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domenica 19 settembre 2010

Loppianolab(da radiovaticana)

◊   “Quale Paese, quale unità”: ruota intorno a questo interrogativo LoppianoLab, quattro giorni di riflessione e scambio di esperienze per individuare nuovi possibili percorsi di sviluppo economico, culturale e educativo per l’Italia. L’iniziativa che ha preso il via ieri per concludersi domenica, si tiene a Loppiano, la cittadella internazionale del Movimento dei Focolari nei pressi di Firenze. Promotori dell’evento anche il Polo imprenditoriale Lionello Bonfanti, l’istituto universitario di Loppiano, Sophia, e il gruppo editoriale “Città Nuova”, tutti soggetti legati dalla spiritualità dell’unità propria dei Focolari. Ma come è nata l’idea di questo laboratorio di idee? Adriana Masotti lo ha chiesto all’architetto Daniele Casprini, coordinatore dell’evento:

R. - Un laboratorio a Loppiano, anzitutto perché Loppiano, da oltre 40 anni , è una cittadella che ha proprio questa caratteristica, quella di essere cioè un laboratorio, un laboratorio di convivenza e di integrazione tra popoli di diverse tradizioni, culture, costumi ed anche religioni. Qui è nata, quindi, l’idea di realizzare un laboratorio specifico: una manifestazione che vuole essere proprio un crocevia di conoscenze, un luogo aperto in cui mettere in rete idee, prassi e sperimentazioni nei campi dell’attualità, della cultura, dell’educazione e dell’economia, per tracciare insieme possibili piste verso una nuova visione di unità del Paese Italia.

D. - Tanti i temi che verranno presi in considerazioni, come la politica, l’economia e l’educazione. Ma qual è il messaggio o anche la sollecitazione che si vuol comunicare?

R. - LoppianoLab è il risultato di uno sforzo comune di quattro agenzie: quattro agenti si sono messi insieme per continuare a dare un contributo, nella misura in cui è possibile, al Paese e alla sua unità. Viviamo una fase del nostro Paese in cui vediamo quanto sia presente il desiderio della valorizzazione delle singole realtà locali e delle singole esigenze. Quale Italia e quale unità, dunque? Questo, penso, ce lo stiamo chiedendo un po’ tutti. Non credo che ci siano ricette o che ci siano soluzioni preconfezionate. LoppianoLab vuole essere proprio un laboratorio per andare a scoprire, per andare ad esplorare nuove piste, per vedere cosa veramente può unirci, cosa può riportare veramente il Paese ad una visione più unitaria.

D. - Un contributo che potrebbe essere, ad esempio, per la politica richiamare al bene comune oppure in economica ad uno sviluppo per tutti…

R. - Potrebbe essere anche questo, lo vedremo. Vedremo che cosa uscirà. Io credo che questo laboratorio sarà un’esperienza interessante, un’esperienza nuova anche nell’approccio.

martedì 11 maggio 2010

Un nostro corrispondente...dal mondo della Bibbia, Tony, ci invita alla Sapienza!

Scegliere la sapienza

La sapienza non poggia né sulla conoscenza sensibile né sull'intellettualismo:

essa ci fa posporre questi tipi di conoscenza per arrivare ad avere anche

intellettualmente un contatto con l'intelligenza per eccellenza che è Dio.

Ma ci si potrebbe porre una domanda: «È fatta per me la sapienza; sono

capace io di acquistarla? Non è difficile? Non sono solo i grandi geni che possiedono

questo tipo di conoscenza?».

Leggiamo cosa dice al riguardo il libro della Sapienza: «Anch'io sono un

uomo mortale come tutti, discendente del primo essere plasmato di creta. (...)

nessun re iniziò in modo diverso l'esistenza. Per questo pregai (...) e venne in

me lo spirito della sapienza»1.

Questa risposta è di grande consolazione: per ottenere la sapienza non

occorre aver ricevuto un'educazione particolare. Pur essendo figli di Adamo,

plasmati di fango, basta chiederla con la preghiera. Tutti possiamo possederla.

