◊ Il Medio Oriente ha il diritto di sperare: è la voce unanime del Sinodo dei vescovi dedicato alla regione mediorientale, in corso in Vaticano sul tema della “comunione e testimonianza”. Stamani, al centro della sesta Congregazione generale svoltasi alla presenza del Papa, anche i temi dell’uguaglianza dei diritti e del rafforzamento dei sistemi di comunicazione. Ieri pomeriggio, invece, si è svolto l’atteso intervento del rabbino David Rosen, Invitato speciale, che è stato anche ricevuto in udienza da Benedetto XVI. Nel pomeriggio di oggi, l'intervento di due rappresentanti musulmani. Il servizio di Isabella Piro:
Noi fedeli della tormentata regione del Medio Oriente abbiamo il diritto di sperare e ci aspettiamo molto da questo Sinodo: lo dicono a gran voce i vescovi, ribadendo che la regione mediorientale alterna pagine cupe a momenti di luce. Se in Libano, infatti, la Chiesa ha un ruolo primordiale e in certi Paesi del Golfo si contano nuove chiese o che Arabia Saudita si incoraggiano gli incontri interreligiosi, è anche vero che dove l’Islam è religione di Stato, la libertà religiosa manca, le leggi sull’immigrazione sono restrittive, i sacerdoti scarseggiano. Come conciliare tutto questo, chiede il Sinodo, con la tolleranza di cui parla il Corano, se manca la libertà di coscienza e i cittadini non sono tutti uguali davanti alla legge? In questo contesto è quindi importante rilanciare anche i sistemi di comunicazione che favoriscono la conoscenza reciproca, dettando l’agenda del pensiero delle persone. Spazio allora alla formazione mass mediatica non solo per i laici, ma anche per i seminaristi, in particolare alla cultura digitale, presente ormai anche nelle diverse nazioni del Medio Oriente. Altro tema forte trattato in Aula: l’evangelizzazione della famiglia, spesso attaccata dalla cultura occidentale che parla di divorzio o di contraccettivi. Il nucleo familiare va quindi recuperato come Chiesa domestica, fulcro della trasmissione della fede.
I vescovi, poi, fanno autocritica: i cristiani non conoscono bene il Vangelo e le nostre divisioni causano dubbi e sofferenze. Come possono i fedeli guardare ad una Chiesa che non è in comunione? È giunto il momento, allora, di camminare insieme per il bene del popolo di Dio, perché la questione ecumenica in Medio Oriente è una delle principali sfide per la Chiesa di oggi. Per questo, il Sinodo suggerisce di creare le “Giornate ecumeniche mediorientali”, sul modello delle Gmg. E ancora: l’Aula affronta la questione delle migrazioni, perché gli immigrati sono spesso “crocifissi” tra i Paesi di origine e quelli di accoglienza. Bisogna quindi incoraggiare i cristiani di Oriente a restare nei loro Paesi perché la loro presenza non è un caso, ma la volontà di Dio. Dall’altro lato, però, l’immigrazione giustificata è un diritto inalienabile, in linea con il rispetto della libertà e della dignità umana. Su tutto emerge, comunque, un messaggio fondamentale: bisogna passare dal concetto dell’aiuto dei cristiani d’Oriente a quello dello sviluppo, per radicarli nelle loro terre. Infine, ai Padri Sinodali è giunto il saluto del cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ha auspicato al Sinodo di guardare anche all’Estremo Oriente, per far sì che la Parola di Dio venga conosciuta anche in quelle regioni.
