In ricordo di Chiara, che scelse di amare tutti
Il mio «incontro» con la fondatrice dei focolarini. E con una fede «al femminile»
Il mio primo incontro con la morte è stato bello, grazie a Chiara Lubich. Avevo vent’anni e stavo partendo per le vacanze di Pasqua con la mia amica Maria Rita, che da Ferrara si era trasferita a Perugia, quando mi avvertirono che Maria Rita aveva avuto un incidente in motorino con sua sorella Annamaria, e che Annamaria era morta.
Mi precipitai a Perugia in autostop, che in quegli anni era il mio principale mezzo di trasporto, e trovai Maria Rita ammaccata e confusa, ma sorridente. I suoi genitori, Paola e Piero, mi accolsero pieni di grazia: Annamaria aveva ventun anni, era la maggiore dei loro quattro figli e loro dovevano essere straziati, ma irradiavano una luce che non avevo mai visto prima, consolando e accogliendo la processione di amici e parenti che arrivavano a casa. Passai da loro una settimana incredibile, in uno stato di sovreccitazione spirituale ma anche di gioia. Con Maria Rita la sera salivamo all’ultimo piano a trovare i vicini di casa che avevano tre figli che ci piacevano: la loro madre ci rimpinzava di confetti di Sulmona mentre noi suonavamo la chitarra. La mattina invece mangiavamo torta pasqualina con uova e salame, poi andavamo in centro a guardare libri, palazzi, cantando Joan Armatrading.
In quella casa si respirava qualcosa che non ho mai più riconosciuto in maniera così tangibile: la forza indistruttibile di una famiglia creata da due persone che avevano scelto di amare tutti. Paola e Piero, i genitori di Maria Rita, erano due Focolarini di Grosseto che si erano sposati e trasferiti a Ferrara perché Piero era ingegnere alla Montedison: non mi parlarono di Chiara Lubich, fondatrice del loro movimento, fino a vent’anni dopo, regalandomi un suo libro per il mio matrimonio, un libro che parlava di Dio con parole che capivo anch’io che mi ero allontanata dalla Chiesa da tanto tempo.
Del resto tutti capiscono il linguaggio dell’amore, anche i non credenti, e infatti scoprii che nel movimento dei Focolari ci sono anche trentamila musulmani e centomila non credenti. Chiara Lubich e Madre Teresa di Calcutta sono state le due più grandi creatrici di fede dell’ultimo Novecento, anche se la Lubich, maestra trentina, non ha mai fatto proselitismo. Eppure il suo movimento, nato nel 1943 da un gruppo di amiche che si erano riunite per aiutare gli sfollati, oggi coinvolge due milioni di persone in tutto il mondo.
Da quel che ne ho capito io, che sono una bestia, li unisce l’idea che chi si immedesima nella Madre ai piedi della Croce non può che provare sentimenti di cura, affetto e fratellanza per chi incontra sul suo cammino. Chiara Lubich, morta la settimana scorsa a 88 anni, qualche anno fa aveva chiesto e ottenuto da Giovanni Paolo II che sia sempre una donna a guidare i Focolarini, perché il «genio femminile» della sua opera non vada mai perduto.
Il mio primo incontro con la morte è stato bello, grazie a Chiara Lubich. Avevo vent’anni e stavo partendo per le vacanze di Pasqua con la mia amica Maria Rita, che da Ferrara si era trasferita a Perugia, quando mi avvertirono che Maria Rita aveva avuto un incidente in motorino con sua sorella Annamaria, e che Annamaria era morta.
Mi precipitai a Perugia in autostop, che in quegli anni era il mio principale mezzo di trasporto, e trovai Maria Rita ammaccata e confusa, ma sorridente. I suoi genitori, Paola e Piero, mi accolsero pieni di grazia: Annamaria aveva ventun anni, era la maggiore dei loro quattro figli e loro dovevano essere straziati, ma irradiavano una luce che non avevo mai visto prima, consolando e accogliendo la processione di amici e parenti che arrivavano a casa. Passai da loro una settimana incredibile, in uno stato di sovreccitazione spirituale ma anche di gioia. Con Maria Rita la sera salivamo all’ultimo piano a trovare i vicini di casa che avevano tre figli che ci piacevano: la loro madre ci rimpinzava di confetti di Sulmona mentre noi suonavamo la chitarra. La mattina invece mangiavamo torta pasqualina con uova e salame, poi andavamo in centro a guardare libri, palazzi, cantando Joan Armatrading.
In quella casa si respirava qualcosa che non ho mai più riconosciuto in maniera così tangibile: la forza indistruttibile di una famiglia creata da due persone che avevano scelto di amare tutti. Paola e Piero, i genitori di Maria Rita, erano due Focolarini di Grosseto che si erano sposati e trasferiti a Ferrara perché Piero era ingegnere alla Montedison: non mi parlarono di Chiara Lubich, fondatrice del loro movimento, fino a vent’anni dopo, regalandomi un suo libro per il mio matrimonio, un libro che parlava di Dio con parole che capivo anch’io che mi ero allontanata dalla Chiesa da tanto tempo.
Del resto tutti capiscono il linguaggio dell’amore, anche i non credenti, e infatti scoprii che nel movimento dei Focolari ci sono anche trentamila musulmani e centomila non credenti. Chiara Lubich e Madre Teresa di Calcutta sono state le due più grandi creatrici di fede dell’ultimo Novecento, anche se la Lubich, maestra trentina, non ha mai fatto proselitismo. Eppure il suo movimento, nato nel 1943 da un gruppo di amiche che si erano riunite per aiutare gli sfollati, oggi coinvolge due milioni di persone in tutto il mondo.
Da quel che ne ho capito io, che sono una bestia, li unisce l’idea che chi si immedesima nella Madre ai piedi della Croce non può che provare sentimenti di cura, affetto e fratellanza per chi incontra sul suo cammino. Chiara Lubich, morta la settimana scorsa a 88 anni, qualche anno fa aveva chiesto e ottenuto da Giovanni Paolo II che sia sempre una donna a guidare i Focolarini, perché il «genio femminile» della sua opera non vada mai perduto.
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