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lunedì 19 gennaio 2009

Tregua nella Striscia: ultime dalla Radiovaticana

Secondo la radio militare israeliana, il ritiro delle forze israeliane da Gaza dovrebbe essere completato prima dell’investitura del presidente statunitense, Barak Obama, in programma domani. Lasciate postazioni importanti, rimangono poche unità incaricate di presidiare ''punti strategici'' non precisati. E si fanno dei bilanci. Un portavoce di al-Fatah - il partito del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen - fa sapere che sedici attivisti di al-Fatah sono stati uccisi a Gaza da miliziani di Hamas, 80 sono stati "gambizzati" e centinaia di sostenitori di al-Fatah sono stati costretti ad osservare ''arresti domiciliari'' su imposizione di Hamas. Da parte sua, Hamas sostiene di aver perso solo 48 combattenti e di aver ucciso almeno 80 soldati israeliani e lanciato non meno di 900 razzi. Ma soprattutto un portavoce dichiara che il movimento intende tornare ad armarsi. Intanto, l'Egitto ha invitato Israele e le fazioni palestinesi ad incontri separati al Cairo giovedì per consolidare il cessate-il-fuoco. Ieri, il vertice a Sharm El Sheikh con capi di Stato e di governo di sei Paesi europei, più l'Onu e la Turchia, ha confermato il sostegno al piano egiziano per un cessate-il-fuoco duraturo e ha annunciato l'impegno dei partecipanti per l'assistenza umanitaria alla popolazione palestinese e la ricostruzione di 4.000 edifici residenziali demoliti a Gaza. Oggi, il presidente egiziano, Mubarak, è in Kuwait per un vertice economico arabo che dovrebbe includere una sessione specifica sulla situazione nella Striscia di Gaza.

Di fronte all’estrema fragilità della tregua nella Striscia di Gaza ci si chiede cosa possa fare la comunità internazionale per rendere più stabile il cessate-il-fuoco. Giancarlo La Vella ha girato la domanda a Giorgio Bernardelli, giornalista esperto di Medio Oriente:


R. - Questo non è stato un conflitto con obiettivi militari, ma un conflitto con obiettivi sostanzialmente politici e quindi questo è il momento che la comunità internazionale entri in questo discorso. Gaza è stata abbandonata per troppo tempo a se stessa: ne abbiamo visto i risultati. Questo è il momento buono per internazionalizzare questa crisi.


D. - E’ possibile in qualche modo coinvolgere l’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen, rimasta forse troppo a margine di questa crisi?


R. - Non dimentichiamo che, nel bel mezzo di questa guerra, il mandato del presidente Abu Mazen è scaduto. Certo, la comunità internazionale punta sul suo coinvolgimento ma bisogna essere chiari: l’unica possibilità che questo coinvolgimento sia reale è un accordo con Hamas. E’ l’accordo interno tra le fazioni palestinesi l’unico modo per riportare l’Autorità palestinese a Gaza. E questo è paradossale, perché viene alla fine di una guerra che è seguita ad un anno e mezzo in cui c’era il boicottaggio di Hamas. Questa guerra, nei fatti, ha sconfessato quella politica. C’è qualcuno che ha parlato di questa guerra come la prima guerra d’indipendenza di Gaza: di fatto, oggi tutti hanno riconosciuto che Hamas governa a Gaza. Questo è un punto sul quale ora bisognerà riflettere.


D. - E' stata una crisi dai forti accenti politici, che tuttavia ha provocato una grande emergenza umanitaria, nella quale bisogna in qualche modo intervenire…


R. - Certo. Gli unici che ci hanno perso in questa guerra sono stati i civili di Gaza, che hanno pagato il prezzo altissimo che tutti abbiamo visto. Oggi, la chiave per cambiare davvero marcia sta in un controllo che veda coinvolta la comunità internazionale alle frontiere, che permetta di far saltare quel blocco dei confini che in questi mesi ha affamato e ha creato molti disagi alla popolazione civile di Gaza. Non si può uscire da questa crisi senza una soluzione stabile anche per questo problema, perché altrimenti il cessate-il-fuoco non ha alcuna possibilità di portare, non dico ad una pace, ma neanche ad una situazione sostenibile nel medio termine.

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Foglio della Collaborazione Pastorale Di San Giorgio di Nogaro

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