A dominare i lavori di ieri pomeriggio, invece, è stato l’intervento del Rabbino David Rosen, Direttore degli Affari Interreligiosi dell’American Jewish Committee e consulente del Gran Rabbinato di Israele:
"The relationship today between the Catholic Church and the Jewish people …
Oggi il rapporto tra la Chiesa cattolica ed il popolo ebraico è una trasformazione felice per i nostri tempi, ha detto. E poi ha ammesso: talvolta le due religioni hanno dimostrato scarsa conoscenza reciproca, ma negli anni le cose sono cambiate. Due i fattori all’origine del cambiamento: la visita di Giovanni Paolo II in Medio Oriente, dieci anni fa, e l’immigrazione di cristiani in Israele. La familiarità con il cristianesimo è quindi cresciuta, afferma il rabbino, anche grazie alle decine di organismi per la promozione del dialogo interreligioso e alle tante istituzioni cristiane. Quanto all’aspetto politico, Rosen sottolinea da una parte la situazione particolare delle comunità cristiane in Terra Santa, inevitabilmente coinvolte, dice, nel conflitto israelo-palestinese e dall’altra il dovere dello Stato ebraico di mettere in atto misure di sicurezza contro le violenze continue. È giusto che i cristiani palestinesi esprimano le loro attese, afferma Rosen, purché lo facciano in sintonia con lo spirito che regola i rapporti interreligiosi.
"The distressing situation in the Holy Land…"Tuttavia, continua il rabbino, la situazione penosa in Terra Santa è fonte di tanto dolore anche per gli ebrei che hanno una responsabilità per i propri vicini. Bisogna quindi fare tutto il possibile per alleviare i disagi della situazione, afferma Rosen, anche perché sia nel contesto ebraico che in quello musulmano, la minoranza cristiana gioca un ruolo speciale, soprattutto nel promuovere la comprensione e la cooperazione interreligiosa.
"...respecting the very fact that the Holy Land is the land of Christianity's birth…
Anche in considerazione del fatto che la Terra Santa è la terra in cui nacque il Cristianesimo e dove si trovano i luoghi, la responsabilità ebraica di garantire la fioritura di comunità cristiane viene rafforzata dalla rinnovata e crescente fraternità. Lo sguardo del rabbino va anche ai rapporti con musulmani, afferma che “l’occupazione” è la conseguenza e non l’origine del conflitto arabo-israeliano, ed esprime l’auspicio che i musulmani possano vedere la presenza di cristiani ed ebrei come pienamente legittima e parte integrante della regione mediorientale nel suo insieme. In questo modo, conclude Rosen, due nazioni e tre religioni potrebbero vivere in piena dignità, libertà e tranquillità, sulla base di quel dialogo trilaterale richiamato tante volte da Benedetto XVI.
Noi fedeli della tormentata regione del Medio Oriente abbiamo il diritto di sperare e ci aspettiamo molto da questo Sinodo: lo dicono a gran voce i vescovi, ribadendo che la regione mediorientale alterna pagine cupe a momenti di luce. Se in Libano, infatti, la Chiesa ha un ruolo primordiale e in certi Paesi del Golfo si contano nuove chiese o che Arabia Saudita si incoraggiano gli incontri interreligiosi, è anche vero che dove l’Islam è religione di Stato, la libertà religiosa manca, le leggi sull’immigrazione sono restrittive, i sacerdoti scarseggiano. Come conciliare tutto questo, chiede il Sinodo, con la tolleranza di cui parla il Corano, se manca la libertà di coscienza e i cittadini non sono tutti uguali davanti alla legge? In questo contesto è quindi importante rilanciare anche i sistemi di comunicazione che favoriscono la conoscenza reciproca, dettando l’agenda del pensiero delle persone. Spazio allora alla formazione mass mediatica non solo per i laici, ma anche per i seminaristi, in particolare alla cultura digitale, presente ormai anche nelle diverse nazioni del Medio Oriente. Altro tema forte trattato in Aula: l’evangelizzazione della famiglia, spesso attaccata dalla cultura occidentale che parla di divorzio o di contraccettivi. Il nucleo familiare va quindi recuperato come Chiesa domestica, fulcro della trasmissione della fede.
