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martedì 23 marzo 2010

Crisi dell'educazione c'è una crisi di fiducia nella vita

EDITORIALE Nuova Umanità - XXXI (2009/6) 186, pp. 685-690

LA SFIDA EDUCATIVA

Alla radice della crisi dell'educazione c'è una crisi di fiducia nella vita.

Ad affermarlo è Benedetto XVI [1], che con questa presa di posizione affronta le emergenze dell'educazione nella società contemporanea mettendo in luce la dimensione più profonda della crisi: quella di una sempre più diffusa perdita di significato della vita umana, almeno presso le correnti culturali che più si impongono, oggi, a livello di massa.

Da questo punto di vista, i problemi riguardanti le questioni dell'inizio e della fine della vita, che suscitano i dibattiti più feroci, sono l'esponente di un male di vivere che impregna l'esistenza lungo tutto il suo corso e che può rendere indecifrabili e privi di senso non solo le fasi iniziali e terminali, ma tutte le stagioni e i diversi ambiti nei quali l'esistenza si esprime. Si moltiplicano le opinioni più divergenti sui modi con i quali si potrebbe nascere e morire, perché diminuisce la capacità di riconoscere le bontà e le verità oggettive che appartengono alla logica dell'umana esistenza, e che dovrebbero accompagnarla in tutti i suoi momenti.

E come stupirsi della crisi educativa, se coloro stessi che educano (genitori, insegnanti e, in generale, tutti i soggetti con ruoli di esempio e di guida) sono prigionieri di una frattura esistenziale, frattura dell'identità che chiude la bocca dell'educatore quando dovrebbe proporsi come modello all'educando e dire: «fai come me»? La mancanza di senso, il dubbio sulla propria identità, impedisce all'educatore la trasmissione di sé.

L'educare, proprio in quanto e-ducere, cioè "condurre fuori", attraverso un processo che è ad un tempo di liberazione e di costruzione, verso una meta che costituisce il pieno significato dell'educando stesso, viene meno nei suoi tre aspetti "direzionali": non si riconosce una tradizione dalla quale ricevere le risorse e muoversi, non si vive una appartenenza comunitaria nella quale alimentarsi, non si vede una direzione verso la quale dirigersi.

La sfida educativa si rivela allora essere, nella sua radice, sfida antropologica. E proprio così la presenta e la analizza l'importante Rapporto-proposta sull'educazione recentemente presentato dal Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana [2]. Il Rapporto parte dall'analisi dell'emergenza educativa in Italia (ma si tratta di problemi che l'Italia condivide in gran parte con il resto dell'Occidente), svolta da più autori e sotto diversi aspetti, attingendo anche ai risultati di alcune serie indagini svolte negli ultimi anni da vari istituti di ricerca [3] e servendosi con competenza della letteratura recente, italiana e internazionale, sull'argomento.

Il Rapporto non si interessa tanto delle tecniche educative - pur importanti - ma, come sottolinea il Cardinale Camillo Ruini nella sua prefazione, considera l'educazione come «un processo umano globale e primordiale, nel quale entrano in gioco e sono determinanti soprattutto le strutture portanti [...] dell'esistenza dell'uomo e della donna» [4]: la relazionalità, la conoscenza, la libertà, l'autorità... Non uno studio settoriale dunque, ma una riflessione sulle fondamentali questioni antropologiche e sociali.

Un Rapporto, inoltre, che non si limita all'analisi, ma che è anche proposta: «gli orientamenti di fondo qui proposti vengono assunti come ipotesi di lavoro nell'esame delle situazioni concrete dell'educazione in Italia [...]. L'obiettivo non è comunque soltanto descrittivo e interpretativo: è soprattutto offrire un contributo al fine di fare evolvere positivamente la situazione» [5].

