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domenica 31 maggio 2009

Commento alla parola domenica 31 maggio 2009

PENTECOSTE: lo Spirito apre cuori e frontiere


La Pentecoste cristiana celebra il dono dello Spirito, “che è Signore e dà la vita”. Inizialmente, la festa ebraica di Pentecoste - sette settimane, ossia 50 giorni dopo la Pasqua- era la festa della mietitura del frumento. Ad essa si unì, più tardi, il ricordo della promulgazione della Legge sul Sinai. Da festa agricola, la Pentecoste è divenuta progressivamente una festa storica: un memoriale delle grandi alleanze di Dio con il suo popolo. È da sottolineare la nuova prospettiva riguardo alla Legge e al modo di intendere e vivere l’alleanza. La Legge era un dono del quale Israele andava orgoglioso, ma era una tappa transitoria, insufficiente.

Era necessario progredire in un cammino di interiorizzazione della Legge, cammino che raggiunge il culmine nel dono dello Spirito Santo, che ci è dato, come nuova fonte normativa, come vero e definitivo principio di vita nuova. Intorno alla Legge, Israele si costruì come popolo. Nella nuova famiglia di Dio, la coesione non viene più da un comando esterno, per quanto eccellente sia, ma dal di dentro, dal cuore, in forza dell’amore che lo Spirito ci dàperché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo”. Grazie a Lui “siamo figli di Dio” e gridiamo: “Abbà, Padre!”. Siamo il popolo della nuova alleanza, chiamato a vivere una vita nuova, in forza dello Spirito che fa di noi la famiglia di Dio, con dignità di figli ed eredi.

A tale dignità deve corrispondere uno stile di vita coerente. Paolo nella seconda lettura di questa festa, descrive con parole concrete due stili di vita differenti e opposti, a seconda della scelta di ciascuno: le opere della carne o i frutti dello Spirito. Per quelli che sono di Cristo Gesù e vivono dello Spirito, il programma è uno solo: “camminiamo secondo lo Spirito”.

Lo Spirito fa camminare le persone e i gruppi umani e cristiani, rinnovandoli e trasformandoli dal di dentro. Lo Spirito apre i cuori, li purifica, li sana, li riconcilia, fa superare le frontiere, porta alla comunione. È Spirito di unità (di fede e di amore) nella pluralità di carismi e di culture, come si vede nell’evento di Pentecoste, raccontataci dagli Atti degli Apostoli, nel quale si coniugano bene insieme l’unità e la pluralità, ambedue doni dello stesso Spirito. Popoli diversi intendono un unico linguaggio comune a tutti. S. Paolo attribuisce allo Spirito la capacità di rendere la Chiesa una e molteplice nella pluralità di carismi, ministeri e operazioni. La Chiesa ha sempre davanti a sé la sfida di essere cattolica e missionaria; di passare da Babele a Pentecoste.

Lo Spirito Santo è certamente il frutto più bello della Pasqua nella morte e risurrezione di Gesù: Egli Lo alita sui discepoli. È lo Spirito del perdono dei peccati e lo Spirito della missione universale. Anzi è il protagonista della missione, affidata da Gesù agli apostoli e ai loro successori. Lo Spirito è sempre all’opera: nell’azione missionaria semplice e nascosta di ogni giorno, come pure nei momenti più solenni, al fine di “rinnovare l’evento della Pentecoste nelle Chiese particolari”, in vista di un più fermo impegno nella nuova evangelizzazione e nella missione.

Per tale missione lo Spirito ci viene dato come guida “alla verità tutta intera” e come Consolatore. Strettamente legata all’opera creativa e purificatrice dello Spirito, c’è anche la Sua capacità di sanare e guarire. L’azione risanatrice raggiunge a volte anche il corpo, ma molto più spesso tocca lo spirito umano, sanandone le ferite interiori ed effondendo il balsamo della riconciliazione e della pace.


Lo Spirito Santo dona di comprendere. Supera la rottura iniziata a Babele - la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri - e apre le frontiere. Il popolo di Dio che aveva trovato al Sinai la sua prima configurazione, viene ora ampliato fino a non conoscere più alcuna frontiera. Il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, è un popolo che proviene da tutti i popoli. La Chiesa fin dall’inizio è cattolica, questa è la sua essenza più profonda... Vento e fuoco dello Spirito Santo devono senza sosta aprire quelle frontiere che noi uomini continuiamo ad innalzare fra di noi; dobbiamo sempre di nuovo passare da Babele, dalla chiusura in noi stessi, a Pentecoste. (Benedetto XVI°)




Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in noi quello stesso fuoco

che ardeva nel cuore di Gesù, mentre egli parlava del regno di Dio.