È indispensabile, però, fare una scelta: «La preferii a scettri e troni, stimai

un nulla la ricchezza al suo confronto; non la paragonai neppure ad una gemma

inestimabile, perché tutto l'oro al suo confronto è un po' di sabbia e come

fango sarà valutato di fronte ad essa l'argento. L'amai più della salute e della

bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore

che ne promana»2.

Quindi per avere la sapienza bisogna mettere Dio al primo posto nella nostra

vita, non essere attaccati a beni di nessuna specie, amare il prossimo e vivere

una vita di comunione.

Qualcuno potrebbe pensare che, se potesse dedicare più tempo allo studio,

il suo profitto sarebbe maggiore. Invece non è così, perché la sapienza la si

acquista attraversando tutte le difficoltà concrete che una vita normale comporta.

Anzi, stando a gomito a gomito con ogni genere di persone, apprendiamo

molte cose su certi valori dell'esistenza umana, che nessun libro potrebbe

mai darci.

Parlare della sapienza è parlare di Dio che ci illumina in una maniera

profonda. Se abbiamo in noi la stessa vita di Dio, diventiamo persone sapienti.

La sapienza «sebbene unica, può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova

e attraverso le età, entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti.

Nulla infatti Dio ama se non chi vive con la sapienza»3.

Chi ha intuito e sperimentato cos'è la sapienza, sente il desiderio di sposarla,

donandosi completamente a Dio nella sua specifica vocazione.

Pasquale Foresi

1) 7, 1-7 passim.

2) 7,8-10.

3) 7,27-28.

martedì 23 marzo 2010

Una segnalazione per i papà: una presenza desiderabile

CON IL PATROCINIO DEL COMUNE DI TAVAGNACCO

Istituto Scolastico Comprensivo

di Tavagnacco

promuove l’incontro con

Dott. Ezio Aceti - Psicologo

Il papà: una presenza

“desiderabile”

Il suo ruolo educativo nella relazione con i propri figli.

Giiovedìì 8 aprile 2010

Ore 20::30

Auditorium Comunale

di FELETTO UMBERTO

(ingresso gratuito)


L’incontro, senza voler escludere le mamme che ne fossero

interessate, è riservato ai papà che vogliono riflettere insieme

sull’importanza della loro figura e loro presenza nella

promozione di una crescita equilibrata dei loro figli.

Il dottor Ezio Aceti, laureato in Psicologia all'Università di Padova, è consulente

psicopedagogico del Comune di Milano, direttore del Consultorio familiare di

Erba (Como) ed è stato molte volte ospite in Friuli in diversi eventi.

In questo incontro vorrebbe affrontare, per la prima volta, parlandone

direttamente con gli interessati, il tema dell’importanza della presenza

del papà per la crescita dei propri figli.

Tra le sue pubblicazioni:

Dialogo per crescere, Ancora, Milano, 1995

Pronti? si parte!, Città Nuova, Roma 1998, 2003* (con Lino Fignelli)

Adolescenti a scuola, Città nuova, Roma 2001, 2001* (con Cristina Pochintesta)

Basta cavoli e cicogne!, Città Nuova, Roma 2002 (con Alberta Rotteglia)

Comunicare fuori e dentro la famiglia, Città Nuova, Roma 2004, (a cura di)

Finestre sul mondo - i ragazzi e l'uso dei media, Città Nuova, Roma, 2004

lunedì 2 novembre 2009

Nel giorno della Commemorazione dei defunti miglioriamo leggendo Chiara Lubich

Tutto appartiene a Dio
26-10-2009 di Chiara Lubich -


“E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli” (Mt 19,24) .