I vescovi, poi, fanno autocritica: i cristiani non conoscono bene il Vangelo e le nostre divisioni causano dubbi e sofferenze. Come possono i fedeli guardare ad una Chiesa che non è in comunione? È giunto il momento, allora, di camminare insieme per il bene del popolo di Dio, perché la questione ecumenica in Medio Oriente è una delle principali sfide per la Chiesa di oggi. Per questo, il Sinodo suggerisce di creare le “Giornate ecumeniche mediorientali”, sul modello delle Gmg. E ancora: l’Aula affronta la questione delle migrazioni, perché gli immigrati sono spesso “crocifissi” tra i Paesi di origine e quelli di accoglienza. Bisogna quindi incoraggiare i cristiani di Oriente a restare nei loro Paesi perché la loro presenza non è un caso, ma la volontà di Dio. Dall’altro lato, però, l’immigrazione giustificata è un diritto inalienabile, in linea con il rispetto della libertà e della dignità umana. Su tutto emerge, comunque, un messaggio fondamentale: bisogna passare dal concetto dell’aiuto dei cristiani d’Oriente a quello dello sviluppo, per radicarli nelle loro terre. Infine, ai Padri Sinodali è giunto il saluto del cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ha auspicato al Sinodo di guardare anche all’Estremo Oriente, per far sì che la Parola di Dio venga conosciuta anche in quelle regioni.
A dominare i lavori di ieri pomeriggio, invece, è stato l’intervento del Rabbino David Rosen, Direttore degli Affari Interreligiosi dell’American Jewish Committee e consulente del Gran Rabbinato di Israele:
"The relationship today between the Catholic Church and the Jewish people …
Oggi il rapporto tra la Chiesa cattolica ed il popolo ebraico è una trasformazione felice per i nostri tempi, ha detto. E poi ha ammesso: talvolta le due religioni hanno dimostrato scarsa conoscenza reciproca, ma negli anni le cose sono cambiate. Due i fattori all’origine del cambiamento: la visita di Giovanni Paolo II in Medio Oriente, dieci anni fa, e l’immigrazione di cristiani in Israele. La familiarità con il cristianesimo è quindi cresciuta, afferma il rabbino, anche grazie alle decine di organismi per la promozione del dialogo interreligioso e alle tante istituzioni cristiane. Quanto all’aspetto politico, Rosen sottolinea da una parte la situazione particolare delle comunità cristiane in Terra Santa, inevitabilmente coinvolte, dice, nel conflitto israelo-palestinese e dall’altra il dovere dello Stato ebraico di mettere in atto misure di sicurezza contro le violenze continue. È giusto che i cristiani palestinesi esprimano le loro attese, afferma Rosen, purché lo facciano in sintonia con lo spirito che regola i rapporti interreligiosi.
"The distressing situation in the Holy Land…"Tuttavia, continua il rabbino, la situazione penosa in Terra Santa è fonte di tanto dolore anche per gli ebrei che hanno una responsabilità per i propri vicini. Bisogna quindi fare tutto il possibile per alleviare i disagi della situazione, afferma Rosen, anche perché sia nel contesto ebraico che in quello musulmano, la minoranza cristiana gioca un ruolo speciale, soprattutto nel promuovere la comprensione e la cooperazione interreligiosa.
"...respecting the very fact that the Holy Land is the land of Christianity's birth…
Anche in considerazione del fatto che la Terra Santa è la terra in cui nacque il Cristianesimo e dove si trovano i luoghi, la responsabilità ebraica di garantire la fioritura di comunità cristiane viene rafforzata dalla rinnovata e crescente fraternità. Lo sguardo del rabbino va anche ai rapporti con musulmani, afferma che “l’occupazione” è la conseguenza e non l’origine del conflitto arabo-israeliano, ed esprime l’auspicio che i musulmani possano vedere la presenza di cristiani ed ebrei come pienamente legittima e parte integrante della regione mediorientale nel suo insieme. In questo modo, conclude Rosen, due nazioni e tre religioni potrebbero vivere in piena dignità, libertà e tranquillità, sulla base di quel dialogo trilaterale richiamato tante volte da Benedetto XVI.
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