Fa’ che questo fuoco si comunichi a noi,

così come si comunicò ai discepoli di Emmaus.

Tu solo, Spirito Santo, puoi accenderlo e

a te rivolgiamo la nostra debolezza,

la nostra povertà, il nostro cuore spento,

perché tu lo riaccenda del calore della santità della vita.

Donaci, Spirito santo, di comprendere

il mistero della vita di Gesù.

Te lo chiediamo per intercessione di Maria, madre di Gesù,

che conosce Gesù con la perfezione e la pienezza della madre e con la perfezione e la pienezza di colei che é piena di grazia. (Card. Carlo Maria Martini)


domenica 24 maggio 2009

Commento alla parola domenica 24 maggio 2009





ASCENSIONE DEL SIGNORE


Il lucchetto ed il cielo

Molti ragazzi di Roma hanno pensato di giurarsi amore eterno allo stesso modo dei protagonisti di un romanzo ormai diventato famoso. Chiudono un lucchetto sul parapetto di ponte Milvio e poi buttano la chiave nel fiume Tevere. È il loro modo di dirsi: “Saremo uniti per sempre”. Per molti non sono per niente belli da vedersi quei lucchetti… Ma è bello il simbolo e commovente l’intenzione: “Noi abbiamo chiuso questo lucchetto (cioè sigillato il nostro patto di amarci per sempre) e nessuno lo potrà mai aprire, neanche noi, perché buttiamo via la chiave”. E quel lucchetto rimane lì. È diventato un simbolo d’amore, certo! Ma è un simbolo chiuso, statico, fermo. Un testimone tenero ma silenzioso. Senza coscienza. Senza alcun potere di aiutare quei due ragazzi che vogliono amarsi in eterno. Un simbolo che arrugginisce senza neanche saperlo, semplicemente con il passare del tempo… Come succede purtroppo a tanti amori che non hanno dato a Dio le chiavi dei propri cuori e dei propri corpi. Amori e storie che si chiudono, perché erano chiusi già al momento d’iniziare.

Anche Gesù, dopo averci amato in tutti i modi possibili e fino all’ultima goccia di sangue, vuole “inventare” un simbolo d’amore. Ascende al cielo. È un simbolo aperto, dinamico, in movimento.. com’è nella natura vera dell’amore. Se il lucchetto testimonia un istante, una promessa ancora tutta da realizzare, Gesù che ascende al cielo intanto testimonia una promessa mantenuta: la sua vita, spesa per amare e sacrificata per amore di ciascuno di noi. Inoltre, il lucchetto non può cambiare la realtà della vita e dell’amore di chi lo ha messo! Gesù che ascende al cielo invece inaugura e ci introduce in una nuova realtà: quella della vita eterna. Gesù non chiude un lucchetto e se ne va, ma “apre” un nuovo orizzonte: quello del cielo, quello del Padre, quello dell’amore eterno. Quello dell’amore che non ha limiti e confini né di spazio né di tempo. Gesù non rimane spettatore impassibile e impotente - come il lucchetto - da qualche parte su di un trono al di là delle nuvole! Tutto il contrario. Ascendere al cielo non è un modo di congedarsi, di separarsi da noi! Salendo al cielo Gesù ci dice: “Ora saremo davvero uniti per sempre. Il cielo è aperto. La vita eterna, l’amore eterno è a vostra disposizione da adesso. Pietro, ricordati che io non ho buttato le chiavi, ma le ho date a te per aprire a tutti quelli che vogliono entrare! Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”. Gesù continua ad essere presente e operante ma in modo più “alto”, più perfetto… Attraverso di noi.


Perché state

a guardare il cielo?


Sembra un dolce rimprovero e, in effetti, lo è. Ma forse non dobbiamo guardare il cielo?