Parola di vita
Ti fa una certa impressione questa frase?
Penso che hai ragione di rimanere perplesso e di pensare a quanto è opportuno che tu faccia. Gesù non ha detto niente per modo di dire. È necessario quindi prendere queste parole sul serio, senza volerle annacquare.
Ma cerchiamo di capire il vero senso di esse da Gesù stesso, dal suo modo di comportarsi con i ricchi. Egli frequenta anche persone benestanti. A Zaccheo, che dà soltanto metà dei suoi beni, dice: la salvezza è entrata in questa casa.
Gli Atti degli Apostoli testimoniano inoltre che nella Chiesa primitiva la comunione dei beni era libera e quindi che la rinuncia concreta a tutto quanto si possedeva non era richiesta.
Gesù non aveva dunque in mente di fondare soltanto una comunità di persone chiamate a seguirlo […], che lasciano da parte ogni ricchezza.
Eppure dice:
«È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Cosa condanna allora Gesù? Non certamente i beni di questa terra in sé, ma il ricco attaccato ad essi.
E perché?
È chiaro: perché tutto appartiene a Dio e il ricco invece si comporta come se le ricchezze fossero sue.
Il fatto è che le ricchezze prendono facilmente nel cuore umano il posto di Dio e accecano e facilitano ogni vizio. Paolo, l’Apostolo, scriveva: «Coloro che vogliono arricchire cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori» .
Già Platone aveva affermato: «È impossibile che un uomo straordinariamente buono sia a un tempo straordinariamente ricco».
Quale allora l’atteggiamento di chi possiede? Occorre che egli abbia il cuore libero, totalmente aperto a Dio, che si senta amministratore dei suoi beni e sappia, come dice Giovanni Paolo II, che sopra di essi grava un’ipoteca sociale.
I beni di questa terra, non essendo un male per sé stessi, non è il caso di disprezzarli, ma bisogna usarli bene.
Non la mano, ma il cuore deve star lontano da essi. Si tratta di saperli utilizzare per il bene degli altri.
Chi è ricco lo è per gli altri.
«È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Ma forse dirai: io non sono ricco per davvero, quindi queste parole non mi riguardano.
Fa’ attenzione. La domanda che i discepoli costernati hanno fatto a Cristo subito dopo questa sua affermazione è stata: «Chi si potrà dunque salvare?». Essa dice chiaramente che queste parole erano rivolte un po’ a tutti.
Anche uno che ha tutto lasciato per seguire Cristo può avere il cuore attaccato a mille cose. Anche un povero che bestemmia perché gli si tocca la bisaccia può essere un ricco davanti a Dio.
Pubblicata per intero su Città nuova n. 12/1979.

lunedì 24 agosto 2009

Da Cittanuova n. 15/16

L'enciclica e un mercato "fraterno"
05-08-2009 di Paolo Lòriga -
Fonte: Città nuova

Stefano Zamagni, docente di economia politica all’università di Bologna, è consultore del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, organismo che segue i temi affrontati dalla “Caritas in veritate”.

