Fonte
L'entusiasmo dei cristiani di Israele e Palestina per la vista del Papa. Il Pontefice, durante la Messa, ricorda le sofferenze di chi ha fede in Cristo in questa zona del pianeta di Mariaelena Finessi
La navetta che porta alla valle di Josafat (il cui nome letteralmente significa “Dio giudicherà”) carica pellegrini venuti a Gerusalemme dalle Filippine, come Gina Macadamia – badante presso una famiglia israeliana – che ha marito e bimba al seguito. Tutti indossano una t-shirt bianca che ricorda questa tappa (12 maggio) del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa. Prima della salita al Getsemani, l'autobus si ferma e i pellegrini scendono per mettersi in fila al cancello che si apre sull'arena in cui il Pontefice celebrerà, da qui a poco, la Santa Messa.
L'area è la parte più settentrionale della valle del Cedron, un'ampia depressione che separa la collina del Tempio dalle pendici del Monte degli Ulivi. Gli israeliani l'hanno blindata e l'ingresso nella valle è rallentato dai controlli di sicurezza. Un primo check è per stabilire – passaporto alla mano – l'identità, la provenienza e la ragione della propria presenza in questo posto. Dire che si vuole assistere alla Messa del Papa non basta, se non si dimostra di possedere uno dei pochi biglietti di invito (si ipotizza qualche migliaia) che sono stati stampati e resi nominativi. Subito dopo si va al secondo check, dove un altro soldato giovanissimo, capelli rossi e pelle bruciata dal sole, chiede di mostrargli l'invito che analizza con uno speciale apparecchio per verificare se esso sia originale oppure una copia riuscita male. Terza fila, terzo check: si svuotano borse, si fruga nel portafogli, si tastano abiti e scarpe.
Eli Hajjar, 21 anni, partecipa all'offertorio durante la celebrazione eucaristica. In mano porta un piattino di ostie e sulle spalle la kefiah palestinese «perché – dice - non dobbiamo dimenticare le nostre radici, la nostra cultura». Eli, che vive nella città vecchia, due minuti a piedi dal Santo Sepolcro, fa parte dell'Azione cattolica e collabora attivamente alle attività della parrocchia. Ha avuto la kefiah da una ragazza che è riuscita a sfuggire al controllo degli indumenti. Tutti gli altri cristiani palestinesi hanno dovuto accettare invece che il proprio copricapo, di tradizione araba, fosse buttato a terra: con quello, qui, non si entra. Poca cosa, «ciò che importa è avere il Papa tra noi perché abbiamo davvero bisogno di lui, siamo rimasti in pochi e saperlo in questa terra ci rende orgogliosi».
Padre Eugenio Scalco, veneziano ed ex insegnante di teologia, insieme ad altri cinque confratelli cappuccini vive da sei anni a Gerusalemme Ovest, meglio conosciuto come il quartiere ebraico. La loro missione è unica quaggiù: «Abbiamo scelto questa parte della città – racconta – perché vorremmo irradiare Gesù Cristo proprio in ambiente ebraico con il quale c'è, sì, un rapporto di buon vicinato ma in realtà non condividiamo alcuna attività». Quanto alla visita del Papa non ha dubbi: «Ha compiuto un atto di coraggio – dice – di cui i cristiani hanno un estremo bisogno anche perché le ragioni del conflitto non sono mai religiose quanto piuttosto politiche». Echi di applausi lo interrompono. Dall'altare il Pontefice sceglie le parole che scaldano il cuore di questi uomini e queste donne: «Desidero riconoscere le difficoltà – afferma –, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e, Dio non lo permetta, possono ancora conoscere».
Con il sole che brucia la pelle, padre Francis approfitta di una crema di protezione solare capitatagli tra le mani. Originario del Venezuela, studia a Gerusalemme da due anni presso il Pontificio Istituto Biblico: «Noi cattolici siamo una minoranza qui – spiega –, anche tra gli stessi cristiani. Per noi questa visita è un segno di appartenenza perché è Benedetto XVI il nostro pastore». Alle sue spalle un cartellone, che riproduce un mosaico composto da un frate, dice “Benedetto XVI, eroe del dialogo”. Alla fine, la constatazione di una realtà che non può essere taciuta: la partenza dei cristiani verso altri Paesi, soprattutto europei, tanto che oggi se ne contano circa 400mila su 14 milioni di abitanti (i dati sono del Patriarcato latino di Gerusalemme) mettendo insieme quelli di Giordania e Palestina, con Israele che ne conta appena il 2,8% della popolazione. «Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città. Desidero oggi ripetere – dice il Pontefice, non senza esortare le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui – quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c'è posto per tutti!».
Filippesi 1,4 ... e sempre, in ogni mia preghiera per tutti voi, prego con gioia...
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo 24 novembre 2024
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo Grado della Celebrazione: SOLENNITA' Color...
-
Venerdi 5 marzo la presentazione della nuova strattura in un albergo del centro della capitale irlandese. Orario e location saranno trasme...
-
Liturgia della Parola PREGHIERA DEI FEDELI: Veglia Pasquale Nella Notte Santa C – Fratelli e sorelle, la risurrezione di Gesù porta i...
Nessun commento:
Posta un commento