Il Rapporto-proposta si rivolge, certamente, alla Chiesa cattolica; si raccorda infatti con gli "Orientamenti pastorali" per il prossimo decennio che verranno presentati dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2010 e ai quali vuole offrire il contributo della propria riflessione culturale; ma si rivolge anche al Paese, al popolo come alla classe dirigente, nel tentativo di suscitare un dibattito e, soprattutto, di costruire un'«alleanza per l'educazione» che coinvolga più interlocutori possibile: l'educazione «è forse il tema pubblico per eccellenza, dove si gioca davvero il destino dell'intera comunità nazionale» [6].

Il Rapporto-proposta prende in considerazione, capitolo per capitolo, diversi ambiti che hanno una relazione stretta col tema educativo: famiglia, scuola, comunità cristiana, lavoro, impresa, consumo, mezzi di comunicazione, spettacolo, sport, offrendo in ogni caso contributi interessanti che costituiscono una base utile e fertile per il dibattito e l'approfondimento. Questa pluralità di approcci non riflette la frammentazione specialistica che caratterizza gran parte della cultura contemporanea: al contrario, ogni capitolo vuole essere proprio il tentativo di afferrare l'essere umano nella sua unità, e di rivendicare le esigenze di questa al di sopra di ogni visio­ne parziale. Su questa base Movimenti, Associazioni e i diversi soggetti che operano nel sociale e, in particolare, nel campo educativo, possono inserire e sviluppare il proprio originale contributo.

Interessante, in particolare, il saggio iniziale, che cerca di delineare una idea di educazione, confrontando l'impostazione personalistica cristiana, corroborata da una grande messe e varietà di esperienze che la sostengono, con altri modelli educativi oggi diffusi. Uno di questi si basa sulla separazione tra educazione e formazione: anziché perseguire il progetto di uno sviluppo integrale della persona, questo modello fornisce competenze prevalentemente tecnologiche; punta alla sola efficienza e assume come paradigma la razionalità di tipo tecnico-strumentale. Un altro modello, pure fortemente diffuso, si basa sulla spontaneità, valorizza la creatività del soggetto e l'autoeducazione, in funzione antiautoritaria.

Un elemento paradossale è dato dal fatto che questi due modelli, decisamente contrapposti perché basati, il primo sull'"oggettivismo razionale" e il secondo sul "soggettivismo emotivo", riproducono la spaccatura tra intelligenza e cuore, tra ragione e affetti; e finiscono per rivelarsi, nella pratica, complementari, perché la stessa persona può abbracciare il modello razionalistico nell'esercizio della professione, e quello soggettivamente emotivo nella sfera privata: la stessa persona si trova così a vivere due vite, entrambe squilibrate, in ognuna delle quali si sente incompleta.

Un altro elemento importante sottolineato dal Rapporto-proposta è la necessità di riconoscere l'autorità buona, quella di cui abbiamo bisogno perché la nostra originaria e personale capacità di fare esperienza e di crescere venga attivata e sostenuta. Spesso, oggi, il rifiuto di ogni autorità, che si traduce nella teorizzazione della "neutralità" educativa, cioè nella scelta di cercare di non trasmettere alcuna particolare tradizione culturale attraverso l'educazione, viene giustificato in nome della libertà, del non volere "condizionare" i giovani che vengono educati; ma è evidente che questo vuoto di autorità e di riferimenti viene immediatamente riempito «dalla pervasiva e spietata autorità dei molti poteri anonimi (massmediatici, pubblicitari e pubblicistici) che gestiscono sensibilità, affetti e pensieri di tutti i ceti sociali» [7].