A ciascuno di noi sarà capitato almeno una volta di guardare il cielo - non solo per vedere che tempo farà - e rimanerne affascinati. Magari pensando a qualcuno o lasciando che i propri pensieri, desideri, spiccassero il volo… Vivendo a Roma bisogna fare molta attenzione a dove metti i piedi per terra, non puoi guardare al cielo. Ma ci farebbe bene ogni tanto fare questo. Ricordare a noi stessi che il Padre nostro che è nei cieli è il Padre di tutti, è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti. Ricordare a noi stessi che non siamo stati creati solo dalla terra ma anche dallo Spirito di Dio. Che non esistiamo per stare su questa terra meglio possibile e il più a lungo possibile ma per un progetto d’amore di Dio che è ogni giorno da scoprire con la preghiera e l’ascolto della sua Parola.

Ricordare che la mia vita ha un senso e un posto, accanto a qualcun altro, per edificare il corpo di Cristo. E allora? Cosa significa il dolce rimprovero? Solo qualche domenica fa san Paolo ci aveva detto: “pensate alle cose di lassù”. Ecco la risposta: “Pensate” al cielo! Non: “guardate” il cielo… perché dovete guardare sulla terra, a quello che succede qui, a chi ha bisogno di voi.

Pensate alle cose di lassù mentre vi date da fare nelle cose di quaggiù. Perché senza l’amore di Dio non potete amare né voi stessi né chiunque vive su questa terra.

Altro che “tre metri sopra il cielo”… “Tre metri sotto terra”!!!

Pensa al cielo e ti riempi di speranza quando sei tentato di disperarti. Pensa al cielo e ricevi la forza di sacrificarti per amore quando il sentimento dell’amore sembra finito. Pensa al cielo e sperimenti la gioia di continuare ad amare quelli che pensavi di avere perso e che invece vivono nell’amore eterno di Dio e continuano ad amarti e ti attendono. Pensa al cielo e trovi il coraggio di convertirti! Pensa al cielo ma non stare a guardarlo per fantasticare o per conoscere il futuro. Il futuro è questo presente sulla terra, quello che vivi o che non vivi oggi con il Signore… questo è il tuo cielo.

domenica 17 maggio 2009

Commento alla parola domenica 17 maggio 2009

Amatevi come io vi ho amato


La liturgia odierna - come sempre - ci parla soltanto d’amore. «Dio è amore», e dunque che cos’altro potrebbe dirci la sua parola, o donarci il suo agire? A un ascolto attento, però, oggi - e ogni giorno - questo motivo unico risuona con toni nuovi. Seguiamolo attraverso le letture, per apprendere a cantarlo con la vita.

L’amore da parte dell’uomo comincia con l’attenzione, con un’intensa attesa rivolta a Dio, e del resto già suscitata da lui. Inizia con l’accorgersi che egli ci ha amati per primo, da sempre, e non perché lo meritassimo. Scoprirsi amati significa al contempo riconoscersi peccatori perdonati. Questo perdono non ha avuto per Dio - l’Onnipotente! - un prezzo irrisorio, ma proprio così si è manifestato l’amore: «Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui..., lo ha mandato come vittima di espiazione per i nostri peccati». Il volto amante di Dio ci è stato rivelato dal volto di dolore e di gloria di Cristo. Ed egli ci invita a rimanere nel suo amore - il più grande, perché è la vita donata - per poter gustare la comunione con il Padre.

Ancora una volta ci è chiesto di essere “attenti”: l’amore donato e accolto coinvolge nel suo dinamismo ognuno di noi. Deve divenire il nostro donarci: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati», nell’attenzione fattiva e costante a non lasciar prevalere la natura egoistica nel nostro sentire, pensare, parlare, operare, nella tensione gioiosa di porre al principio di tutto il divino comandamento. Non è facile per nessuno in concreto...

Ma lo Spirito ci è dato per questo! Una nuova attenzione d’amore ci è proposta: cercare di intuire in ogni circostanza le vie che lo Spirito ci va aprendo davanti perché l’amore possa dispiegarsi e raggiungere ogni uomo. Anche Pietro si è spogliato a fatica di inveterate convinzioni per abbracciare il disegno di Dio: attento allo Spirito e ai fratelli, ha indicato alla Chiesa nascente un nuovo percorso d’amore, lasciando a noi tutti una traccia di luce.

