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sabato 2 agosto 2008

Commenti alla parola domenicale: 3 agosto 2008

Dio, nostro Padre

Prima di dare il pane, perché tutti ne mangino e siano saziati, Gesù fa una considerazione sulla situazione triste in cui si trova il popolo: «Sentì compassione per loro». Egli manifesta che il popolo si trova nella stessa situazione in cui tante volte i profeti avevano visto Israele, momenti tragici, momenti di angoscia, di esilio e di morte, in cui sembrava che Dio avesse abbandonato i suoi figli. È la stessa insopportabile situazione in cui vengono a trovarsi gli ebrei in Egitto. Ed è anche la nostra situazione: siamo un popolo ammalato, oppresso, gente schiava, che fa compassione e pietà.

Noi siamo convinti di non esserlo e guardiamo infatti alla miseria e alla schiavitù degli altri; quasi per esorcizzare la nostra povertà ci consoliamo con il peccato di chi ci sta accanto.

Guai alla Chiesa che non scopre la propria povertà, e non ammette il proprio peccato; guai se non sente su di sé la compassione e la pietà del suo Signore, perché allora non saprà essa stessa aver compassione e pietà degli uomini: cercherà di giustificare e di minimizzare ogni evento tragico della storia, perché gli altri facciano lo stesso con lei. Ogni volta che il popolo di Dio infatti cerca appoggi di forza o alleanze politiche, o si affida al denaro e alla potenza umana, ogni volta che siamo spinti a mettere in opera strumenti umani per costruire il regno di Dio, siamo gente miserabile.

Ogni volta che pretendiamo di guadagnarci il Regno, o che carichiamo sulle spalle degli altri i pesi, che Dio non ha mai imposto, ci mettiamo al posto di Dio e testimoniamo un ateismo pratico nella nostra vita, ben più grave dell’ateismo teorico.

Il programma del Messia, che Cristo vuole realizzare, è ben diverso: «Dice il Signore: Chiunque ha sete venga a bere; anche chi è senza soldi venga a mangiare... Tutto è gratuito: c’è vino e latte, e non si paga».

Nel regno di Dio non si compera nulla. Quanto ci viene imposto di «comperare» per acquistare il regno di Dio, è semplicemente falso.

IL PANE

A questo popolo, oppresso e abbandonato, sfruttato da pastori iniqui, Gesù annuncia il programma del Messia già descritto dai profeti. A questo popolo, che aveva seguito il Maestro in un luogo deserto per ascoltare la Parola ed essere guarito dalla sua infermità, Gesù dona il pane necessario per vivere l’esperienza dell’incontro con Dio.

Ma il senso del miracolo letto nel Vangelo non sta tanto nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, che nel testo non viene neppure sottolineata. Ciò che conta infatti non è il modo in cui è avvenuto il miracolo, ma il fatto che con poche cose a disposizione, Dio dà da mangiare a tutti, finché tutti ne siano sazi.

L’episodio diviene così segno e figura del pranzo messianico a cui tutti i popoli sono invitati: «Sul monte Sion il Signore dell’universo preparerà per tutte le nazioni del mondo un banchetto imbandito di ricche vivande e di vini pregiati» (Is 25,6).

Il miracolo che annuncia la venuta del Messia è questo, e rimarrà per sempre simbolo della sua apparizione in mezzo a noi: «Tutti ne mangiarono, e ne furono saziati».

L’invito a partecipare al Regno non è determinato dalla bontà o meno della nostra vita, ma dall’accettazione di ricevere gratuitamente il pane di Dio, che è preparato per ognuno, ma uguale per tutti.

Nel regno di Dio tutto viene diviso non secondo il merito, ma secondo il bisogno di ciascuno, e tanti quindi potranno mangiare del mio, perché ogni dono che viene da Dio è di tutti e nessuno può considerarsi proprietario.

RIUNITI NEL REGNO

Per molti Padri della Chiesa ogni miracolo del pane che il Vangelo ci racconta, contiene sempre un riferimento, se pure implicito, all’Eucaristia.

Paolo, nella prima lettera ai Corinti, giunge ad affermazioni gravissime riguardo alla cena eucaristica consumata senza la condivisione con i fratelli di quanto i cristiani possiedono: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti quando partecipa alla cena prende prima il proprio pasto, e così mentre uno ha fame, l’altro è ubriaco» (1Cor 11,20).

L’apostolo Paolo impone cioè ai cristiani di condividere tutto quello che hanno ricevuto da Dio. E poiché tutto abbiamo ricevuto da Dio come dono, non possiamo pretendere nulla come diritto, né arrogarci su nulla il nome di proprietari. Siamo riuniti nel Regno per mangiare insieme il pane che viene dal cielo.

Lungo i secoli, il riferimento all’Eucaristia è stato nella Chiesa continuo e costante: dobbiamo condividere il Corpo di Cristo, e la sua parola, ma anche il pane della nostra tavola e i doni che ci sono stati fatti: «Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo il pane della terra?» (dalla Didachè).

In questa linea allora l’Eucaristia è anche il mistero di unione tra tutti gli uomini. L’Eucaristia, come ogni dono di Dio, obbliga continuamente ad uscire da se stessi, ad uscire dalla propria casa, a mettersi in cammino, ad andare in esilio, a percorrere il deserto che conduce a una nuova vita.

L’Eucaristia, come pane della moltiplicazione, è il cibo proprio dei viandanti, dei pellegrini, dell’uomo cioè che esce da se stesso e allontana la sua sicurezza per andare verso Dio. Come il popolo ebreo uscì per andare verso la terra del riposo, così per noi la meta sarà la Gerusalemme celeste, simbolo del regno di Dio.

PREGHIERA

Noi ti ringraziamo, o Dio di eterno amore, per il dono dell’eucaristia, come comunione e fusione in Cristo e nei fratelli. Quando comunichiamo con l’eucaristia non solo ci uniamo a Cristo e facciamo una sola cosa con lui («un solo corpo»), ma ci compaginiamo anche tra di noi, diventiamo «un corpo solo» con Cristo e come chiesa. Ti chiediamo allora perdono se non sempre abbiamo sentito il fascino segreto e irresistibile dell’eucaristia e se, peggio, abbiamo speso a volte il tempo ad accumulare sicurezze per noi, chiusi nel nostro egoismo, stroncati dalla sfiducia e dalla disperazione.

Imploriamo da te, o Padre, il dono di quella sapienza che ci fa comprendere che la nostra faticosa peregrinazione nel deserto della vita diventa già un abitare nella patria del cielo; perché «non di solo pane vive l’uomo», ma di quel «pane» che è lui, il Figlio di Dio, mandato nel mondo per salvarlo. E, infine, ti supplichiamo che, comunicando al corpo di Cristo, possiamo diventare ciò che siamo, come ci dice sant’Agostino: corpo di Cristo e membra gli uni degli altri. Ecco il desiderio profondo da coltivare nel cuore e nella preghiera: lasciamo che tu, o Signore, compia questo miracolo in noi. Tu sei il Signore, tu puoi tutto. Amen!

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