L'enciclica e un mercato
Quale punto reputa più innovativo della “Caritas in veritate”?
«Un primo punto è l’invito a superare la separazione tra la sfera dell’economico e la sfera del sociale. La modernità, negli ultimi tre secoli, ci ha lasciato un modello di società in base al quale c’è, da una parte, la sfera dell’economia, con la sua logica ferrea che non ammette di essere sottomessa ad alcun giudizio, tanto che si dice: “gli affari sono affari”. Dall’altra, c’è la sfera del sociale, nella quale avvengono le compensazioni. Cioè, il sociale deve provvedere a tutto ciò che l’economia di mercato di tipo capitalistico non è in grado di produrre sul piano della giustizia e dell’equità. Non dimentichiamo che il welfare state, lo stato sociale, è figlio di questa logica di separazione. Il pensiero dell’Ottocento e, soprattutto, del Novecento – sia che si collocasse politicamente nel versante liberista o nel versante statalista – manteneva inalterato quel modello.
«Ebbene, l’enciclica di Benedetto XVI ci dice che questo è un vecchio modo di pensare, perché siamo entrati nella società post-industriale e quindi l’elemento del sociale deve entrare dentro l’economico, non a margine o successivamente. È un’innovazione notevole, che può consentire al mercato di tornare ad essere strumento di civilizzazione dei rapporti e delle strutture che genera».
L’enciclica assume il principio di fraternità nella sfera economica. Quali le ragioni?
«Benedetto XVI dà centralità al principio di fraternità. Ecco un altro punto innovativo e tra i più intriganti per gli effetti che può generare.
«La letteratura socioeconomica mette in evidenza da tempo che la gente anela oggi alla felicità, ma una società per garantire questo obiettivo deve essere fraterna. Non basta la solidarietà, che è la condizione che tende a rendere i diversi uguali, mentre la fraternità consente agli eguali di essere diversi. Una società fraterna è anche solidale, ma non è vero il contrario. Quindi è un passo in avanti.
«È importante che in questa enciclica appaia esplicitamente il principio di fraternità, perché anche la letteratura più avanzata di economia e di questioni sociali ha sottovalutato, salvo rarissime eccezioni, il bisogno di una società fraterna. E la fraternità non è altro che la traduzione, in termini economico-pratici, del principio di reciprocità. Ecco perché nell’enciclica si parla a più riprese della reciprocità.
«Va detto, infine, che la categoria di pensiero della fraternità non è una novità assoluta, perché è merito della scuola di pensiero francescana già a partire dal XIII secolo sino alla rivoluzione francese: nella bandiera c’era scritto liberté, egalité, fraternitè. Ma dopo la rivoluzione francese la parola fraternità è stata cancellata e bandita. Ora con questa enciclica si può tornare a parlare di fraternità e a considerarla come una categoria di pensiero».
L’inserimento nell’enciclica del principio di fraternità è dovuto allo scoppio della crisi finanziaria?
«No. La Caritas in veritate mette in evidenza il limite intrinseco del capitalismo: quello di identificare un fine – la massimizzazione del profitto – e farlo diventare fine dell’intera società. Il che non vuol dire che il profitto sia da condannare, ma lo condanna quando diventa l’unica ragione. L’enciclica ribadisce che il mercato è un modo per organizzare l’attività economica, mentre propone di superare il capitalismo.
«Riguardo al principio di fraternità, l’enciclica indica esempi che sono una novità: si parla di aziende non capitalistiche, quali le imprese cooperative, quelle sociali, quelle dell’Economia di Comunione. Sono imprese vere e proprie, perché producono per il mercato, però non hanno il fine della massimizzazione del profitto. Non vogliamo considerarle imprese, queste?
«La logica della separazione ricordata in precedenza tenderebbe a dire che queste appartengono al sociale. E invece l’enciclica dice: no, appartengono all’economico. Sono quella minoranza profetica che mostra che è possibile stare dentro il mercato, rispettarne le regole, perseguendo fini di utilità collettiva o sociale».

lunedì 16 marzo 2009

Dalla Radiovaticana: primo anniversario di Chiara

Tra gli innumerevoli eventi in corso nel mondo in questi giorni nel primo anniversario della conclusione del viaggio terreno di Chiara Lubich, di particolare rilievo il discorso celebrativo che il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha pronunciato ieri pomeriggio nella Chiesa della Panaghia al Belgrad Kapi ad Istanbul. Presente una delegazione giunta da Roma in rappresentanza della presidente dei Focolari, Maria Voce. Il servizio di Carla Cotignoli:

“Siamo oggi qui segnati non dal lutto, ma dalla letizia”. E’ questa la nota che percorre il denso discorso pronunciato dal Patriarca Bartolomeo I nella Chiesa della Panaghia e il clima in cui è seguito un momento conviviale insieme alla delegazione dei focolari giunta da Roma. Di Chiara il Patriarca ha evidenziato il cammino di fede, da lei percorso “senza paure o tentennamenti”, “con la forza disarmante e persuasiva del suo sorriso”. E l’abbraccio universale, nell’impegno a ricomporre “la comunione tra le Chiese”, “la pace tra le nazioni” e “la fruttuosa collaborazione tra tutti gli uomini pur differenti per religione o cultura”.