sabato 9 maggio 2009

Commento alla parola domenicale 10 maggio 2009



Uniti A Cristo Per Avere La Vita

Devo rendermi conto che il cristianesimo non è solo un messaggio, ma una vita. Non tocca solo la mente, ma fa compiere un salto qualitativo nell’ordine dell’essere. Non è solo illuminante, ma trasformante. Perché è la vita divina riversata in me da Cristo e vivificante la mia esistenza grazie alla mia comunione con lui. Chi mi può dare la vita divina, la partecipazione alla vita immortale, una vita e al di là di ogni immaginazione, se non Dio stesso? Io non posso scalare il cielo, posso solo ricevere ciò che dal cielo mi viene donato. E la ricevo, stando in comunione con Cristo, la vite, e con i fratelli, gli altri tralci. Il Padre dà la vita al Figlio e il Figlio la trasmette a coloro che sono uniti a lui: ecco la realtà che trasforma tutto!

Penso mai all’unicità della “vita divina”? Questa espressione può, a volte, apparire vaga, perché non verificabile con strumenti umani, ma è decisiva, perché è la ragione del mio “essere figlio” di Dio, della mia vita definitiva con Dio, una vita che sarà vita “di famiglia” con l’inaccessibile e gloriosa Trinità, perché ormai sono suo “consanguineo”. Il punto di saldatura insostituibile tra il divino e l’umano resta Gesù, e la comunione con Gesù. Egli è insostituibile per la mia vita di figlio di Dio, egli mi rende un tralcio sano con la sua parola, egli mi fa giungere la linfa vitale d’immortalità, una linfa che viene dall’eterno e immerge nell’eterno.

Suprema bellezza della fede! Stupendo panorama di una vita divinizzata!


Preghiera

O Gesù, come sei grande e decisivo! Con te sono vivo, senza di te sono morto.

Con te il fiume immortale della vita divina mi travolge e mi porta verso l’oceano divino, sconfinato e senza tramonto!

Con te sono tutto, senza di te sono nulla!

Ti ringrazio, Signore,

pieno d’ammirazione, d’essere venuto

a collegarmi con l’eterno,

anzi con il Padre, fonte della vita perenne! Lègami a te, perché io non sia un tralcio reciso, un tralcio senza frutto.

Tieni tu viva in me la coscienza della necessità

della mia comunione con te.

Per questo ti presento tutto il mio bisogno della Parola che mi unisce a te, dell’eucaristia

che mi nutre di te, del comandamento nuovo

che mi collega con i miei fratelli e produce il frutto più prezioso della fraternità,

della testimonianza al tuo nome

che riempie di grappoli maturi il mio tralcio.

Mondami, Signore, con la tua parola, e sostieni il mio impegno di dare frutti duraturi nei campi della fraternità e della venerazione e dell’amore al tuo santo nome, nome di vite, nome di vita, nome di frutti che maturano per l’eternità.


Anche la vite, quando intorno le è stato zappato il terreno, viene legata e tenuta diritta affinché non si pieghi verso terra. Alcuni tralci si tagliano, altri si fanno ramificare: si tagliano quelli che ostentano un’inutile esuberanza, si fanno ramificare quelli che l’esperto agricoltore giudica produttivi. Perché dovrei descrivere l’ordinata disposizione dei pali di sostegno e la bellezza dei pergolati, che insegnano con verità e chiarezza come nella Chiesa debba essere conservata l’uguaglianza, sicché nessuno, se ricco e ragguardevole, si senta superiore, e nessuno, se povero e di oscuri natali, si abbatta o si disperi? Nella Chiesa ci sia per tutti un’unica e uguale libertà, con tutti si usi pari giustizia e identica cortesia.

Per non essere piegato dalle burrasche del secolo e travolto dalla tempesta, ognuno, come fa la vite con i suoi viticci e le sue volute, si stringe a tutti quelli che gli sono vicini quasi in un abbraccio di carità e unito ad essi si sente tranquillo. È la carità che ci unisce a ciò che sta sopra di noi e ci introduce in cielo. «Se uno rimane nella carità, Dio rimane in lui» (1Gv 4,16). Perciò anche il Signore dice: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può produrre frutto da solo, se non resta unito alla vite, così anche voi, se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,4s.)

(S. Ambrogio).


sabato 2 maggio 2009

Commento alla parola domenica 3 maggio 2009

Dal MESSAGGIO DEL PAPA per la 46° GIORNATA MONDIALE

DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI.

