del secolo XXI, risponda di sì all’invito di Papa Benedetto XVI, che ha detto: “Il Concilio è la stella polare del XXI secolo”. Non ha detto di quest’anno o di domani o dopodomani, ma del XXI secolo. Non è, però, il cammino di un evento solo, è il cammino di tutto il messaggio di Gesù: “Evangelii Gaudium”, la gioia del Vangelo. Io non trovo niente di eccezionale in tutto questo. La Chiesa è una mamma, è la madre, giudica i suoi figli. Se crede, nel corso dei secoli, di proporre questo o quello, uomo o donna, all’attenzione e all’imitazione di tutti i cristiani, lo fa liberamente – va bene – lo fa anche portata dallo Spirito di Dio, lo Spirito Santo, che illumina il cammino della Chiesa. Papa Francesco ci accosta, ciascuno di noi, direi, come mamma, come papà; ci prende per mano; non ci costringe a camminare con lui; ci convince; non ci porta un messaggio suo, portato dalla sua cultura, grande, di gesuita, o dalle esperienze della sua gloriosa e grande terra argentina: viene in nome di Gesù e parla solo di Gesù.

D. – Lei ha scritto che Papa Giovanni il Buono non suscita nostalgia, ma stimola a guardare avanti, cosa intendeva?

R. – Intendo dire che noi non siamo custodi di un santuario, di un reliquiario, di un museo – è Papa Giovanni che l’ha detto – siamo chiamati a custodire un giardino, dove ci sono i semi del Verbo, del Verbo incarnato; a coltivare un giardino e a favorire l’avvento di una nuova Pentecoste, di una nuova Pasqua, di una nuova primavera, e non semplicemente per la gioia di ciascuno di noi, ma per tutta l’umanità. Siamo in cammino, non siamo arrivati alla meta. La strada da percorrere è ancora lunga. Abbiamo capito che abbiamo un tesoro, non solo da custodire, ma da offrire al mondo intero. Evangelii Gaudium: il Vangelo è la bella notizia. Cos’è questa bella notizia? E’ che sono figlio di Dio e Dio non mi abbandona. Quanto è bello sentire il Papa che ogni giorno, quasi ogni giorno, dice: “Gesù non respinge nessuno, aspetta tutti”.

D. – Lei come descriverebbe i dieci anni che ha trascorso con Papa Giovanni come collaboratore?

R. – No, io non sono stato il collaboratore di Papa Giovanni, ma un piccolo “servitorello”, come tanti altri, che hanno visto in lui l’uomo mandato da Dio. Non mi sono mai sentito né collaboratore né segretario, peggio che peggio suggeritore, sarebbe a mio avviso uno scandalo. Sento tutta la gioia di essere stato accanto ad un uomo, che era sicuramente guidato da Dio, ecco, e ha gettato dei semi. Non ha potuto realizzare in pieno tutto quello che era nella sua anima: ha lasciato dei semi.

D. – Che cosa rappresenterà per lei la giornata del 27 aprile?

R. – Un giorno del calendario, perché tutti i giorni del calendario cristiano si chiamano ferie, feste. Sempre festa. Per chi crede è sempre festa, è sempre Pasqua, è sempre risurrezione. Soltanto guardare e volgere gli occhi al cielo, oppure toccarsi il petto dopo avere ricevuto la Santissima Eucaristia, è già un grande dono, è già un grande tesoro, è già un grande mistero di grazia e di luce. E’ sempre festa per noi!
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◊   Per un commento su questa giornata ascoltiamo il cardinale vicario Agostino Vallini al microfono di Luca Collodi:

R. - La definisco la festa della fede e della gioia della fede. L’abbiamo vissuta così in questi giorni di attesa e particolarmente questa notte nelle chiese del centro e nelle altre parrocchie della nostra diocesi. Poi questa mattina, quando in Piazza San Pietro, questo popolo sconfinato ha lodato e benedetto il Signore per il dono di che cosa? Della misericordia, dell’amore di Dio, che illumina questo nostro mondo, attraverso gli esemplari di cristiani come i nostri due nuovi santi, pastori, ma uomini di fede vorrei dire: non sono tali perché sono stati Papi, ma sono tali perché sono cristiani e come tale questa esperienza credo arricchisca tutti e renda più bello il mondo.

D. - Nell’omelia il Papa ha detto che sono propri i santi che mandano avanti la Chiesa…

R. - Ne sono convinto anch’io! Perché la mandano avanti? Perché i santi hanno un collegamento - diciamo così - profondo, intimo, illuminante con lo spirito di Dio, lo Spirito Santo, e come tali vedono le cose importanti, i valori che vanno affermati, annunciati; il Vangelo, in una parola, come sintesi di una vita riuscita. Quindi certamente ci aiutano con la loro intercessione, ma anche con il loro stile di vita.

D. - Il Papa ha ricordato anche che i due Papi sono stati figli del XX secolo: un secolo triste da un punto di vista bellico, ma non sono stati sopraffatti…

R. - Proprio perché erano uomini di Dio hanno trovato la strada giusta per attingere alla sorgente le ragioni del senso della vita e si sono messi al servizio del bene e degli uomini. Non dimentichiamo che la prima Enciclica di Giovani Paolo II è stata la Redemptor hominis, Cristo Redentore dell’uomo: è stato il grande messaggio del suo Pontificato. E Papa Giovanni, indicendo il Concilio ha ritenuto di chiamare la Chiesa ad una sorta di slancio rinnovato, anche nel contesto presente, per poter essere segno del Regno di Dio che si compie nella storia.

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