“Chiara continua ad attestare – ha proseguito – come le differenze di fede non costituiscano affatto una minaccia, ma al contrario sollecitino attivamente tutti “a risolvere insieme i problemi del nostro pianeta”. Il Patriarca ha messo in luce come il genuino spirito focolarino continui a riscaldare gli animi”. Ha ricordato gli anni giovanili dei suoi studi romani durante i quali ha conosciuto Chiara e il suo movimento, e, con commozione, l’ultimo incontro con lei pochi giorni prima della sua “partenza”. Per richiamare poi “il profondo amore di Chiara per la Chiesa di Costantinopoli e, negli anni dei suoi ripetuti viaggi alla sua sede, il Fanar, “i sentimenti di stima” del Patriarca Atenagora che nelle “intuizioni di Chiara e nei “conseguenti sviluppi del movimento” scorgeva lo zelo apostolico della primitiva comunità cristiana. Dalle parole del Patriarca traspare una luce di speranza, che la “divina avventura” di Chiara, getta sulle Chiese e sull’umanità. Nell’indirizzo di ringraziamento di Gabriella Fallacara, a nome dell’intero Movimento, l’assicurazione dell’impegno senza riserve a continuare a vivere la sua eredità.

lunedì 16 febbraio 2009

Radiovaticana: Convegno dei vescovi Amici dei Focolari


Testimoniare Cristo nella società al centro del Convegno dei vescovi Amici dei Focolari

◊ “La presenza di Gesù da lui promessa quando “due o più” sono riuniti nel suo nome” (Mt 18, 20), è stato il tema centrale del convegno internazionale promosso dal Movimento dei Focolari, che si è concluso a Castel Gandolfo, a cui hanno partecipato 75 vescovi di 40 nazioni. L’evento è stato incoraggiato anche dal Santo Padre, che nel saluto rivolto ai vescovi al termine dell’udienza generale in piazza San Pietro mercoledì scorso, si è detto “lieto di questa opportunità che vi è offerta per confrontare esperienze ecclesiali di diverse zone del mondo”. I momenti più importanti di questa settimana di riflessioni, caratterizzata anzitutto dalla fraterna comunione fra i vescovi, sono elencati nel comunicato finale diffuso alla stampa, che racconta, fra l’atro, dell’apertura del convegno dedicata ad un’ampia analisi delle sfide con le quali i pastori oggi si devono confrontare: “Assistiamo a un collasso della società occidentale - ha detto cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga e coordinatore di questi Convegni - con le tremende conseguenze che ne vengono per la vita di miliardi di persone e che mettono da tempo in difficoltà anche il Popolo di Dio. Assistiamo a quella che Giovanni Paolo II e altri hanno chiamato la “notte oscura epocale”. “Che cosa ci può dare speranza in questa situazione?” si è poi domandato il cardinale, esprimendo la convinzione che questo quadro globale “esige una concentrazione sull’essenziale, che ci porterà alla presenza viva di Cristo in mezzo a due o più, a cellule vive in sempre più punti: nelle comunità parrocchiali, nelle famiglie, nei piccoli gruppi, nelle curie diocesane, nelle scuole, nei parlamenti”. Tutto questo è una risposta alla crescente carenza di relazionalità, secondo la sociologa Vera Araujo, che ha affrontato il fenomeno della globalizzazione. Carenza di relazionalità, frutto di un individualismo esasperato che lascia spazio solo a relazioni superficiali, casuali o virtuali. Da qui la necessità di trovare risposte adeguate e di saper reagire in modo costruttivo alla crescente interdipendenza e molteplicità di religioni, razze, lingue, culture. In questa direzione la testimonianza della cittadella internazionale di Loppiano e del nascente Istituto Universitario “Sophia” (Firenze), cui i vescovi hanno fatto visita. Un altro momento saliente del convegno è stata infine la presentazione dell’esperienza di una cellula di vita cristiana in un contesto del tutto laico, vissuta da un gruppo di 30 laici, medici, infermieri e amministratori di un policlinico universitario romano, che hanno offerto ai vescovi un modello di relazioni capaci di incidere nell’ambiente ordinario del lavoro. (M.G.)

domenica 23 marzo 2008

Un amico ci segnala un articolo di Daria Bignardi su Chiara Lubich

Fonte:http://bignardi.style.it/

In ricordo di Chiara, che scelse di amare tutti

Il mio «incontro» con la fondatrice dei focolarini. E con una fede «al femminile»