Lasciando, ora, il testo del Rapporto-proposta, è da sottolineare come questo rapporto con l'autorità educante buona sia fondamentale per la conquista della piena libertà e che solo in tale rapporto si possa sviluppare un progetto educativo realmente personalistico. L'autorità buona è la forza intelligente che ci ha generati e ci ha aiutati a distinguerci da lei, facendoci incontrare noi stessi: «II bambino - spiega Michele De Beni - come in uno specchio, viene "mostrato a se stesso" attraverso l'opera dell'educatore che per primo e per dono si propone come modello. È attraverso questo particolare, ineffabile sguardo educativo che il figlio o l'allievo, a sua volta, impara a rispondere al dono ricevuto dai suoi maestri, in una danza dai vicendevoli aggiustamenti e rinforzi» [8]. È la "danza pericoretica" dove, nella descrizione di Pietro Cavaleri, i danzatori si muovono l'uno intorno all'altro in una cangiante reciprocità [9]. L'autorità educante, che genera e distingue da sé, permette all'educando di comprendere se stesso, sia attraverso i contenuti che gli sono stati trasmessi e che lo rendono simile all'educatore, sia attraverso la distinzione che il donatore, proprio perché dona, sempre crea, per rispetto di colui che ha generato, permettendo così a quest'ultimo di guardare alla tradizione e all'autorità con serenità e criticità, attraverso le quali costruisce la propria libertà.

Comprendere la tradizione e l'autorità dalle quali si proviene permette di valutare il proprio "punto di origine", di vederlo nella sua distinzione da altri punti originari e da altre possibili "visioni" che si possono acquisire. L'essere umano ha bisogno, ad un tempo, di questa appartenenza e di questa distanza, di ricevere un'identità e di sceglierla, vivendo la necessaria asimmetria del rapporto educativo: un'asimmetria non rigida, non definitiva, ma aperta e can­giante, in attesa sempre del proprio rovesciamento - quando si dovrà restituire ai padri e ai maestri per ciò che si è ricevuto come figli e discepoli - e pronta ad un nuovo rilancio.

Si esprime, in queste relazioni dinamiche così brevemente accennate, un'idea di reciprocità non improvvisata, ma che si è andata costruendo lungo un cammino millenario: «Come sottolinea sant'Agostino, potremmo dire che la "reciprocità" implica un Io che ama, un Tu amato che ri-ama e un Ideale che li unisce, vin­colo di responsabilità tra due, e tra due e un Ideale. Per cui, non si ama solo la persona che ci sta di fronte e il me che in ella ritrovo, ma si ama anche quella originaria legge universale, che è sconfinato, inesauribile, purissimo richiamo all'amore, che in lei e in me ritrovo, fatti simili tra noi, fratelli» [10].

È una reciprocità "elettiva", sottolinea De Beni, «una forma intenzionale di scambio gratuito, regolato da volontà di comunione» [11], nella quale Nedoncelle vedeva il confluire di due atti, «non come cose che si aggiungono ma intenzioni che si liberano superandosi» [12].

E in questa reciprocità si attua una nuova concezione dell'autorità, che arriva a conseguire pienamente il suo scopo proprio in questo dinamismo orizzontale, dove colui sul quale l'autorità si è esercitata è arrivato a rispondere con risposta d'amore; e diviene, per questo, autorevole a sua volta.

antonio maria baggio



[1] Benedetto XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell'educazione, 21 gennaio 2008.

[2] Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (ed.), La sfida educativa. Rapporto-proposta sull'educazione, Laterza, Roma-Bari 2009.

[3] Cf. in particolare l'ultimo capitolo, Alcuni dati empirici, pp. 196-223.

[4] Ibid., p. X.

[5] Ibid., p. XI.

[6] Ibid., p. XVI.

[7] Ibid., p. 22

[8] M. De Beni, Reciprocità ed educazione. Per un nuovo rinascimento della persona e della comunità, in «Nuova Umanità» XXXI (2009/2) 182, p. 240.

[9] P. Cavaleri, Vivere con l'altro. Per una cultura della relazione, Città Nuova, Roma 2007, pp. 22-23.

[10] M. De Beni, Reciprocità ed educazione, cit., p. 239; il luogo agostiniano è De Trinitate, Vili, 10, 14.

[11] Ibid., p. 11.

[12] M. Nedoncelle, La réciprocité des constiences, Aubier Montaigne, Paris 1942, p. 19; cit. da De Beni, in ibid.

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