La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana

In occasione della prossima Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, che sarà celebrata il 3 maggio 2009, Quarta Domenica di Pasqua, mi è gradito invitare l’intero Popolo di Dio a riflettere sul tema: La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana. Risuona perenne nella Chiesa l’esortazione di Gesù ai suoi discepoli: “Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!”. Pregate! Il pressante appello del Signore sottolinea come la preghiera per le vocazioni debba essere ininterrotta e fiduciosa. Solamente se animata dalla preghiera infatti, la comunità cristiana può effettivamente “avere maggiore fede e speranza nella iniziativa divina”.

La vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata costituisce uno speciale dono divino, che si inserisce nel vasto progetto d’amore e di salvezza che Iddio ha su ogni uomo e per l’intera umanità. L’apostolo Paolo, che ricordiamo in modo speciale durante quest’Anno Paolino nel bimillenario della sua nascita, scrivendo agli Efesini afferma: “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo, in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”. Nell’universale chiamata alla santità risalta la peculiare iniziativa di Dio, con cui sceglie alcuni perché seguano più da vicino il suo Figlio Gesù Cristo, e di lui siano ministri e testimoni privilegiati. […]

Dobbiamo pregare perché l’intero popolo cristiano cresca nella fiducia in Dio, persuaso che il “padrone della messe” non cessa di chiedere ad alcuni di impegnare liberamente la loro esistenza per collaborare con lui più strettamente nell’opera della salvezza. E da parte di quanti sono chiamati si esige attento ascolto e prudente discernimento, generosa e pronta adesione al progetto divino, serio approfondimento di ciò che è proprio della vocazione sacerdotale e religiosa per corrispondervi in modo responsabile e convinto. […]

Contemplando il mistero eucaristico, che esprime in modo sommo il libero dono fatto dal Padre nella Persona del Figlio Unigenito per la salvezza degli uomini, e la piena e docile disponibilità di Cristo nel bere fino in fondo il “calice” della volontà di Dio, comprendiamo meglio come la fiducia nell’iniziativa di Diomodelli e dia valore alla risposta umana”. Nell’Eucaristia, il dono perfetto che realizza il progetto d’amore per la redenzione del mondo, Gesù si immola liberamente per la salvezza dell’umanità. […]

A perpetuare questo mistero salvifico nei secoli, sino al ritorno glorioso del Signore, sono destinati i presbiteri, che proprio in Cristo eucaristico possono contemplare il modello esimio di un “dialogo vocazionale” tra la libera iniziativa del Padre e la fiduciosa risposta del Cristo. Nella celebrazione eucaristica è Cristo stesso che agisce in coloro che Egli sceglie come suoi ministri; li sostiene perché la loro risposta si sviluppi in una dimensione di fiducia e di gratitudine che dirada ogni paura […].

La consapevolezza di essere salvati dall’amore di Cristo, che ogni Santa Messa alimenta nei credenti e specialmente nei sacerdoti, non può non suscitare in essi un fiducioso abbandono in Cristo che ha dato la vita per noi. Credere nel Signore ed accettare il suo dono, porta dunque ad affidarsi a Lui con animo grato aderendo al suo progetto salvifico. Se questo avviene, il “chiamato” abbandona volentieri tutto e si pone alla scuola del divino Maestro; ha inizio allora un fecondo dialogo tra Dio e l’uomo, un misterioso incontro tra l’amore del Signore che chiama e la libertà dell’uomo che nell’amore gli risponde, sentendo risuonare nel suo animo le parole di Gesù: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”.

Chi può ritenersi degno di accedere al ministero sacerdotale? Chi può abbracciare la vita consacrata contando solo sulle sue umane risorse? Ancora una volta, è utile ribadire che la risposta dell’uomo alla chiamata divina, quando si è consapevoli che è Dio a prendere l’iniziativa ed è ancora lui a portare a termine il suo progetto salvifico, non si riveste mai del calcolo timoroso del servo pigro che per paura nascose sotto terra il talento affidatogli, ma si esprime in una pronta adesione all’invito del Signore, come fece Pietro quando non esitò a gettare nuovamente le reti pur avendo faticato tutta la notte senza prendere nulla, fidandosi della sua parola. Senza abdicare affatto alla responsabilità personale, la libera risposta dell’uomo a Dio diviene così “corresponsabilità”, responsabilità in e con Cristo, in forza dell’azione del suo Santo Spirito; diventa comunione con Colui che ci rende capaci di portare molto frutto. […]