Il mio primo incontro con la morte è stato bello, grazie a Chiara Lubich. Avevo vent’anni e stavo partendo per le vacanze di Pasqua con la mia amica Maria Rita, che da Ferrara si era trasferita a Perugia, quando mi avvertirono che Maria Rita aveva avuto un incidente in motorino con sua sorella Annamaria, e che Annamaria era morta.
Mi precipitai a Perugia in autostop, che in quegli anni era il mio principale mezzo di trasporto, e trovai Maria Rita ammaccata e confusa, ma sorridente. I suoi genitori, Paola e Piero, mi accolsero pieni di grazia: Annamaria aveva ventun anni, era la maggiore dei loro quattro figli e loro dovevano essere straziati, ma irradiavano una luce che non avevo mai visto prima, consolando e accogliendo la processione di amici e parenti che arrivavano a casa. Passai da loro una settimana incredibile, in uno stato di sovreccitazione spirituale ma anche di gioia. Con Maria Rita la sera salivamo all’ultimo piano a trovare i vicini di casa che avevano tre figli che ci piacevano: la loro madre ci rimpinzava di confetti di Sulmona mentre noi suonavamo la chitarra. La mattina invece mangiavamo torta pasqualina con uova e salame, poi andavamo in centro a guardare libri, palazzi, cantando Joan Armatrading.
In quella casa si respirava qualcosa che non ho mai più riconosciuto in maniera così tangibile: la forza indistruttibile di una famiglia creata da due persone che avevano scelto di amare tutti. Paola e Piero, i genitori di Maria Rita, erano due Focolarini di Grosseto che si erano sposati e trasferiti a Ferrara perché Piero era ingegnere alla Montedison: non mi parlarono di Chiara Lubich, fondatrice del loro movimento, fino a vent’anni dopo, regalandomi un suo libro per il mio matrimonio, un libro che parlava di Dio con parole che capivo anch’io che mi ero allontanata dalla Chiesa da tanto tempo.
Del resto tutti capiscono il linguaggio dell’amore, anche i non credenti, e infatti scoprii che nel movimento dei Focolari ci sono anche trentamila musulmani e centomila non credenti. Chiara Lubich e Madre Teresa di Calcutta sono state le due più grandi creatrici di fede dell’ultimo Novecento, anche se la Lubich, maestra trentina, non ha mai fatto proselitismo. Eppure il suo movimento, nato nel 1943 da un gruppo di amiche che si erano riunite per aiutare gli sfollati, oggi coinvolge due milioni di persone in tutto il mondo.
Da quel che ne ho capito io, che sono una bestia, li unisce l’idea che chi si immedesima nella Madre ai piedi della Croce non può che provare sentimenti di cura, affetto e fratellanza per chi incontra sul suo cammino. Chiara Lubich, morta la settimana scorsa a 88 anni, qualche anno fa aveva chiesto e ottenuto da Giovanni Paolo II che sia sempre una donna a guidare i Focolarini, perché il «genio femminile» della sua opera non vada mai perduto.

lunedì 17 marzo 2008

Chiara Lubich: Avvenire 15 marzo

Il suo carisma (15 marzo 2008)
La sua rivoluzione nel segno dell'unità



Giovanni Ruggiero

Piovevano le bombe su Trento, e nei rifugi antiarei, in quei momenti d’angoscia, tutto e la vita stessa pareva soccombere sotto il fuoco dei bombardamenti. Non di tutti, però, era lo sgomento. Se ne stava lì una ragazza poco più che ventenne che non batteva i denti e leggeva in un cantuccio il Vangelo a quanti le stavano intorno. E un giorno, in un ululare di sirene, apertolo a caso, lesse nelle parole dell’evangelista Giovanni il Testamento di Gesù: «Che tutti siano uno, Padre, come io e te». Chiara Lubich, quella ragazza, portava ancora il nome Silvia che le avevano imposto i genitori. Era nata a Trento il 22 gennaio 1920 e non aveva ancora scelto quest’altro nome per onorare la Santa di Assisi. «Quelle parole – ricorda anni dopo, quando il movimento dei Focolari è già diffuso nei cinque continenti – sembravano illuminarsi ad una ad una. Quel "tutti" sarebbe stato il nostro orizzonte. Quel progetto di unità è la ragione della nostra vita».

