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sabato 13 giugno 2009

Commento alla parola domenica 14 giugno 2009





Prendete e Mangiate...




In Marco l’istituzione dell’eucaristia, celebrata nel contesto dell’Ultima cena del Signore con i suoi discepoli, è così legata alla morte del Signore da esserne, oltre che un’anticipazione sacramentale, anche una profezia.

Infatti Gesù, nell’intimità del cenacolo e prima della sua passione, sia con le parole sia con i gesti, attua quello che annuncia. Il pane spezzato e il calice che offre ai suoi discepoli, come richiedeva l’uso della pasqua ebraica, sono l’annuncio del nuovo patto, suggellato dal suo sangue, che, quale «agnello senza macchia», offre per la salvezza di tutti. E impone ai suoi di rinnovare quest’azione per tutti fino a quando ritornerà di nuovo tra di loro.

La chiesa, obbediente a questo comando, fa questo sacrificio e così «annuncia la morte del Signore, proclama la sua risurrezione e attende la sua venuta nella gloria». Cristo, in modo mirabile, rimane in mezzo ai suoi, li fa partecipi al sacrificio di redenzione e si fa cibo e bevanda per il loro nutrimento spirituale. Nutriti del Corpo e Sangue del loro Redentore, tutti i redenti diventano «un solo corpo e un solo spirito

in Cristo».

Tutto questo avviene attraverso la potenza dello Spirito che fa sì che tutti i credenti diventino in Cristo un sacrificio vivente a gloria di Dio Padre. L’Eucaristia è il preannunzio della piena partecipazione alla vita di Dio nell’eternità e il pegno di vita eterna, perché chi mangia il suo corpo e beve il suo sangue ha già la vita eterna in sé e l’avrà pienamente nell’eternità.

Vivere la messa

L’espressione è diventata oramai un luogo comune. Ma non basta mai: specialmente in un periodo come il nostro, in cui il cristianesimo è sottoposto a un lavoro di essenzializzazione, in cui è diminuita ogni struttura e aiuto dall’esterno, è più che mai urgente l’insistenza su queste idee “essenziali”. E urge insegnare in che modo concretamente l’eucaristia possa e debba essere calata nella vita di ogni giorno, in che modo possa e debba davvero diventare quella luce che dà spiegazione e significato alle vicende umane.

Chi non ha nulla da offrire-soffrire, non può “partecipare” all’Eucaristia: Cristo soffre e si immola, anche noi dobbiamo soffrire-immolarci con lui. E questi sentimenti vittimali sono l’anima della messa. Come si può applicare alla vita questa dottrina? Con un metodo molto semplice: spesso le nostre giornate lavorative sono piene di croci: il freddo, il caldo, la stanchezza; contrattempi, insuccessi, incomprensioni; malattie, noie, solitudini; scoraggiamenti, depressioni, angosce: si tratta di un materiale preziosissimo da offrirsi durante la messa, che - per dirla con il concilio di Trento - dai dolori di Cristo assume valore, da Cristo è offerto al Padre e per amore della passione di Cristo è accettato dal Padre. Saper accettare pazientemente la vita, è vivere il sacrificio della messa.

Vivere la comunione. Si tratta di un altro assioma classico che implica far diventare “mistica” l’unione sacramentale durante la giornata lavorativa: la quale deve diventare un continuo “rimanere in Cristo”. In questo modo si prolunga “misticamente” la comunione: si deve prendere l’abitudine di lavorare, parlare, pensare in-con-per Cristo; si tratta di prendere l’abitudine di fare tutto sotto l’influsso, più attuale-continuo che sia possibile, di Cristo. Bisogna esercitarsi a chiedersi frequentemente: «Come si comporterebbe Cristo se fosse al mio posto?». Bisogna prendere l’abitudine di “commisurarsi” con lui (A. Dagnino).

PREGHIERA


Gesù, tu mi dici che il tuo corpo «è vero cibo»

e il tuo sangue «vera bevanda»:

come vorrei che queste parole fossero davvero creative,

cioè producessero ciò che significano!

Come vorrei diventare come un’umanità aggiunta alla tua:

lasciarmi assimilare da te in modo da poter dire con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me».

Non più io che penso-parlo-agisco, ma tu che pensi-agisci-parli in me e con me!

Capisco bene che sei tu «il Verbo della vita» e perciò in proporzione che io aderirò a te, solo allora la mia vita sarà vera, perché piena di te. Tu mi dici: «Chi si ciba di me, io rimango in lui e lui in me»:

come vorrei lavorare, pensare, parlare, rimanendo in te!

Tu mi dici: «Senza di me, non potete fare nulla»!

Come vorrei non fare per davvero “nulla” senza essere ispirato, comandato, informato da te!

Se tutto in me fosse “cristocomandato”, un po’ alla volta la mia voce, così spesso alterata e nervosa, assumerebbe il timbro dolce e soave, mite e mansueto della tua, voce del buon pastore!

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