Cari amici, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà e ai dubbi; fidatevi di Dio e seguite fedelmente Gesù e sarete i testimoni della gioia che scaturisce dall’unione intima con lui. Ad imitazione della Vergine Maria, che le generazioni proclamano beata perché ha creduto, impegnatevi con ogni energia spirituale a realizzare il progetto salvifico del Padre celeste, coltivando nel vostro cuore, come Lei, la capacità di stupirvi e di adorare Colui che ha il potere di fare “grandi cose” perché Santo è il suo nome.

sabato 25 aprile 2009

Prima Comunione 2009. bambini, famiglie e comunità in festa!

Oggi, domenica 26 aprile,

ricevono la PRIMA COMUNIONE



Baldin Greta, Barusso Omar, Bassich Valentina, Belliato Riccardo, Bozzetto Celeste, Brandalise Angelica, Breda Giulia, Campana Natalia, Candolo Beatrice, Cappelli Michela, Cesarin Gaia, Codarin Jenny, Codognato Lucia, D’Agostini Sofia, Dalla Bona Kevin, De Biaggio Chiara, Dean Alice, Deganis Sara, Dell’Agnese Lorenzo, Della Torca Aurora, Fantin Marco, Favaro Andrea, Fornasir Alberto, Malisan Deborah, Malisan Susan, Maran Nereo, Pagano Nicol, Pavan Sara, Pavon Damiano, Pitta Emanuele, Ravazzolo Ekaterina, Roson Pietro, Stanisci Riccardo, Taverna Alessio, Tecovich Cristina, Totis Roberto, Tuniz Gilberto, Venturini Rebecca, Zanfagnin Thomas, Zaninello Matteo, Zemolin Luca, Zoratti Mara, Zuliani Daniele.


Commento alla parola 26 aprile 2009


La gioia del pellegrino

La gioia pasquale cresce e avrà la sua pienezza nella vita eterna, nella risurrezione futura. La nostra gioia, quindi, è la speranza di diventare eredi del regno dei cieli, la speranza di risorgere con Cristo anche nel corpo. Gioia vissuta, sperimentata, pregustata sulla terra come pellegrini, ma destinata a crescere fino alla meta della beata eternità.

Questa gioia di pellegrini - che è sempre unita alla fatica e alla sofferenza del cammino - richiede da parte nostra ascesi, conversione del cuore, impegno per custodirla, perché può essere facilmente turbata e sopraffatta dallo sgomento, dalla stanchezza, dall’angoscia: tutti pericoli che incombono mentre siamo in viaggio. Abbiamo perciò bisogno di una forza interiore, divina: quello che noi da soli non sapremmo custodire è affidato allo Spirito Santo, lo Spirito consolatore.

Come ottenere un dono così prezioso grazie al quale vivere davvero da testimoni del Risorto e rallegrarci sempre, comunque vadano le cose? Dobbiamo desiderarlo con purità di cuore e con umiltà per riceverlo con gratitudine come dono. Se c’è questa disposizione in noi, c’è veramente la vita nuova: allora eseguiamo il testamento che il Signore Gesù ci ha lasciato, allora c’è il canto nuovo, la gioia vera.

PREGHIERA

Su questa strada sempre pellegrini,

peso di solitudine nel cuore,

vienici incontro tu, il Vivente tra i morti,

e spezzaci il pane dell’amore.

Su questa lunga strada dove,

al tramonto, si stendono le nostre ombre, accendi, o Viandante avvolto di mistero, il vivido bivacco della tua parola

e sapremo dal suo bruciante ardore

che più viva, più forte

la nostra Speranza è risorta.

Sì, apri la nostra mente a comprendere la Parola che sola può dissipare i dubbi che ancora sorgono nel nostro cuore.

Quante volte anche noi, incapaci di riconoscerti, ti abbiamo rinnegato! Ma tu, il Giusto, con mite patire ti sei fatto vittima di espiazione per i nostri peccati. Ora non lasciarci esitanti e turbati:

la tua presenza infonda in noi la pace, il tuo spirito rischiari

il nostro sguardo e ci renda gioiosi testimoni del tuo amore.

Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

The Chosen ...é sufficiente per me...posso fare molto con questo ..

Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occ...