Cominciò a dire alle persone che impaurite la circondavano che però c’è l’Unico che nessun bomba avrebbe fatto crollare, e ha continuato a insegnarlo a quanti, poi, l’hanno seguita.
Sono giorni fervidi e intensi: «Ogni giorno nuove scoperte – ricorda negli anni – il Vangelo era diventato unico nostro libro, unica luce di vita». Nasce sotto le bombe di Trento l’idea del movimento, e la stessa Chiara ha creduto che gli inizi dei Focolari fossero legati a un episodio intimo e di dolce abbandono, quando nella chiesetta dei cappuccini di Trento, sola davanti all’altare, pronunciò il suo sì per sempre al Signore. Era il 7 dicembre 1943.

L’unità che desiderano, quando poi finalmente i cieli italiani si rischiarano, è quella evocata dall’Evangelista <+corsivo>perché tutti siano uno<+tondo>. Bruna Tomasi è stata una delle prime a seguire Chiara e ricorda il fervore di quegli anni dell’immediato dopoguerra. Di Chiara dice: «È stata una persona che mi ha fissato in Dio. Mi si è spalancato così un cristianesimo dove tutto mi sembrava vivo. Chiara ci invitava a trasformare il mondo amandolo». Quell’unità evangelica si inizia a viverla nel quotidiano, in tutte le circostanze: «Cominciava a dirci che chi ama Dio ama anche i fratelli, proprio grazie a questo amore, e amandoli li aiuta e li invita a fare la stessa cosa con gli altri. Così l’amore, che viene da Dio, diventa una catena».

In questa unità d’amore si sostanzia il programma e il carisma dei Focolari, oggi più di due milioni in tutto il mondo, un «piccolo popolo», come ebbe a definirli Giovanni Paolo II. Il programma di Chiara Lubich è semplice: «Facciamo dell’unità tra noi il trampolino per correre dove non c’è l’unità e farla». L’unità attraverso il dialogo che è da principio un dialogo in più direzioni che Chiara Lubich persegue anche a titolo personale incontrando le personalità più importanti di tutte le fedi. Dialogo all’interno della Chiesa, per approfondire la comunione tra i movimenti ecclesiali; tra le Chiese, per tessere rapporti di comunione fraterna e accelerare il cammino dell’unità visibile tra i cristiani; con l’ebraismo, per sanare ferite di secoli; tra le religioni per costruire un mondo fraterno sui valori dello spirito e, infine, con persone non mosse da una fede, sulla base di valori condivisi, nel rispetto dei diritti umani, nei campi della solidarietà e della pace.

È però soprattutto questa unità nel Suo nome ad aver fatto dei Focolari un movimento ecclesiale, inserito nell’attuale stagione di fioritura dei nuovi carismi, che nella Christifideles Laici di Papa Wojtyla sono chiamati «grazie dello Spirito... per l’edificazione della Chiesa, il bene del mondo e le necessità del mondo».
E difatti il carisma di Chiara si sostanzia in un Vangelo vissuto, anche se lei ripeterà sempre che tutto non è stato pensato solo da mente umana: «Ma viene dall’Alto. Sono in genere le circostanze che manifestano ciò che Dio vuole. Noi cerchiamo di seguire la Sua volontà giorno dopo giorno». Lo intuì il vescovo di Trento, Carlo De Ferrari, che diede la sua approvazione al movimento nel 1947: «Qui – scrisse icasticamente – c’è il dito di Dio», e lo stesso Paolo VI, nella prima udienza data ai Focolari nel 1964, riconoscerà nel movimento un’opera del Signore. Due anni prima i Focolari avevano avuto l’approvazione pontificia.


