Il nuovo arcivescovo di Udine: «Cristiani, siate meno egoisti Più impegno nella società»
di FRANCESCO JORI
Prima il Polesine, adesso Treviso, tra una manciata di settimane Udine. Come vescovo, monsignor Andrea Bruno Mazzocato, trevigiano di Preganziol, 61 anni appena compiuti, sacerdote da 37, sa bene cosa significhi dire Nordest, cattolico e non.
In una sua lettera pastorale, lei sostiene che i cattolici per primi non possono permettersi il piccolo cabotaggio. Non è che invece ci stiano prendendo gusto?
Parliamo di una tendenza diffusa nella mentalità comune: fermarsi a salvaguardare gli interessi più piccoli, spesso privati o circoscritti a piccoli gruppi. Un problema di carattere civile, che certo tenta anche i cattolici praticanti. Con il rischio che si attenuino le grandi prospettive che le encicliche sociali della Chiesa, fino alla Caritas in veritate, continuano a indicare con forza.
Poco lette e ancor meno praticate da tanti cattolici, a quanto pare.
Non è una malattia dei soli cattolici. Ma è indubbio che ciò porti a un minor impegno attivo, a livello sociale e politico, dimenticando che come Chiesa siamo chiamati a un impegno per il bene comune, quindi a vivere una fede incarnata anche nella realtà.
Lei ha spesso sostenuto che siamo in un tempo di missione. Cosa significa per un cattolico essere missionario in casa propria?
Saper operare una conversione che non può essere solo un’operazione di carattere intellettuale né emotivo, ma deve diventare un’adesione autentica alla fede e al Vangelo, che passa attraverso la conversione dei costumi, del modo di vivere. Diventando testimoni nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella società, nella politica.
A suo tempo monsignor Alfredo Battisti, suo predecessore come vescovo di Udine, ammonì che si erano sapute ricostruire le case dopo il terremoto, ma non altrettanto i valori. E’ un rischio per l’intero Nordest, terremotato da un benessere che ha ridotto in macerie antichi valori?
Nel nostro territorio ci sono ancora alcune espressioni di forte impegno sociale: penso al volontariato, alla cooperazione; ma indubbiamente ci sono assenze su altri piani. Su questo ha inciso il fatto che anche a Nordest ha preso piede un’evoluzione delle mentalità e delle coscienze che ha eroso in profondità i valori del passato. Viviamo in un’epoca in cui i mezzi diventano fini; i soldi, e tutto ciò che con i soldi si può comprare, diventano un fine che dà senso all’esistenza. Così nel fondo delle coscienze si crea una confusione tra mezzi e fini.
Il Nordest è l’area col maggior numero di cattolici praticanti in Italia. Perché neanche qui la Chiesa riesce a chiarire questa confusione?
Perché si sono moltiplicate le voci: penso allo straordinario potere acquisito dai mezzi di comunicazione sociale negli ultimi 50 anni. Forse come Chiesa non abbiamo saputo cogliere subito la profondità dell’erosione in atto, e il nostro messaggio si è fermato troppo in superficie. Il nostro compito fondamentale oggi è riuscire a capire a fondo la mentalità della gente, i suoi gusti, le sue sensibilità, anche i suoi drammi esistenziali. E affrontare alcuni capitoli che forse abbiamo un po’ trascurato.
Come giudica il fatto che in questo cattolico Nordest si stiano moltiplicando le forme e le manifestazioni di paganesimo?
Più che di paganesimo, parlerei di superstizione. Che in sé è un atteggiamento religioso, ma di una religiosità malata. La superstizione in realtà è l’opposto della fede. E oggi è certamente un atteggiamento diffuso, una sorta di gramigna che mette radici nella paura, nello smarrimento.
Il che ci riporta al modo di comunicare la fede con un linguaggio e nelle forme adeguati ai tempi. Non è che anche il mondo cattolico, come la politica, come la società, stia trascurando il ruolo della formazione?
Accanto a quella liturgica, e a quella del rinnovo del tessuto delle comunità cristiane, questa è indiscutibilmente una delle tre vie principali su cui dobbiamo oggi impegnarci. Papa Benedetto negli ultimi due anni ha ripetutamente parlato dell’emergenza educativa: un punto che interroga anche la Chiesa. Quali sono le condizioni per formare le coscienze? Come riusciamo a tenere viva la tradizione trasmettendo i valori alle nuove generazioni? E’ indubbio che per riuscirci occorre saper reinterpretare la tradizione, altrimenti rimane lettera morta.
Colpisce nell’Italia di oggi, Nordest cattolico compreso, una sorta di apatìa diffusa: tengono banco polemiche spicciole su questioni apparentemente marginali, ma che segnalano quanto si sia sfilacciato il tessuto civile, quanto si sia indebolito il senso di nazione, di comunità. Come si spiega il silenzio anche del mondo cattolico, a partire dal laicato, e da realtà un tempo vitali e presenti come l’Azione Cattolica?
L’Azione Cattolica da noi ha una buona vitalità, e anche il numero degli iscritti è in aumento. E’ ben curato l’impegno sul piano della spiritualità e della morale personale. Ma forse c’è una maggior fatica a esporsi nell’ambito della formazione sociale e politica. Anche perché oggi c’è una politica diventata solo pragmatismo, una volta tramontata la stagione mobilitante delle idoelogie, con i loro pregi e difetti. Certo, la Chiesa in tutte le sue espressioni deve muoversi di più su questo terreno, come richiama l’ultima enciclica del Papa, molto profetica per la Chiesa stessa, che esorta a un impegno più forte anche come contributo da dare all’intera società, combattendo le tendenze all’inerzia e al riflusso nel privato.
Una società che specie a Nordest, e specie sotto l’influsso dell’immigrazione, diventa e diventerà sempre più plurale: che conseguenze comporta questo scenario per la Chiesa, per il suo modo di esserci?
L’integrazione è un tema straordinariamente complesso, e che proprio per questo va affrontato con serietà, evitando di cavalcare slogan e ricette a buon mercato. La Chiesa in passato ha saputo dare un contributo decisivo all’integrazione tra civiltà diverse. Oggi deve mantenere il suo compito di fondo di annunciare il Vangelo della carità, offrendo vie concrete per vivere l’amore nel modo più puro, e contribuendo con tutti gli altri soggetti sociali a stare in modo costruttivo sulla frontiera dell’integrazione.
Un pensiero per la sua diocesi trevigiana che sta per lasciare?
Mi congedo da una realtà che da un punto di vista civile ha mostrato e sta mostrando una buona capacità di accoglienza reciproca e di buona convivenza; il che indica l’esistenza di una qualità del territorio trevigiano, e dei valori di vita che lo contraddistinguono”.
E uno per la diocesi udinese in cui sta per entrare?
E’ una realtà che non conosco. Quindi, vado con l’atteggiamento di chi vuole conoscere e farsi conoscere, e di chi vuole capire il più in profondità possibile la storia e le caratteristiche di quel territorio. Conoscere bene è la base indispensabile per un dialogo costruttivo e un’azione in profondità.
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