Sono modelli di unità e di Vangelo vissuto le Cittadelle, oggi 35 sparse in tutti il mondo. Chi le ha solo visitate e vi ha trascorso anche pochi giorni ne ricorda l’atmosfera di mondo ideale. Sono vere e proprie piccole città, con case, negozi, centri d’arte, sale per incontri, atelier e piccole aziende. Sono bozzetti di una socialità nuova, sperata da molti e perduta per tanti, la cui legge è l’amore reciproco, la legge del Vangelo, con la conseguente piena comunione di ogni ricchezza spirituale. Ed è ancora Vangelo vissuto in molte di queste Cittadelle, come quella di Loppiano, presso Incisa Valdarno, la creazione di poli aziendali che accolgono e uniscono imprese produttive informate al progetto di economia di comunione. Appare quasi un’utopia questo concetto in un mercato sempre più selvaggio e liberista. Chiara Lubich ci spiegò con parole semplici lo spirito di queste aziende che hanno Dio tra i soci di maggioranza: «È da lui che è partito tutto, per questo dico che è connaturale all’uomo più il dare che l’avere. Lui ha detto: date e vi sarà dato. Quelli che attuano l’economia di comunione danno ai poveri almeno un terzo e, di conseguenza, anche a loro sarà dato».

Un modello di unità è poi la famiglia, alla quale i Focolari rivolgono una particolare cura. Nel 1967 è nato il movimento Famiglie Nuove che vede tra i fautori Igino Giordani, il quale aveva conosciuto Chiara quando sedeva tra i banchi di Montecitorio, nel 1948: «La santità – scrisse ricordando quel primo incontro – è a portata di tutti; cadono i cancelli che separano il mondo laicale dalla vita mistica; sono messi in piazza i tesori di un castello a cui solo pochi erano ammessi». I Focolari propongono un nuovo modo di essere famiglia tessuta dalla trama di quattro fili: educazione, formazione, socialità e solidarietà. «La famiglia – diceva Giordani – non si chiude in se stessa, ma si espande come cellula. La società nuova nasce, come da fonte sacra naturale, dalla famiglia che vive il Vangelo».
Proprio di recente, scritti di Chiara Lubich e di Igino Giordani sono stati raccolti per raccontare gli albori del movimento: Erano i tempi di guerra, è anche il titolo, e si cominciava a costruire qualcosa mentre il mondo si distruggeva sotto le bombe. Cominciava qualcosa di straordinario. Il cardinale Tarcisio Bertone che ne ha curato la prefazione lo sottolinea. Ricordando Benedetto XVI, dice: «Quando un’esperienza autenticamente evangelica muove i suoi primi passi, è in un certo senso lo Spirito Santo stesso che nuovamente prende la parola». E Chiara l’avverte. Un giorno, in una di queste sue Mariapoli ammira la spianata verde della valle: «Mi parve di capire – ricorda – che un giorno il Signore avrebbe voluto, in qualche posto, una cittadella simile a quella che si stava svolgendo, ma permanente, e con la fantasia ho immaginato di vedere la vallata popolata di casa e casette». Chiara Lubich, quando ha sentito che il respiro l’abbandonava per sempre, ha chiesto di tornare a Mariapoli, quella di Rocca di Papa. Qui ha reso l’anima a Dio, raggiungendolo oltre questa valle.

sabato 15 marzo 2008

Dal Movimento dei Focolari

Chiara Lubich ha concluso il suo viaggio terreno

14/03/2008



In un clima sereno, di preghiera e di intensa commozione, Chiara Lubich ha concluso a 88 anni il suo viaggio terreno questa notte, 14 marzo 2008, alle ore 2 nella sua abitazione di Rocca di Papa (Roma), dove in nottata di ieri era rientrata per sua espressa volontà dopo il ricovero al Policlinico Gemelli.

Per tutta la giornata, ieri, centinaia di persone – parenti, stretti collaboratori e suoi figli spirituali – sono passati nella sua stanza, per rivolgerle l’ultimo saluto, per poi fermarsi in raccoglimento nell’attigua cappella, sostando poi a lungo attorno alla casa in preghiera. Una ininterrotta e spontanea processione. A taluni Chiara ha potuto anche fare cenni d’intesa, nonostante l’estrema debolezza.

Continuano a giungere dal mondo intero messaggi di partecipazione e di condivisione da parte di leader religiosi, politici, accademici e civili, e da tanta gente del “suo” popolo.

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

The Chosen ...é sufficiente per me...posso fare molto con questo ..

Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occ...